Martina prova a ricompattare il Pd: “Con il M5S capitolo chiuso”

mag 3, 2018 0 comments
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Di Carlo Bertini

Maurizio Martina finisce di parlare e tutti in sala capiscono che la mediazione guidata da Lorenzo Guerini ha avuto esito positivo. Davanti a Gentiloni seduto in prima fila, con Renzi accomodato una fila dietro, il “reggente” infatti sgombra il campo dalla discussione sul dialogo con i 5Stelle, «capitolo chiuso», taglia corto polemicamente. 

E dopo aver avvisato che «ora il dato di fatto è il rischio di un voto anticipato» chiede una fiducia «non di facciata»: ma solo per gestire il partito fino all’assemblea nazionale e non per almeno un anno, fino al congresso. I renziani in sala si guardano, è il segnale che tutto andrà come volevano. Ovvero che si potrà concludere la famosa resa dei conti di questa Direzione, con un voto unitario che non spacchi il partito. E che dia tempo a Renzi per la ricerca di un nuovo segretario da spedire ai gazebo delle primarie, per mantenere - questa è la speranza - il potere sul partito. 

Se Martina avesse chiesto un voto di fiducia per un anno o più, tutto sarebbe stato più complicato. E invece no. Ora il dibattito potrà andare avanti, ma se queste sono le premesse, forse non ci sarà la lacerazione che molti militanti e dirigenti temevano e che altri avrebbero invece preferito per mettere un argine interno al potere renziano. 

Ma non è solo la fiducia su sè stesso al centro del discorso del segretario reggente. Il Pd sembra pronto a rispondere sì al pressing per un governo istituzionale, «lunedì si terranno nuove consultazioni e noi certamente dovremo avere un atteggiamento costruttivo verso la presidenza». Con la premessa che il Pd non potrà mai essere socio di Salvini, Meloni e Berlusconi. Quanto ai grillini, Martina chiarisce l’approccio: «Non si è mai trattato di decidere con un si o un no, se fare un’alleanza o votare la fiducia a un governo Di Maio. Si trattava di lanciare con il confronto una sfida politica e culturale diretta a quel movimento che tanto ha eroso il nostro consenso anche il 4 marzo. E sfidarli proprio sul terreno del cambiamento. Nessuna rinuncia ai nostri valori. Non una resa, ma un rilancio». Ma ciò non è stato, «oggi non discutiamo di questo perché i fatti dei giorni scorsi hanno cambiato le cose». Implicito riferimento all’intervista della discordia di Renzi da Fazio. 

Anche la pars costruens, ovvero l’indicazione della via da seguire, ha avuto il suo spazio. «Basta con la logica dell’amico-nemico in casa nostra! Possiamo farcela se decidiamo una volta per tutte di curare la nostra autoreferenzialità, se apriamo porte e finestre all’impegno di altri con noi e se la smettiamo di scambiare la lealtà che si deve sempre a un impegno politico con la cieca fedeltà acritica di stagione. A Roma come nei territori. Riprendiamo lo spirito originario del partito democratico». La discussione può cominciare, il nodo di un «ongresso nei tempi giusti» e cioè non troppo in là riscalderà gli animi. Ma la conclusione non dovrebbe essere sanguinolenta. 

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