Colpevolizzare le vittime, la reazione degli islamisti radicali a un film sui non credenti

ott 31, 2016 0 comments
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Da Micromega

Pochi giorni fa la tv britannica ha trasmesso il film di Deeyah Khan, Islam Non-Believers (I non credenti dell’Islam) e le proteste degli integralisti non si sono fatte attendere. Proteste che preparano il terreno affinché un’eventuale “reazione” brutale, quella minacciata contro i giovani atei, sia giudicata “legittima” da quelli che dovrebbero essere i nostri alleati, ovvero le organizzazioni di sinistra e quelle in difesa dei diritti umani, sulla base del perverso e pericoloso argomento del “in fondo però se la sono cercata”. 

Di Marieme Helie Lucas 

Da una trentina d’anni ormai la politica ci offre esempi del concetto di perversione in psicologia: veri e propri casi clinici, da studiare con attenzione. 

Durante il “decennio nero” dell’Algeria, che fece circa 200mila vittime soprattutto per mano di gruppi armati integralisti, ho preso coscienza di un fatto: tra di esse c’era un’altissima percentuale di donne. 

Abbiamo assistito poi, con un’inesorabile accelerazione, a una serie di stadi successivi: 

- nei primi anni Novanta sono stati deliberatamente assassinati cittadini giudicati miscredenti (kofr). Si trattava in realtà di semplici democratici come me e come voi: fautori di un regime di democrazia, che si avversavano l’instaurazione della teocrazia. Ricordiamo tra parentesi che nel 1991 (prima cioè che entrasse in vigore il sistema elettorale, e dunque prima che tale sistema venisse sospeso dal governo) Ali Belhadj, vicepresidente del Fronte islamico di salvezza, dichiarava alla stampa internazionale: “Abbiamo già la legge di Dio: perché dovremmo volere la legge degli uomini? Tutti questi miscredenti andrebbero ammazzati!” a metà degli anni novanta le uccisioni hanno riguardato intere categorie di persone: giornalisti, intellettuali, artisti, stranieri, donne eccetera. L’individuazione dei bersagli veniva preannunciata sui giornali integralisti di Londra, gli stessi giornali su cui veniva poi rivendicata mediante i comunicati firmati dai GIA (Gruppi armati islamici). 

- alla fine di quel decennio, infine, i massacri devastarono interi villaggi, accusati di essere covi di miscredenti, e si giunse a sterminare in una stessa azione anche venti membri di una stessa famiglia. 

Riuscite a indovinare che cosa accadde? Accadde che furono le vittime – i democratici, gli antifascisti, gli anti-integralisti algerini, che contro i carnefici non avevano impugnato le armi ma la penna: furono loro a essere etichettati, dalla stampa europea di sinistra e dalle organizzazioni per la tutela dei diritti umani, come “sterminatori” da trascinare nel fango! 

Non riesco neanche a descrivere il senso di follia che si impadronisce di una persona davanti a questo ribaltamento delle responsabilità; ci si sente come la ragazza stuprata, la moglie picchiata, la figlia frustata a cui i giudici, la polizia, la famiglia e la stampa spiegano – tutti insieme, da sempre – che sono loro le vere responsabili delle aggressioni sessuali, delle violenze domestiche, delle punizioni corporali “educative”.
Che proprio i loro comportamenti libertari (caspita, davvero libertari! Andarsene in giro nei luoghi pubblici, esprimere un’opinione, insomma, esercitare i propri diritti umani!) hanno “provocato” quelle reazioni. Reazioni che diventano quindi, tutt’a un tratto, perfettamente legittime... Sì, abbiamo già una lunga esperienza di questa perversione che trasforma come per magia la vittima in carnefice, che le addossa la colpa dei crimini subiti. 

Pochi giorni fa la tv britannica ha presentato un film di Deeyah Khan, Islam Non-Believers (I non credenti dell’Islam)sul destino degli atei nei paesi musulmani, sui giovani, sempre più numerosi, che si dichiarano atei a rischio della vita (un fenomeno tra i più importanti dell’ultimo decennio, benché la stampa europea non gli abbia ancora attribuito la minima importanza) e sulle organizzazioni della resistenza che li aiutano. L’obiettivo principale del film è dare voce ai giovani atei e illustrare l’attività dei Consigli degli Ex-musulmani, che stanno nascendo un po’ ovunque nei paesi musulmani e tra la diaspora, soffermandosi in particolare sul Consiglio fondato in Gran Bretagna e sulla straordinaria donna che lo anima, Maryam Namazie. 

Non può destare meraviglia che il film abbia scatenato le proteste degli integralisti musulmani, e che tali proteste siano state diffuse e diramate ovunque, sul web e sui giornali: si tratta di una reazione del tutto prevedibile. Le argomentazioni sono ben note e ben rodate: denunciare chi ha istigato – con dichiarazioni pubblicamente accessibili in rete – a uccidere gli atei equivale a utilizzare malignamente “interpretazioni fuorvianti di tali dichiarazioni” e si configura come un attacco contro l’Islam in quanto tale. Significa quindi essere dei miscredenti, dei kofr, che meritano la pena di morte! Più chiari di così non si potrebbe essere... Si tratta di vere e proprie minacce rivolte a tutte le persone coinvolte nel film, dalla regista agli organizzatori dei movimenti di sostegno fino ai giovani di cui la pellicola raccoglie le testimonianze. 

Cosa dicono in sostanza questi ragazzi? Che da quando hanno smesso di credere nella religione in cui sono nati e a cui sono stati educati – un processo spesso lungo e doloroso, che di solito inizia con l’adolescenza – sono sprofondati in una terribile solitudine morale e affettiva; e che molto prima della paura, spaventosamente concreta, di essere uccisi per le loro opinioni, ci sono anni di sofferenza per l’angoscia di poter essere rifiutati dalla famiglia e incorrere nell’ostracismo sociale. 

Ad Algeri, dove sono cresciuta, dopo l’indipendenza (1962) c’erano molti giovani a-religiosi di fatto, se non proprio atei dichiarati: già allora molti vivevano nel terrore che la madre li scoprisse a mangiare durante il Ramadan! Quale pubblico funzionario avrebbe osato far aprire le mense aziendali nel periodo del digiuno? (Risposta: uno solo, in tutta l’Algeria, per il settore siderurgico).
Non ci si può quindi stupire se cinquant’anni dopo – in una fase di straordinaria fioritura di movimenti reazionari, di estrema destra e integralisti – vediamo ammazzare i blogger atei in Bangladesh o gli scrittori libertari in Egitto, in India e altrove. La regista Deeyah Khan passa in rassegna i recenti omicidi di persone atee in Bangladesh per evidenziare il legame con la paura che attanaglia i giovani atei, anche quelli che si sono rifugiati nel Regno Unito – molti dei quali hanno nascosto il volto, durante le riprese della loro testimonianza, per paura di rappresaglie. 

Sì, paura. Oggi, nel Regno Unito, a Londra: paura di essere aggrediti fisicamente, di essere assassinati. Vi sembra una preoccupazione tanto infondata? Io credo di no: a Parigi ci sono giornalisti di origine algerina, che si occupano soprattutto di integralismo musulmano, che da anni vivono sotto scorta; un’attrice di teatro di origine algerina è stata aggredita in pieno giorno, hanno cercato di bruciarla viva a due passi dal teatro dove andava in scena la sua pièce, J’ai trente ans et je me cache encore pour fumer (“Ho trent’anni e ancora mi nascondo per fumare”)... Dall’affare Rushdie in poi, non hanno mai smesso... 

Gli integralisti musulmani che oggi si scatenano contro il film “L’Islam dei non credenti” preparano il terreno affinché un’eventuale “reazione” brutale, quella minacciata contro i giovani atei, sia giudicata “legittima” da quelli che dovrebbero essere i nostri alleati, ovvero le organizzazioni di sinistra e quelle in difesa dei diritti umani: dopo tutto, se questi ragazzi “insultano l’Islam” e se i musulmani si offendono... Ci torna alla mente Charlie

Immaginiamo per un attimo che i cattolici integralisti istigassero regolarmente all’uccisione degli atei europei, sostenendo che la loro assenza di fede costituisce un insulto al cristianesimo... Significherebbe tornare ai tempi del Cavaliere de la Barre, anche lui torturato e giustiziato giovanissimo esattamente per le stesse ragioni di questi giovani ex musulmani contemporanei. Le forze di sinistra e le organizzazioni umanitarie potrebbero tollerare un simile comportamento, se si trattasse di integralisti cristiani? Permettetemi di dubitarne. Allora perché questo trattamento speciale quando c’è di mezzo l’Islam? Perché tanta “tolleranza”, che nasconde in realtà un razzismo inconscio, davanti alle violazioni del diritto alla libertà di coscienza e di espressione, persino nel cuore dell’Europa? 

Conosciamo già la risposta, e non c’è motivo per ritornare sull’argomento se non per ricordare che non è una motivazione accettabile. No, quando una persona dichiara pubblicamente di aver smesso di credere in dio non si configura un insulto all’Islam né al cristianesimo, né a qualsiasi altra religione. Si configura l’esercizio di un diritto fondamentale, riconosciuto dalla dichiarazione internazionale sui diritti umani. È chi impedisce con la forza l’esercizio di quel diritto a commettere un crimine, non chi lo esercita. È un’ovvietà, ma con i tempi che corrono ricordarla non è inutile. 

Traduzione di Anna Tagliavini per Micromega(http://temi.repubblica.it/micromega-online/)

http://temi.repubblica.it/micromega-online/colpevolizzare-le-vittime-la-reazione-degli-islamisti-a-un-film-sui-non-credenti/?h=0

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