Israele attacca l’Iran, la reazione degli USA e lo scenario internazionale

giu 13, 2025 0 comments


Di Giuseppe Gagliano

Nella notte il Medio Oriente ha tremato sotto il peso di una mossa audace e senza precedenti: Israele ha lanciato una massiccia campagna di bombardamenti contro l’Iran, colpendo infrastrutture strategiche del suo programma nucleare e decimando figure chiave del suo establishment militare. Un’operazione che segna un punto di svolta nella storia della regione, un atto che Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, sembra aver pianificato per anni, attraversando il proverbiale Rubicone con una determinazione che lascia il mondo con il fiato sospeso.

Un’offensiva su più fronti

L’attacco si è articolato in cinque ondate distinte, un’operazione di precisione chirurgica e di portata devastante. Il principale impianto di arricchimento nucleare di Natanz, cuore pulsante del programma atomico iraniano, è stato gravemente danneggiato, come confermato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA). Colpiti anche il centro di ricerca nucleare di Tabriz, basi militari strategiche a Kermanshah, Arak e Isfahan, e, in un colpo audace, la capitale Teheran. Qui, raid mirati hanno eliminato figure di spicco delle forze armate iraniane: il generale di brigata Mohammad Bagheri, comandante in capo delle Forze Armate e secondo solo alla Guida Suprema Ali Khamenei; il suo vice, Gholamali Rashid; Hossein Salami, capo delle potenti Guardie Rivoluzionarie; e due scienziati nucleari di primo piano, Mohammad Mehdi Tehranchi e Fereydoun Abbasi.
Non meno significativo l’attacco ha ferito gravemente Ali Shamkhani, consigliere di Khamenei e figura chiave nei negoziati con gli Stati Uniti per il rilancio dell’accordo sul nucleare. Questo colpo sembra inviare un messaggio chiaro: Israele non solo vuole smantellare le capacità nucleari iraniane, ma intende sabotare qualsiasi possibilità di dialogo diplomatico tra Teheran e Washington.

L’operazione israeliana non è stata un fulmine a ciel sereno. Da quando Netanyahu è tornato al potere nel 2009, l’Iran è stato un’ossessione strategica per Tel Aviv. La raccolta di intelligence del Mossad, nota per la sua efficienza e capillarità, ha permesso di identificare obiettivi precisi in tutto il territorio iraniano, dalle infrastrutture nucleari nascoste nelle viscere del deserto alle residenze dei leader militari nella capitale. L’attacco è stato giustificato da Tel Aviv come una risposta diretta alle accuse mosse dall’AIEA, che giovedì ha votato una risoluzione contro l’Iran, denunciando violazioni degli obblighi di non proliferazione nucleare.
Un funzionario israeliano, citato dal New York Times, ha dichiarato che Teheran possiede materiale sufficiente per assemblare “15 bombe nucleari in pochi giorni”, un’affermazione che, vera o meno, ha fornito a Israele la legittimazione per agire. Il capo di stato maggiore delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), Eyal Zamir, ha descritto l’operazione come un “attacco preventivo” contro un programma nucleare che avrebbe raggiunto un “punto di non ritorno”. Parole che tradiscono un senso di urgenza, ma anche un calcolo politico: l’attacco non è solo militare, è un messaggio al mondo.
Sorprendentemente, Israele sembra aver agito senza il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti, storico alleato. Washington, che negli ultimi mesi aveva intensificato i negoziati con l’Iran per un nuovo accordo sul nucleare, si è dichiarata estranea ai raid. Questa distanza è significativa: gli Stati Uniti, sotto la presidenza di Joe Biden, hanno cercato di bilanciare il sostegno a Israele con un approccio diplomatico verso Teheran. L’attacco israeliano, però, mette in crisi questa strategia, costringendo l’amministrazione americana a riconsiderare la propria posizione.

Con l’elezione di Donald Trump, la situazione si complica ulteriormente. Trump, noto per la sua linea dura contro l’Iran e il suo sostegno incondizionato a Israele, potrebbe vedere nell’azione di Netanyahu un’opportunità per ridisegnare la geopolitica mediorientale. Tuttavia, la Casa Bianca ha espresso contrarietà di principio ai raid, lasciando aperto l’interrogativo su come gli Stati Uniti si posizioneranno di fronte a un’escalation che appare inevitabile.
L’attacco di Israele non è solo un’operazione militare, ma un atto di sabotaggio strategico su scala regionale. Colpendo simultaneamente il programma nucleare iraniano e la sua leadership militare, Tel Aviv ha alzato la posta in gioco, rischiando di innescare una reazione a catena. L’Iran, nonostante il colpo subito, dispone ancora di milizie alleate in Libano, Siria, Iraq e Yemen, e potrebbe rispondere attraverso attacchi asimmetrici o rappresaglie dirette. Hezbollah, in particolare, potrebbe intensificare le operazioni al confine con Israele, mentre i proxy iraniani in Iraq e Siria potrebbero colpire basi americane, trascinando gli Stati Uniti nel conflitto.
Inoltre, la Cina e la Russia, partner strategici di Teheran, non resteranno a guardare. Pechino, che importa ingenti quantità di petrolio iraniano, potrebbe esercitare pressioni diplomatiche per condannare Israele, mentre Mosca, già impegnata in una competizione geopolitica con l’Occidente, potrebbe vedere nell’attacco un’opportunità per rafforzare la propria influenza in Medio Oriente.

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