Gillette e la genderizzazione della violenza

gen 17, 2019 0 comments

Di Albertov

L’ultimo spot di Gillette si apre con la domanda: “è questo il meglio che un uomo può fare?”, quindi scorrono le immagini di atti di bullismo a scuola, di molestie, di capi che tolgono la parola alle colleghe sul luogo di lavoro, di padri che dicono “sò ragazzi” (“boys will be boys” in inglese) mentre osservano i figli che si picchiano e si insultano.
Un accenno, nello spot, fa riferimento al concetto femminista di “mascolinità tossica”.
“Ma qualcosa finalmente sta cambiando”, recita a questo punto la voce fuori campo, riferendosi al movimento MeToo.
Ovviamente questa pubblicità ha fatto discutere, ma paradossalmente per motivi molto diversi tra loro.
Vi sono infatti due tipi di persone che si lamentano della nuova pubblicità di Gillette: le persone contrarie agli stereotipi sugli uomini, e le persone tradizionaliste-conservatrici che sono contrarie alla “femminilizzazione dell’uomo”. Noi apparteniamo al primo tipo e non al secondo, e spiegheremo adesso perchè.
La condizione dell’uomo e della donna, sin dall’alba dei tempi, ha implicato che alcuni ruoli ad essi assegnati fossero vantaggiosi e altri svantaggiosi rispetto a quelli dell’altro sesso e in determinati ambiti (in ambiti diversi spesso i ruoli che prima risultavano vantaggiosi diventavano svantaggiosi e viceversa).
Questo significa che necessariamente le donne che vogliono liberarsi dai loro svantaggi devono “mascolinizzarsi”, e che necessariamente gli uomini che vogliono liberarsi dai loro svantaggi devono “femminilizzarsi”.
L’unico modo infatti per liberarsi da una restrizione assegnata tramite un ruolo è liberarsi da quel ruolo, e in un sistema binario (maschile/femminile), se rifiuti un ruolo necessariamente scivoli nell’altro.
Questo significa che ogni volta che le donne si sono liberate dai propri ostacoli sociali si sono mascolinizzate e ogni volta che gli uomini si sono liberati dai propri ostacoli sociali si sono femminilizzati.
Chiarito questo aspetto, dunque, lamentarsi che uno spot femminilizzi gli uomini è insensato: equivale al lamentarsi, per un animale da circo, che qualcuno gli abbia aperto la gabbia.
Qual è allora il motivo valido per cui lamentarsi dello spot di Gillette e in generale del concetto di mascolinità tossica? Uno dei motivi è che la pubblicità è piena di stereotipi, visto che generalizza su tutti gli uomini, facendo credere che la maggioranza degli uomini sia coinvolta in simili comportamenti.
Ma soprattutto il motivo principale per cui lamentarsi è che genderizza la violenza.
Far vedere la mascolinità associata al bullismo equivale al dire “le donne non bullizzano mai, solo gli uomini bullizzano” [1]; far vedere la mascolinità associata alle molestie sessuali equivale al dire “le donne non molestano sessualmente, solo gli uomini molestano” [2]; far vedere la mascolinità associata all’atteggiamento paternalistico nei confronti delle donne sul lavoro equivale al dire “gli uomini non sono mai discriminati sul lavoro, solo le donne lo sono” (il che esclude tutti i lavori associati alla cura dei bambini, o tradizionalmente “femminili”, dove sono gli uomini a essere in svantaggio numerico); far vedere la mascolinità associata al togliere la parola agli altri equivale al dire “le donne non interrompono mai, solo gli uomini interrompono” [3]; far vedere la mascolinità associata al giustificare la violenza (boys will be boys, in italiano “sono ragazzi”, viene usata come giustificazione all’iperattività o a dispettucci di poco conto, e *mai* per attacchi fisici seri, salvo in caso di famiglie disfunzionali – che ovviamente possono capitare sia a ragazze che a ragazzi) equivale al dire “la violenza degli uomini viene giustificata mentre quella delle donne no” (quando in realtà gli studi mostrano il contrario, ovvero che a parità di reato, crimine, violenza e circostanze relative a questi atti, gli uomini vengono puniti più severamente delle donne [4]); far vedere la mascolinità associata allo stupro equivale al dire “le donne non stuprano mai, solo gli uomini stuprano” [2].
Far seguire il tutto da “ma noi crediamo nel meglio degli uomini, che gli uomini possano essere meglio di così” vuol dire credere che attualmente tutti gli uomini siano psicopatici ma possano cambiare.
Equivale al dire “sì, gli immigrati sono tutti criminali, ma noi crediamo nel meglio degli immigrati, che gli immigrati possano essere meglio di così”. Leggendo una simile frase non penseremmo forse che si tratti di un’espressione razzista?
Dire “some are not enough” (alcuni non sono abbastanza) vuol dire “solo alcuni si salvano”. Non è forse una generalizzazione?
Note:
[1] In realtà il bullismo femminile è presente non solo nelle scuole, ma addirittura continua nella vita lavorativa, con ben 2/3 di donne lavoratrici che affermano di essere state bullizzate da altre donne:
[Cecila Harvey, (2018) “When queen bees attack women stop advancing: recognising and addressing female bullying in the workplace”, Development and Learning in Organizations: An International Journal, Vol. 32 Issue: 5, pp.1-4.]
In più, i dati del Workplace Bullying Institute affermano che il 58% dei bulli sul lavoro sia composto da donne (e che prendano di mira principalmente donne).
Per quanto riguarda invece le scuole, alcuni studi hanno mostrato come “le ragazze siano coinvolte nel bullizzare e nell’intimidire le altre ragazze popolari e i ragazzi, sia verbalmente che fisicamente”.
[S. Dytham. The role of popular girls in bullying and intimidating boys and other popular girls in secondary school. British Educational Research Journal 2018; 44 (2), 212-229.]
FONTE E ARTICOLO COMPLETO: http://it.avoiceformen.com
(Grazie a M.G. Hesperus per l’aiuto nella scrittura di questo articolo)

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