Le poesie libere e randagie di Sergio Atzeni, oltre le categorie e le etichette

ott 11, 2025 0 comments


Di Mattia Lasio

«La poesia è azione clandestina, sabotaggio, sfida perdente all’ordine delle cose». Queste parole Sergio Atzeni le scrisse nella sua casa di Quartucciu nel maggio 1984 dando la sua personale interpretazione di cosa rappresenta la poesia e l’arte del verseggiare.

La ricorrenza dei trent’anni dalla sua prematura scomparsa, avvenuta in quel di Carloforte il 6 settembre all’età di 42 anni, è un’occasione preziosa per riflettere sull’Azteni poeta e non solo sulla sua attività di romanziere che in tantissimi conoscono riconoscendone l’assoluto talento narrativo.

La prima domanda che ci pone è, forse, quella più consueta e attesa: cosa cambia da Atzeni scrittore in prosa all’Atzeni poeta? Per chi ha un occhio attento e la capacità di cogliere il certosino labor limae nella sua scrittura sono lampanti le somiglianze e i tanti punti in comune. Perché le poesie di Atzeni, pur muovendosi freneticamente su traiettorie a tratti astratte e quasi febbrili dai contorni sfumati, non rinunciano mai a quella concretezza che la prosa comporta. Nelle sue poesie, raccolte nella dettagliata opera ‘’Versus’’ pubblicata nel 2008 dalla casa editrice de Il Maestrale, curata con la massima precisione  dal filologo e critico letterario nuorese Giancarlo Porcu, non viene mai meno il desiderio di descrivere ciò che vede, tratteggiando minuziosamente i personaggi che incontra, proprio come i luoghi che attraversa nel suo cammino e nei quali lascia una parte di sé.

Quelle di Sergio Atzeni sono poesie sinceramente libere, in quanto senza quei vincoli che farebbero venire meno la loro essenza più pura, sono poesie randagie, raffinatamente sporche, sognanti, colte e ancorate alla realtà: una realtà che non è possibile comprendere del tutto, anzi forse non è comprensibile nemmeno in minima parte. Ma, nonostante ciò, è possibile darle un senso, tramite versi che non vogliono essere incanalate in categorie concettuali fini a se stesse.

La raccolta ‘’Versus’’ si articola in varie sezioni: ‘’La gallina di Lovicu Lobina’’, disposta dallo stesso Atzeni nel 1995 poco prima della morte e pubblicata postuma due anni dopo con il titolo di ‘’Due colori esistono al mondo, il verde è il secondo’’, ‘’Zerezas i storieddas i kantus de amorau, le ‘’Poesie escluse’’ senza dimenticare anche l’opera teatrale in versi ‘’Quel maggio 1906. Ballata per una rivolta cagliaritana’’, scritta nel settantesimo anniversario dell’insurrezione cagliaritana del 1906 passata alla storia come ‘’la rivolta del pane’’, rappresentata in occasione della festa dell’Unità andata in scena nel piazzale del Bastione Saint Remy, e il suo rimaneggiamento intitolato ‘’Filastrocca di quando buttavano a mare i tram’’.

Il legame con la propria terra risalta subito in ‘Mi basta saper suonare a malapena una tarantella – che Atzeni definisce una delle tre parti che compongono ‘’La gallina di Lovicu Lobina’’ insieme a ‘’Due colori esistono al mondo, il verde è il secondo’’ e “Filastrocca di quando buttavano a mare i tram’’ – dove Atzeni, in riferimento ai suoi viaggi in giro per l’Europa, parla della Sardegna come necessaria alla propria sopravvivenza. Da quel momento in poi prende avvio uno spettacolo lirico ricco di sfaccettature: si parla di vecchi angeli stanchi con occhi rossi e palpebre gonfie, si descrivono fiori dalla delicatezza rara, si prende consapevolezza che nella vita l’impegno non basta mai, con parole che restano impresse quali: «nascendo ho perduto, vivendo non ho vinto, ora non ho niente, ho preso e dato morsi e sputi inutilmente». Non mancano le domande esistenziali come: «non ho che solitudini?», così come si capta la sofferenza per la nostalgia del mare. Una profonda spiritualità permea questi versi come ci si accorge leggendo passi dell’opera in cui afferma: «Posso sussurrarlo all’orecchio? Il Signore non ama i martiri. Dona talenti da far fruttare, non vite da spezzare a metà», una critica quella dell’autore a chi strumentalizza la religione offuscando il pensiero critico. Si parla di vittime e di carnefici, ci si rivolge direttamente a Dio implorando di avere compassione in quanto “uomini” nel pieno senso del termine, ovvero pieni zeppi di contraddizioni. 

FONTE E ARTICOLO COMPLETO: https://www.manifestosardo.org/le-poesie-libere-e-randagie-di-sergio-atzeni-oltre-le-categorie-e-le-etichette/

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