Mary Celeste, dietro il mito creato da Conan Doyle forse una truffa assicurativa

set 3, 2015 0 comments


Di Fabio Pozzo

I due comandanti si erano visti a cena, a New York, il 4 novembre 1872. Tre giorni dopo il capitano Benjamin Spooner Briggs salpò per Genova con il suo mezzo-brigantino, Mary Celeste, carico di 1701 barili di alcol industriale che valevano 35 mila dollari ed erano assicurati per 46 mila. Il 15 novembre prese il largo anche il capitano David Reed Morehouse col brigantino Dei Gratia, con 1.735 barili di petrolio diretti sempre nel Mediterraneo. Per Briggs, 37 anni, americano del Massachusetts, quello era il primo viaggio sulla Mary Celeste. Oltre ai sette membri d’equipaggio, aveva imbarcato la moglie Sarah e la loro Sophia, di due anni; Arthur, il primogenito, sette anni, era rimasto a casa con la nonna perché non perdesse scuola.  





Il comandante Briggs era un ufficiale esperto, figlio di un capitano, fratello di lupi di mare, ma era stanco di navigare. Aveva cercato di mettersi in affari col fratello Oliver, a terra, ma non era andata. Entrambi, però, avevano investito in carati: lui, in una quota minoritaria di quella nave. Non proprio fortunata: lunga 31 metri, di 280 tonnellate di stazza, varata nel 1861 in Nuova Scotia con il nome di The Amazon, aveva già patito collisioni, incagli, danni; cambiato diversi proprietari e subito due restauri. Era stata acquistata a un’asta fallimentare dall’armatore, James Winchester.

L’avvistamento

Mai avrebbe immaginato, Morehouse, di incrociare un veliero senza equipaggio. E mai si sarebbe aspettato fosse il Mary Celeste di Briggs. Quella nave spettrale gli comparve a metà strada tra le Azzorre e il Portogallo, il 5 dicembre, a sei miglia di distanza dalla sua prua: navigava verso Ovest, in controcorsa e a zig zag. A riva cinque vele soltanto, le altre strappate, ammainate o serrate. Il comandante del Dei Gratia inviò a bordo il primo ufficiale Oliver Deveau e il secondo John Wright.  

Quello che gli riportarono gli mise i brividi. Non un’anima. Acqua sottocoperta, boccaporti aperti, uno scardinato. La chiesuola rotta, la bussola rovinata, il timone libero di girare. Nella cabina del comandante la cuccetta disfatta, bagnata. Ed era sparito il gatto di bordo, Poo uh Poo. Una drizza pendeva sfilacciata a poppa. 

Sul giornale di bordo l’ultima annotazione era del 24 novembre; sulla carta nautica la rotta si fermava 30 miglia a Ovest dell’isola di Santa Maria, la più a Sud delle Azzorre. Sulla lavagna, l’ultimo punto nave: alle 8 del 25 novembre il veliero si trovava 6 miglia a Est di Santa Maria… Mancavano anche il sestante e il cronometro, mentre la cassaforte e il suo contenuto erano intatti. E così gli effetti dei marinai e la cambusa. Anche il carico era a posto (salvo nove barili d’alcol quasi vuoti). Non c’era scialuppa, un settore dell’orlo della murata era stato rimosso come se fosse stata calata in mare. A prua, inoltre, sulle fiancate, sarebbero stati trovati due tagli da lama d’ascia.  

Quelli del Dei Gratia condussero il brigantino a Gibilterra. Qui, si aprì l’inchiesta dell’Ammiragliato britannico.  

Il mistero e il mito

La storia del Mary Celeste è un mistero e diventerà mito.  
Ad alimentarlo tra i primi fu il procuratore generale Frederick Solly Flood , che durante le indagini ipotizzò l’ammutinamento e il favoreggiamento del comandante del Dei Gratia per spartirsi la ricompensa del ritrovamento del veliero (sarà minima, 8.300 dollari, stante i sospetti).  

I giornali fecero del loro meglio per esaltare l’insolito, ma fu il talento di un giovane scrittore, Arthur Conan Doyle, il futuro papà di Sherlock Holmes, a dare fuoco alle polveri dell’incredibile, con un racconto pubblicato nel 1884 sulCornhill Magazine (l’equipaggio era stato ucciso da un essere diabolico, nero, che odiava i bianchi) e a consacrare la Mary Celeste - che non era stato e non sarà l’unico veliero ritrovato senza equipaggio - alla notorietà eterna. 

«Il mistero del Mary Celeste va inquadrato in un’epoca, in cui si credeva e voleva credere molto al soprannaturale, al magico, allo spiritismo. E anche alle navi fantasma», spiega Giancarlo Costa, storico navale, scrittore, uno dei curatori della mostra “Mare Monstrum - L’immaginario del mare tra meraviglia e paura” in corso al Galata Museo del Mare di Genova.  
Mostri e paure che ritroviamo tutte puntualmente nel caso Mary Celeste. «Si è detto tutto e il contrario di tutto - prosegue Costa -. Per spiegare la sparizione dell’equipaggio si sono ipotizzate trombe marine, onde anomale, tempeste, iceberg; grandi piovre (kraken), pirati, alieni; folli scommesse, maniaci religiosi; malattie... I giornali hanno continuato ad attingere dall’enigma, facendo apparire di tanto in tanto improbabili superstiti». 

Qualcosa è accaduto, però. «L’ipotesi più acclarata vuole la formazione di gas nelle stive, forse per effetto della trasudazione dell’alcol dei barili, forse con un principio di esplosione, e la paura del comandante Briggs di un incendio letale. Così allaga le stive e poi ordina l’abbandono della nave, su una scialuppa. Pensava di risalire a bordo, ma , forse per il vento che rinforza, la lancia si sfila... il mistero, però, potrebbe anche nascondere una frode assicurativa».

L’ult
 imo viaggio
La Mary Celeste alla fine sbarcò a Genova il carico d’alcol e riprese il mare. Ma la sua nomea tenne lontano gli equipaggi. Fu venduta a gente losca, impiegata in traffici illegali, quindi incagliata per incassare il premio assicurativo e abbandonata.  

Clive Cussler, l’autore di best-seller, che nell’agosto 2001 ne ha ritrovato il relitto sulla barriera corallina di Rochelais, ad Haiti, è convinto che «il suo mistero continuerà a perseguitare tutte le generazioni a venire». 

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