Tutte le ombre di Erdogan

nov 3, 2015 0 comments
Erdogan
Di Gabriele Carrer
La strategia della tensione ha funzionato. La Turchia è ancora il sultanato di Erdogan che commenta: «La volontà nazionale si è manifestata a favore della stabilità. Adesso un partito con circa il 50% in Turchia ha conquistato il potere, questo dovrebbe essere rispettato dal mondo intero, ma non ho visto questa maturità». Il partito Akp del presidente ha riconquistato la maggioranza assoluta in Parlamento con il 49,48% dei voti a livello nazionale. Al partito di Erdogan che ha ottenuto 315 seggi ne mancano però 15 per poter avviare il processo di revisione costituzionale in senso presidenzialista.
I dati delle tre principali città turche dimostrano la riuscita dell’operato repressivo di questi mesi, tra media chiusi e sospetti oppositori in carcere. Ad Instanbul e ad Ankara l’Akp ha ottenuto rispettivamente il 48,92% ed il 48,98% con una crescita di più di sette punti rispetto al voto di giugno. Ancor più sorprendente il risultato di Smirne, roccaforte della formazione laica e socialdemocratica di centro-sinistra Chp, dove il partito di Erdogan ha guadagnato cinque punti percentuali attestandosi al 31,7%.
Ma il fronte che da più tempo preoccupa il sultano è quello curdo. Contro il Pkk prosegue da tre mesi una guerra che ha causato la morte di duemila combattenti curdi. Ma il partito filo-curdo turco Hdp è riuscito ancora una volta ad entrare al parlamento di Ankara superando una soglia assai alta di sbarramento (10%). Pur con un milione di voti in meno rispetto a cinque mesi fa, il l’Hdp è diventato il terzo partito per numero di seggi (59) grazie al contemporaneo crollo dei nazionalisti dell’Mhpfermi a 41. La situazione nel sud-est turco rimane calda dove ad urne ancora aperte si sono verificati scontri tra gli attivisti curdi e la polizia.
Le elezioni turche di giugno erano sembrate una ventata di rinnovamento verso il pluralismo ed una battuta d’arresto nel progetto del sultanato di Erdogan. Dalle proteste di Gezi Park sembrava poter nascere una nuova Turchia, plurale e pacifica: nel giugno 2013 sfilavano donne velate, attivisti LGBT, comunisti, atei e musulmani. Sulla primavera turca è calato l’inverno. Le voci che parlano di nuove elezioni si fanno sempre più forti. Ma soffermandoci su quella che sembrava essere l’unica possibile alleanza di governo, quella tra il partito di Erdogan ed i nazionalisti di estrema destra dell’MHP, scopriamo che questa avrebbe escluso di fatto ogni minoranza religiosa: tutti i deputati sono musulmani sunniti, ad eccezione di un armeno. Fuori dal governo sarebbero rimasti anche i curdi, complicando la strada del processo di pace tra questa minoranza ed il sultano, e gli aleviti,musulmani non sunniti spesso usati come capri espiatori da Erdogan.
Il clima in Turchia è divenuto insopportabile per le minoranze non allineate. Su National Review l’ex parlamentare turco Aykan Erdemir alcuni mesi fa scriveva: «Nei dodici anni del partito AKP di Erdogan, il paese è stato sotto la dieta costante di odio, pregiudizio e intolleranza somministrata dagli alti funzionari del governo. La cultura politica turca ha inoltre permesso agli autori di discorsi di odio e di crimini non solo di sfuggire alla giustizia, ma di godere di lodi e promozioni. Questo clima tossico, come mostra l’indice globale dell’antisemitismo redatto dall’Anti-Defamation League (ADL), ha prodotto una Turchia che è ancora più antisemita che l’Iran. Secondo l’indagine del 2015, ben il 71% dei cittadini turchi ha atteggiamenti antisemiti».

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