Twitter, come funziona il suo algoritmo misterioso

mar 10, 2017 0 comments
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La caratteristica di Twitter era di non avere un algoritmo che regolava la timeline. Ed era molto apprezzato per questo. Poi, nel 2016, su impulso di Jack Dorsey, la società ha cambiato strategia e ne ha messo a punto uno. Adesso Twitter può proporre agli utenti una sezione di “In caso ve lo foste perso..”, in cui recupera alcuni tweet di particolare interesse, e anche aggiunge tweet “promossi” di persone che non si seguono. Qualcosa è cambiato, con l’algoritmo, ma poco. Quello che resta sicuro, però, è che si sa molto poco di come funzioni.
Will Oremus ne ha fatto un’inchiesta, e l’ha scritta su Slate. Cosa ha scoperto? Alcune cose curiose ci sono. Prima di tutto, la modifica è risultata efficace. Da quando i contenuti sono stati riorganizzati si è registrato un incremento dell’attività su Twitter. I veterani lo usano di più, i nuovi lo capiscono subito e meglio. Una risposta che i proprietari non si aspettavano.
Il secondo punto è che l’algoritmo, ora che è stato creato, è in continua e perpetua mutazione. Secondo quanto spiega Deepak Rao, il product manager che segue il tema, vengono effettuati ogni mese diversi test. A seconda delle risposte, si decide come modificarlo.
Il terzo aspetto è che, ora, l’algoritmo rende la timeline di ciascun utente del tutto personalizzata. Non è più un social in senso stretto, ma un servizio di informazioni personalizzate. La differenza c’è: adesso i tweet che vengono mostrati non seguono un semplice ordine cronologico, ma si adeguano a diversi criteri. Ad esempio il numero di retweet, i like e il tempo passato a leggerli. O l’interesse già dimostrato nei confronti del twittatore (se ad esempio si segue e si retwitta spesso Gianni Riotta, l’algoritmo asseconderà questa balzana preferenza, mostrando altri tweet di Gianni Riotta). Conta anche se è recente o meno, se contiene immagini o link o gif, e tante altre cose.
Non è una cavolata: il modo in cui Twitter decide cosa mostrare o meno non è privo di effetti. Contribuisce a creare una filter bubble, cioè una “bolla” attraverso cui passano alcune informazioni e non altre, e saranno quelle che già piacciono/assomigliano all’utente. Non ci si confronta più, insomma. Ci si rassicura.

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