20 anni di Google: così un motore di ricerca ci ha cambiato la vita

set 4, 2018 0 comments


Di Bruno Ruffilli e Andrea Daniele Signorelli

Organizzare le informazioni del mondo e renderle universalmente accessibili e utilizzabili: fin dalla nascita è questa la missione di Google, la società nata dalla mente di Larry Page e Sergey Brin. I fondatori di quello che diventerà il colosso di Mountain View si incontrano all’Università di Stanford nel 1995; l’anno seguente sono già al lavoro su un algoritmo (chiamato BackRub, poi rinominato PageRank) in grado di dare priorità alle pagine presenti sul web in base a quanti link hanno ottenuto. 




Un’intuizione tanto semplice quanto efficace, che consente di trovare i contenuti più interessanti del web affidandosi alla loro diffusione in rete. 


Le origini  
Il dominio google.com è stato registrato il 15 settembre 1997 e la società Google Inc. è nata il 4 settembre del 1998. Ma per convenzione Big G celebra il proprio anniversario il 27 settembre, giorno in cui il motore di ricerca ha superato il record di contenuti indicizzati. Il nome viene scelto giocando con “googol”, termine matematico che indica il numero 1 seguito da 100 zeri; secondo Page e Brin, questo doveva riflettere la loro missione di organizzare una quantità infinita di sapere. 

La distanza tra la nascita del motore di ricerca e la nascita dell’omonima società si spiega probabilmente con la volontà di Larry e Sergey di continuare la loro carriera accademica e non entrare a piedi uniti nel mondo dell’imprenditoria tecnologica (cercarono infatti più volte di vendere la loro creazione, anche a un colosso dell’epoca come Yahoo). Furono probabilmente i primi investitori a convincere i creatori di Google a non svendere il loro motore di ricerca e a costruirci attorno una vera azienda: il primo fu il co-fondatore di Sun, Andy Bechtolsheim, che già nel 1998 versò un assegno di 100mila dollari a un’azienda che non era ancora ufficialmente nata. 

La pubblicità  
Un anno dopo, le cifre che girano attorno a Google sono già aumentate vertiginosamente: due fondi di venture capital come KPCB e Sequoia trovano infatti un accordo per investire 25 milioni di dollari nella neonata società. Armati di un algoritmo rivoluzionario e dei fondi necessari, la rivoluzione di Google può cominciare. Ma come monetizzare un motore di ricerca che aiuta gli utenti a orientarsi nel mare della rete? La svolta avviene nel 2000, quando Google sviluppa internamente Google Ads (oggi AdWords): una piattaforma che permette di inserire spazi pubblicitari all’interno delle pagine di Google; personalizzando gli annunci proprio in base alle ricerche compiute dagli utenti. Il successo è tale che, ancora oggi, gli introiti garantiti dai clic alle pubblicità presenti sul motore di ricerca e disseminate per il web rappresentano oltre l’80% del fatturato. 

To google  
Dalla fondazione della società, in un garage a Menlo Park, sono passati due decenni: oggi Google è il motore di ricerca più popolare al mondo tanto da aver dato vita al neologismo “to google” ovvero “fare ricerca sul web”. Ha acquisito YouTube nel 2006, aperto uno store per la musica e uno per le app, ma offre pure ricerche sui voli e recensioni di hotel e ristoranti. A Mountain View si lavora sui robot e sull’intelligenza artificiale, come sui palloni aerostatici per la connettività internet e le auto che si guidano da sole, senza dimenticare i Google Glass, ora destinati a usi professionali. Così dal 2010 Google è parte di un universo ancora più grande, Alphabet, che ha un valore di mercato di 850 miliardi di dollari e un fatturato che supera i 100 miliardi. Merito della capacità di espandersi in una vasta gamma di settori che la società – dal 2005 guidata da Sundar Pichai – ha saputo portare sul mercato: rivoluzionando il mondo digitale, e qualche volta incappando in dolorosi flop. O rimediando multe miliardarie , come quella di recente comminata dalla Commissione Europea per abuso di posizione dominante dei suoi servizi. 

Il sistema operativo del mondo 
Questo perché Google oggi produce Android, il sistema operativo che fa funzionare oltre due miliardi di smartphone: fra un mese arriverà la versione 9 , in concomitanza col lancio del prossimo Pixel. Ma a Mountain View non si accontentano dell’85 per cento del mercato: da poco più di un anno è sul mercato Android One, pensato apposta per dispositivi meno potenti , come gli smartphone di fascia bassa popolarissimi in India e Africa (ma che ora comincia ad arrivare anche da noi, ad esempio su alcuni modelli Xiaomi ). Di più: hanno acquisito Kai OS , l’ultimo erede dei sistemi operativi utilizzati sui cellulari prima che divenissero davvero intelligenti. E così oggi anche un apparecchio economico e molto semplice, come il Nokia 8810, include l’assistente vocale e le Mappe di Google.  

E se i tablet Android non sono proprio un successo di mercato, soprattutto per la scarsità di app ottimizzate, Google per entrare nelle scuole ha usato un altro sistema operativo. Si chiama Chrome, come il browser, e all’inizio era davvero un’idea rivoluzionaria: il computer diventava una specie di terminale stupido per utilizzare software sul cloud, utilizzando internet. Dal 2011, Chrome OS è molto cambiato , oggi è in gran parte utilizzabile anche offline, ed è compatibile con quasi tutti gli accessori e le periferiche in commercio. È diventato popolare nelle scuole, spesso a discapito dell’iPad, ma anche fuori, e attualmente è un concorrente molto serio anche per Windows, che nelle ultime versioni ne ricalca diverse caratteristiche.  

Il futuro  
Mentre si parla di un nuovo software che dovrebbe poter funzionare sia su smartphone che su computer , Google ha già pronti sistemi operativi per smartwatch (Wear OS), Internet Of Things (Android Things), controlla la domotica con Google Home, entra nelle auto con Android Auto. Intanto il futuro non è così lontano: il paradigma dell’informatica che si delinea oggi è sempre più lontano da quello cui siamo cresciuti, con la scrivania, i file e il mouse. Proprio come con Chrome, il sistema operativo è sul cloud e sfrutta la potenza di Google (o Amazon, o Microsoft), sull’apparecchio c’è solo quello che serve per comunicare con i server che si trovano chissà dove. I programmi si chiamano Actions o Skills, si aggiungono ma non si posseggono, si usano finché si pagano, come le canzoni in streaming. L’interazione non avviene più attraverso dita e occhi, ma con la voce e le orecchie: il computer può essere ovunque, e ovunque si può fare una ricerca su Google. Che così può raccogliere altri dati sulle nostre abitudini e i nostri interessi 

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