IL CONTAGIO DEL TERRORE: LO SPIRITO DI EMULAZIONE TERRORISTICA DELL'ISIS

lug 26, 2016 0 comments



Di Matteo Carnelietto e Andrea Indini

Un altro attacco contro il cuore dell’Europa. un altro attentato in Francia. Questa volta contro unachiesa e un sacerdote. È qualcosa di nuovo e, forse, più inquietante. Ormai non passa giorno che non ci sia un attacco rivendicato da Isis. Si dice che i terroristi sono dei “pazzi” e dei “depressi”. Ma qualcosa non torna. Forse fare un tuffo nel passato, ci aiuta a comprendere lo spirito di emulazione che si sta diffondendo tra i terroristi.
Narra il critico d’arte Hans Sedlmayr che, quando Goya iniziò a lavorare ai suoi “Sogni” nel 1792, “quando cioè la Rivoluzione francese raggiunse il suo culmine”, il pittore venne colpito da una tremenda malattia, “malattia la cui natura ci è ignota. Siamo nei decenni in cui molti artisti vengono posseduti da forze demoniache”. In quegli anni accade davvero di tutto: lo scultore Franz Xaver Messerschmidt realizza i volti delle sue statue dilaniati da urla, quasi fossero imprecazioni. Nell’arte di Johann Heinrich Füssli “sono innegabili gli elementi derivanti da una autentica allucinazione”. Cosa succede? “È come se nell’uomo si sia aperta una porta verso il mondo degli inferi e come se questo mondo minacciasse con la sua follia coloro che hanno visto troppo di quanto esiste in esso”, spiega Sedlmayr. Si diffonde uno stato d’animo che contagia tutti e tutto.
Questo stato d’animo, ciclicamente, è tornato nella Storia. Con i totalitarismi, durante gli anni di piombo in Italia, e, infine, proprio in questi ultimi anni con l’ascesa di Isis. Lo stato d’animo crea lo spirito di emulazione.
È un po’ quello che è successo in Germania la sera del 18 luglio del 2016, quando un giovane afghano, armato di accetta, è salito su un treno regionale che viaggiava sulla linea ferroviaria tra Wurzburg-Heidingsfeld e Ochsenfurt. La strage di Nizza è passata solamente da quattro giorni. Tutti ne parlano ancora. Il tentato golpe contro Recep Tayyip Erdogan in Turchia non ha fatto calare l’attenzione dei media sull’attentato rivendicato dal sedicente Stato islamico.
Muhammad Riyad, questo il nome dell’attentatore afghano, sale sul treno e comincia a colpire i passeggeri, ferendone quattro. Poco dopo viene ucciso da un commando della polizia tedesca. Il giorno dopo l’attacco, l’agenzia dell’Isis – Amaq – dopo aver rivendicato l’azione (“L’autore dell’accoltellamento in Germania era uno dei combattenti dello Stato islamico) diffonde un filmato in cui si vede il giovane giocare con un coltello e pronunciare le sue ultime parole: “Sono un soldato del califfato, l’Isis vi attaccherà ovunque, nei vostri paesi, nelle città, negli aeroporti”. E ancora: “Farò un attentato suicida in Germania. Inshallah (se Dio vuole). Vi combatterò fino a quando il sangue mi scorrerà nelle vene”. Così è stato. Ciò che colpisce di questo attentato, proprio come quello di Nizza, è la semplicità con cui è stato realizzato. Non c’è stato bisogno di armi da fuoco né di tecnologia sofisticata. È bastata un’ascia e un diciassettenne forse galvanizzato da ciò che era successo in Francia.
Pochi giorni dopo l’attacco di Muhammad Riyad, la Germania è piombata di nuovo nel caos. È la sera di venerdì 22 luglio di quest’anno quando un ragazzino “depresso” di nome Ali Sonboly, un 18enne cresciuto in Germania, ma di origine iraniana, apre il fuoco nel McDonald’s all’interno del centro commerciale Olympia a Monaco di Baviera. Prosegue poi a sparare in strada. Ha con sé una pistola con matricola abrasa e nello zaino almeno 300 proiettili. La prima domanda da porsi è questa: come ha fatto Sonboly, in una Paese come la Germania in cui le norme sulle armi sono rigorosissime, ad ottenere una pistola con matricola abrasa e così tante munizioni? Le forze dell’ordine tedesche dovranno rispondere anche a questo quesito. Ma ciò che val la pena sottolineare è la diffusione di una sorta di “contagio dell’orrore” che si è diffuso in Occidente. Proprio durante i momenti concitati dell’attentaot, quando non si sapeva ancora la matrice dell’attacco, Enrico Mentana commentava così: il killer di Monaco “di sicuro (…) è un altro frutto avvelenato di questa stagione di terrore, di questa strategia del panico che amplifica ogni allarme e lo moltiplica su scala mondiale, mina la sicurezza di tutti, crea insieme psicosi irrazionali e timori fondati di una prossima volta, che può essere ovunque e in qualsiasi momento. Ecco perché magari non c’entra niente, ma è comunque l’Isis la vera beneficiaria della strage di Monaco”.
Il sedicente Stato islamico ha avviato una delle peggiori stagioni di terrore in Occidente. Ed ora gode ad ogni pazzo che compie una strage. Per questo, troppo spesso, mette il cappello anche in azioni che non sono compiute da jihadisti: perché deve rafforzare il proprio brand dell’orrore.

Rivendicare sempre. Ma perché?

Lo abbiamo visto dopo la strage di Nizza. Un uomo, apparentemente un pazzo, si getta sulla folla. Potrebbe essere il gesto di uno squilibrato qualunque. Invece no. È un atto terroristico. Il procuratore francese François Molins, che ha coperto sia la strage di Charlie Hebdo che gli attacchi al Bataclan, il 21 luglio del 2016, in conferenza stampa, afferma che “l’attentatore di Nizza aveva sostegno e complici”. E prosegue dicendo che il jihadista franco-tunisino pianificava l’attacco da “diversi mesi”, ma non era solo a farlo. Bene. Inizialmente, però, si era detto che l’attentatore si era radicalizzato in sole due settimane. Una cosa praticamente impossibile. Chi si lascerebbe convincere a compiere un’azione di questo tipo in così poco tempo?
Fatto sta che, subito dopo l’attentato, tutti hanno parlato apertamente di strage compiuta da Isis. Ci sono voluti alcuni giorni prima che arrivasse la rivendicazione ufficiale. Rivendicazione che è stata colta con grande sollievo dal procuratore di Parigi, il già citato François Molins. Opinione assolutamente non condivisa dall’Europol che, il 20 luglio, diffondeva un dossier in cui si affermava che “sebbene l’Isis abbia rivendicato gli attacchi di Orlando, Magnaville, Nizza e Wurzburg, nessuno dei 4 sembra essere stato pianificato, logisticamente sostenuto o eseguito direttamente dall’Isis“.
Prosegue poi l’Europol nella sua analisi: “Non ci sono prove che l’attentatore di Nizza si considerasse un membro Isis. È stato detto che si era radicalizzato in poco tempo e aveva consumato propaganda Isis prima dell’attacco”. Un po’ come l’afghano di Wurzburg, che, secondo i media, conservava nella propria stanza una bandiera dell’Isis fatta a mano. Ma, conclude l’Euopol, la loro “affiliazione al gruppo non è chiara”. Così come le rivendicazioni non sono chiare. L’agenzia dello Stato islamico – Amaq – afferma di aver ricevuto informazioni da una fonte non identificata, “in contrasto con la chiara responsabilità” espressa per Parigi e Bruxelles.
Il sedicente Stato islamico ha però formalmente rivendicato. Perché? Lo spiega Aaron Zelin, citato nel libro di Bruno Ballardini Isis, il marketing dell’apocalisse: “Lo Stato islamico ha adottato una strategia mediatica semplice per telegrafare quello che sta accadendo sul campo di battaglia, per mostrare ai suoi sostenitori, alle potenziali reclute e ai nemici che in realtà sta ottenendo dei risultati. Questo funziona di più, anche se in questo modo sembra che lo Stato islamico stia facendo di più di quello che effettivamente fa, rispetto alla prassi di Al Qaeda di attendere che un’operazione esterna riesca per poi rivendicarne il successo a cose fatte”.
Questo spiega perché Isis cerchi sempre di “mettere il cappello” anche su attentati che nulla hanno a che fare con il jihad. Per posizionarsi meglio nel mercato del terrore.

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