Nelle pieghe della lotta alle malattie tropicali più trascurate si muove un attore minuscolo e silenzioso, un batterio che vive all’interno delle cellule di insetti e aracnidi, e che da qualche anno ha iniziato a riscrivere il rapporto tra scienza, sviluppo e potere. Si chiama Wolbachia, e la sua storia racconta non solo di biologia e salute pubblica, ma di equilibri geopolitici che stanno cambiando in profondità.

Il problema è noto: ogni anno decine di milioni di persone si ammalano di dengue, e migliaia muoiono per complicazioni emorragiche o per mancanza di accesso a cure adeguate. Le cifre oscillano, ma le stime più accreditate parlano di oltre 60 milioni di casi sintomatici e centinaia di migliaia di ospedalizzazioni. Il virus è trasmesso da Aedes aegypti, la zanzara urbana per eccellenza, adattata ai climi tropicali e ai serbatoi d’acqua stagnante delle periferie in espansione. Da decenni la prevenzione si affida a pesticidi e campagne di bonifica, con risultati intermittenti. La zanzara resiste, si adatta, e le città tropicali crescono più velocemente dei programmi di controllo.
La svolta è arrivata da un’idea tanto semplice quanto radicale: usare un batterio naturale per interrompere la trasmissione del virus. Gli scienziati sapevano che Wolbachia, già presente in molte specie di insetti, interferisce con la replicazione di diversi virus all’interno delle cellule. Inserito artificialmente nella zanzara Aedes aegypti, il batterio ne riduce drasticamente la capacità di trasmettere il virus della dengue, oltre ad altri patogeni come Zika, chikungunya e febbre gialla. È una forma di “vaccinazione biologica” del vettore.
Nel 2021, un grande studio randomizzato condotto a Yogyakarta, in Indonesia, ha dimostrato l’efficacia del metodo su scala urbana: nelle aree dove le zanzare infettate da Wolbachia erano state rilasciate, i casi di dengue confermati virologicamente sono crollati del 77 %, e i ricoveri ospedalieri si sono ridotti dell’86%. È stata la prima prova scientifica solida che un controllo biologico del vettore può ottenere risultati epidemiologici paragonabili a un vaccino di massa. L’esperimento ha segnato un punto di svolta e ha spinto diversi paesi, dal Brasile al Vietnam, a introdurre progetti analoghi su scala crescente.
Ma dietro i dati sanitari si muove un quadro politico molto più complesso. Wolbachia non è solo un intervento tecnico: è una tecnologia che, una volta avviata, si autosostiene. Il batterio si trasmette da una generazione di zanzare alla successiva e, con il tempo, può diffondersi stabilmente nella popolazione locale. Ciò significa che un paese tropicale con infrastrutture adeguate può gestire la propria difesa sanitaria senza dipendere da forniture esterne di farmaci o vaccini. In un mondo in cui la salute è anche strumento di influenza e soft power, questo rappresenta una piccola rivoluzione.
L’Indonesia, ad esempio, ha costruito fabbriche per la produzione di milioni di zanzare “trattate” e ha integrato la strategia nel proprio sistema sanitario. In Brasile, il governo ha annunciato un piano per proteggere oltre cento milioni di cittadini attraverso una biofabbrica pubblica capace di allevare decine di milioni di zanzare a settimana. Non si tratta più di progetti sperimentali, ma di vere politiche industriali della salute, dove biotecnologia, sviluppo urbano e diplomazia si intrecciano.

Le implicazioni geopolitiche sono evidenti. Per la prima volta, la lotta contro una malattia tropicale non passa attraverso la filiera del Nord globale, ma attraverso un sapere biologico replicabile, adattabile e in gran parte open source. La conoscenza scientifica viene condivisa tra università, enti pubblici e programmi multilaterali, come il World Mosquito Program, che collabora con governi e comunità locali. In teoria, qualunque paese può adottare la tecnologia, produrre le proprie zanzare, e liberarsi progressivamente dalla dipendenza dai programmi di donazione internazionale. In pratica, però, questo processo non è privo di attriti: la produzione su larga scala richiede investimenti, infrastrutture di laboratorio, personale tecnico, reti di monitoraggio e una governance sanitaria capace di sostenere il progetto nel tempo.
Il controllo biologico basato su Wolbachia apre anche nuove questioni di bioetica e comunicazione pubblica. A differenza delle zanzare geneticamente modificate, quelle infettate da Wolbachia non sono transgeniche, ma il concetto di “rilascio di zanzare infette” può generare diffidenza nelle comunità. In Indonesia, il successo del progetto è stato legato anche a una strategia di coinvolgimento sociale capillare: incontri nei quartieri, formazione di volontari, spiegazioni porta a porta. In assenza di fiducia, ogni programma di rilascio rischia di fallire. Il dato politico, qui, è evidente: la scienza funziona solo se incontra il consenso sociale.
L’aspetto economico è altrettanto cruciale. Secondo modelli di costo-efficacia elaborati dall’Università di Melbourne, per ogni dollaro investito in programmi Wolbachia si possono ottenere benefici sanitari valutati tra 1,35 e 3,4 dollari in termini di riduzione dei costi medici e perdite di produttività. Tuttavia, il costo iniziale di implementazione può essere alto per i Paesi a basso reddito. È una barriera che rischia di perpetuare il divario: chi riesce a finanziare e gestire il programma guadagna autonomia sanitaria; chi non può, resta dipendente da aiuti e interventi emergenziali. Anche in questo caso, la salute diventa terreno di equilibrio geopolitico.
Il successo di Wolbachia non cancella i rischi e le incertezze. La durata della protezione a lungo termine, la possibilità che il virus sviluppi meccanismi di adattamento o che fattori ambientali modifichino la stabilità del batterio sono questioni ancora aperte. Gli scienziati sottolineano la necessità di un monitoraggio continuo, di sistemi di sorveglianza integrati e di protocolli internazionali per evitare squilibri ecologici o interpretazioni allarmistiche. Ma finora, in tutti i contesti dove Wolbachia è stato introdotta, non si sono osservati effetti collaterali rilevanti né sugli ecosistemi né su altre specie.
Nel quadro più ampio della salute globale, Wolbachia rappresenta un laboratorio politico e culturale. Mostra come una tecnologia “povera”possa diventare un simbolo di sovranità sanitaria e di cooperazione Sud-Sud. In un momento in cui il cambiamento climatico sta espandendo l’area di diffusione delle zanzare vettori verso regioni prima temperate — come il Mediterraneo o l’Europa meridionale — anche i paesi ricchi iniziano a guardare a questa soluzione con interesse. La logica non è più solo quella di aiutare il Sud globale, ma di prevenire il ritorno di malattie che potrebbero diventare endemiche anche a nord dell’Equatore.
Nel futuro prossimo, il successo di Wolbachia potrebbe ridisegnare le priorità della diplomazia sanitaria. Finora la salute globale è stata dominata dal paradigma del farmaco e del vaccino, strumenti ad alta intensità tecnologica controllati da poche potenze industriali. Ora emerge un modello più diffuso, che valorizza la biologia applicata e la produzione locale, con un impatto diretto sulle relazioni tra nazioni e sul modo in cui le società concepiscono la propria sicurezza biologica.
La geopolitica della salute, in fondo, è anche una geopolitica della fiducia: tra governi e cittadini, tra Nord e Sud, tra scienza e politica. Wolbachia mostra che la soluzione ai mali tropicali potrebbe arrivare da un batterio che la natura ci aveva già consegnato. La sfida sarà farne uno strumento di giustizia sanitaria globale, evitando che diventi l’ennesima linea di frattura tra chi può permettersi l’innovazione e chi resta esposto al contagio. Un piccolo segno di come la biologia, la politica e la cooperazione internazionale possano ancora trovare, insieme, una via per invertire la rotta della disuguaglianza sanitaria.

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