MINACCIATI DI MORTE E PERSEGUITATI, STORIA DI UNA FAMIGLIA CRISTIANA SIRIANA FUGGITA IN LIBANO DALLE PERSECUZIONI DELL'ISIS

lug 19, 2016 0 comments
Acn li chiama Samir e Sabine. Non sono i loro veri nomi, ma non vogliono assolutamente essere identificati. I due cristiani infatti hanno paura: prima dell’arrivo dell’Isis, vivevano a Raqqa. Poi sono scappati dalla persecuzione, rifugiandosi ad Aleppo e di lì, a causa della guerra, sono fuggiti in Libano, nella capitale Beirut, e poi nella Valle di Beqaa. Ma dovunque si siano nascosti, Samir è stato raggiunto da questa telefonata dei jihadisti: «Sappiamo dove siete. Dovunque andrete, vi troveremo».
FINGERSI MUSULMANO. Quando lo Stato islamico è arrivato a Raqqa, Samir è stato costretto a pagare la jizya, il tributo umiliante previsto dal Corano. In cambio della protezione islamica, doveva pagare per tutta la famiglia 4.000 dollari all’anno. Nonostante la ricevuta del pagamento, che ancora conserva, le minacce di morte si sono fatte sempre più insistenti. Così la famiglia ha finto di convertirsi all’islam. «Odiavo la vita, il velo, non potevo uscire senza un accompagnatore maschile», spiega Sabine. Samir si recava addirittura in moschea per essere più credibile, ma dopo poco tempo è stato denunciato: «Quei cristiani non si sono davvero convertiti». A casa continuavano a pregare Gesù.
LA FUGA. Grazie a un amico musulmano, sono riusciti a fuggire e a rifugiarsi ad Aleppo. Dopo appena due mesi, Samir ha ricevuto una telefonata anonima: «Verremo ad Aleppo e vi uccideremo». Così la famiglia cristiana si è rimessa in viaggio e dopo un breve soggiorno a Beirut, una nuova telefonata li ha convinti a trasferirsi nella Valle di Beqaa, insieme ad altri rifugiati siriani. Qui hanno finalmente ricominciato a praticare la loro fede e nonostante le continue minacce affermano che «la nostra fede è più forte che mai». Ma a causa della fede «siamo perseguitati, vorremo andarcene dal Medio Oriente».
«SCAVALCARE I CADAVERI». Nel campo profughi ci sono altri cristiani. Alcuni fuggiti da Sadad raccontano che «alcune famiglie hanno dovuto scavalcare i cadaveri dei loro vicini per scappare. I bambini di queste famiglie non si sono ancora ripresi dall’orrore». La città è stata invasa da ribelli e jihadisti nel 2013. Una donna che si fa chiamare Maria non vuole narrare la sua storia, ma quella dei vicini: «Quella notte di ottobre, sono arrivati gli uomini dell’Isis. Hanno gridato “Allahu Akbar” tre volte. Poi hanno ucciso tutti: nonna, nonno, madre, padre, figlia e figlio. Tre generazioni. Hanno gettato i loro corpi nella fontana».

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