UCRAINA: La tragedia dimenticata dei pugliesi di Crimea, deportati da Stalin

ago 30, 2017 0 comments
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Di Ida Valicenti
Nel libro L’olocausto sconosciuto: lo sterminio degli Italiani di Crimea (Edizioni il Settimo Sigillo, 2008), il professor Giulio Vignoli e Giulia Giacchetti Boico portano alla luce un episodio poco conosciuto alla storia, il dramma della deportazione subita dalla piccola comunità italiana di Kerch, in Crimea. Il libro, attraverso documenti inediti e testimonianze, vuole sensibilizzare l’opinione pubblica sulla deportazione in Siberia subita dagli italiani di Crimea durante la Seconda guerra mondiale, e ad oggi ancora non riconosciuta né dal governo ucraino né da quello italiano.
La comunità italiana di Kerch
Tra il 1830 e il 1870, attratta dalle promesse di buoni guadagni e dal miraggio di fertili terre quasi vergini, offerte dallo zar a buon prezzo, per ripopolare e rivitalizzare la cosiddetta Nuova Russiauna piccola comunità italiana emigrò a Kerch, in Crimea. Essi provenivano soprattutto dalla Puglia, molti agricoltori, frutticoltori, orticoltori, viticoltori e marinai di BisceglieMolfettaTrani e Bari.
La comunità pugliese ben presto si distinse per le sue abilità, contribuendo al fiorire dell’agricoltura e del commercio di Kerch. Nel 1840 costruì anche una piccola Chiesa cattolica e una scuola per i bambini della comunità. Nel 1940, la comunità contava circa 1100 persone.
La Rivoluzione bolscevica
In seguito alla vittoria dei “rossi” nella guerra civile russa, nel 1921, la Crimea entrò a far parte della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa (RSFSR). Come conseguenza della Rivoluzione bolscevica, i connazionali di Kerch furono costretti a subire la collettivizzazione forzata delle campagne. La piccola comunità pugliese fu requisita, alcuni di loro fecero rientro in Italia, altri furono privati dei documenti di riconoscimento e identificati con i libretti di lavoro da trudodni, e relegati nei kolchoz. Il partito comunista prese il controllo della città e la propaganda marxista portò all’ateizzazione della società con conseguente chiusura della chiesa italiana e allontanamento del parroco. La Crimea conobbe un momento particolarmente duro della sua storia durante la Seconda guerra mondiale, fatto di violenti operazioni belliche, deportazioni che colpirono le popolazioni locali sospettate di collaborare con gli invasori tedeschi, compresa la comunità pugliese di Kerch.
L’accusa e la deportazione
La città di Kerch fu occupata dall’esercito nazista il 16 novembre 1941. Il 30 dicembre fu riconquistata dai sovietici. Nella testimonianza raccolta da Giulia Giacchetti Boico e del professor Giulio Vignoli, la superstite Paolina Evangelista, originaria di Bisceglie, che riuscì a rubare il passaporto di una donna russa morta e a scappare con i suoi bambini dal treno diretto in Siberia, racconta: “Era il 29 gennaio 1942, ricordo molto bene quel giorno. Venne una macchina della polizia speciale, dissero che ci davano un’ora e mezza di tempo e poi ci avrebbero deportati. (…) Ci portarono a Novorossijsk, ci fecero il bagno. Poi ci misero in dieci vagoni bestiame. Su questo treno facemmo un lungo viaggio che durò due mesi (…) I miei figli di 2 e 5 anni morirono, come tutti, di tifo petecchiale e di polmonite. Quando arrivammo nel Kazakistan ci dissero: vi hanno mandato qui perché moriate tutti! Sul nostro documento d’identità c’era scritto “deportato speciale”.
Il non riconoscimento
Attualmente gli italiani in Crimea che vivono a Kerch sono poco più di trecento. La comunità si batte per far conoscere la deportazione subita dai loro nonni, zii e parenti, ma la difficoltà di reperire i documenti richiesti dalle autorità diplomatiche italiane e ucraine non ha portato ad alcun risultato. I documenti personali dei connazionali pugliesi vennero distrutti durante la tratta in Siberia, e molti di loro, una volta tornati sullo stretto di Kerch, dovettero cambiare la cittadinanza, russificarsi, per poter lavorare come marinai o con le loro navi di trasporto nel porto della città.

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