Le ‘nuove destre’ culturali europee: tra comunità, identità, regionalismo e neopaganesimo

mag 27, 2015 0 comments

Di Matteo Luca Andriola

Non è semplice dare una definizione corretta al fenomeno culturale della Nouvelle Droite o Nuova Destra. Non è riferito senz’altro alla New Right anglosassone, responsabile della rivoluzione neoliberista degli anni Ottanta, né all’universo skinhead. È, invece, un fenomeno culturale nato in Francia nel 1968 attorno al Grece (Groupement de recherches et d’études pour la civilisation européenne), pensatoio parigino il cui leader indiscusso è il filosofo Alain de Benoist.
Il Grece nacque con l’intento iniziale di innovare la cultura della destra. Il gruppo venne fondato da ex militanti neofascisti provenienti dalla Federazione degli studenti nazionalisti (Fen), dalla rivista Europa-Action e dall’insuccesso elettorale del Rassemblement européen de la liberté (Rel), coalizione neonazista promossa dal Mouvement nationaliste du progrès (Mnp), articolatasi attorno a tre pubblicazioni: Nouvelle École, Éléments e Krisis.
La Nuova Destra (ND) ha diramazioni in tutta Europa, specie in Italia, attorno alle riviste di Marco Tarchi, Diorama letterario e Trasgressioni, e in Germania, dividendosi fra i gruppuscoli comunitaristi, antiborghesi e nazionalrivoluzionari di Henning Eichberg (Junges Forum e Wir Selbst) e i gruppi neoconservatori vicini ad Armin Mohler, che gravitano attorno a think tank come il Thule-Seminar e ilDeutsch-Europäiche Studien Gesellschaft, e a riviste come Criticon, Junge Freiheit e al trimestraleNeue Anthropologie.
Vi sono inoltre i circoli fiamminghi attorno alla rivista TeKoS di Luc Pauwels, le spagnole e populisteHespérides e Punto y coma, la rivista romena Maiastra, la britannica The Scorpion, diretta dall’ex membro del National Front Michael Walker, e i neoconservatori austriaci di Zur Zeit, il cui caporedattore, Jürgen Hatzenbichler, è l’ex pupillo di Andreas Mölzer, ideologo del Fpö di Haider e intellettuale neodestro.
Cosa rende ‘nuova’ tale destra? Il suo intento di innovare, almeno agli inizi, i referenti culturali della destra radicale, e di investire sulla strategia culturale, la cosiddetta metapolitica.

Le principali idee del Grece di Alain de Benoist
La ND, partendo da elaborazioni provenienti nel tradizionalismo (J. Evola e R. Guénon), nella rivoluzione conservatrice tedesca, da Nietzsche e addirittura da intellettuali della sinistra antiliberale, rinnega il nazionalismo patriottico basato sul culto dello Stato-nazione, dato che il moderno modo di concepire l’appartenenza, la nazione, è figlio della modernità e della rivoluzione francese. La ND basa l’appartenenza del singolo alla piccola comunità, al suo comune, alla sua regione d’appartenenza, definite ‘patrie carnali’ premoderne.
Questo neo-nazionalismo etnico si basa su concetti culturali. Secondo de Benoist, infatti, “la Nazione determina talvolta un’etnia, ma non si confonde obbligatoriamente da essa. Essa è un dipartimento della razza. L’etnia è un’unità razziale di cultura”. Ciò implica che tali piccole comunità europee vanno concepite come piccoli universi separati a tenuta stagna, dove la comunicazione, i commerci, gli spostamenti ecc. sono ridotti al minimo per evitare sconvolgimenti etnico-culturali, meticciato e ‘inquinamento’ portato dall’elemento allogeno.
All’interno della comunità andranno ripristinati i vecchi vincoli comunitari repressi dalla modernità, cioè le autonomie comunali, quelle corporative, e il cosiddetto comunitarismo solidarista. Vi sarà inoltre un forte rispetto per l’ambiente che leghi misticamente l’uomo alla terra, cioè il mito völkisch di origine romantica e rivoluzionario-conservatrice nato in Germania nel XIX secolo.
Altra caratteristica della ND è il rifiuto totale del razzismo biologico in nome del differenzialismo culturale: non esistono, secondo costoro, basi scientifiche per determinare la superiorità di un’etnia su un’altra, ma non credendo al ‘mito egualitario’, tutte le etnie sono diverse l’una dalle altre, e tali differenze vanno preservate evitando il meticciato. Si è membro di una comunità etnica, religiosa o sociale indipendentemente dal fatto che se ne voglia far parte o meno, tale scelta non può esser volontaria, ma la si acquisisce, al contrario, per nascita assieme a ‘diritti e doveri’ comunitari. Questa posizione ha una evidente connotazione razziale: se i diritti sono nativi, ovvero di appartenenza, da questi stessi diritti ne sono esclusi automaticamente tutti coloro che non fanno parte della comunità stessa. Questo concetto sta anche alla base di una certa idea di multiculturalismo sociale vista come coesistenza di comunità separate all’interno di uno stesso territorio, che è poi il modello dell’apartheid interno, contraltare politico al progetto assimilazionista statolatrico e neo-illuminista dei governi integrazionisti.
Anche altri studiosi, come Pierre-André Taguieff e Francesco Germinario, per esempio (1), vedono in tale sviluppo etnico separato, una forma soft di apartheid, in cui due etnie distinte arrivano a vivere in un determinato territorio, ma separatamente: “Organizzare, con i differenti gruppi razziali del mondo, una politica di coesistenza pacifica e liberale che permetta a ciascuno di esprimere […] le sue attitudini e i suoi doni. Sopprimere, in proporzione, ogni contatto mirante alla fusione, all’inversione o allo sconvolgimento dei dati etnici, o alla coabitazione forzata di comunità differenti”.
Questo approccio è definito etnopluralista. Le naturali differenze presenti nel mondo, che l’ideologia egualitaria, che si manifesta attraverso idee come il pensiero giudeo-cristiano, il liberalismo, l’economicismo, il socialismo ecc. vuole cancellare in nome dell’‘omologazione’, sono concepite come ‘realtà’ da contrapporre all’astrazione positivista. L’idea base è che l’uguaglianza non è libertà, ma omologazione. Ciò significa che è sbagliato, per la ND, interagire in nome degli universalistici ‘diritti umani’, che per de Benoist non esistono, dato che ogni popolo ha una sua scala di valori morali. Perciò, non solo il Grece condanna l’interventismo umanitario militare degli Usa, utilizzato per esportare il modello American Way of Life, ma anche politiche per cercare di superare naturali forme di arretratezza o barbarie ai danni delle donne e verso le minoranze: guai, per la ND, non permettere l’uso del velo islamico, guai impedire l’infibulazione, guai cancellare quello che permette all’immigrato di manifestare la sua ‘differenza’. Ciò distruggerebbe le radici culturali di un’etnia e la naturale tradizione.
Inoltre, nel discorso debenoistiano il centro dell’elaborazione politico-culturale è l’Europa, e non l’Occidente atlantista. E l’Europa, a seguito dell’applicazione dei citati principi regionalisti e comunitaristi, dovrà strutturarsi come un’immensa federazione di patrie comunitarie e regionali autonome, aggregate in un Impero modellato su quello carolingio o ottoniano attorno a un mito che è la comune identità indoeuropea. Tale “Impero delle differenze e delle regioni”, libero dal giogo statunitense, potrà, secondo de Benoist, esprimersi al meglio delle sue potenzialità, permettendo così all’Europa di contare di più a livello geopolitico (2).
La ND, ripescando da suggestioni reazionarie sviluppatesi in seno all’idea geopolitica dell’Imperialismo nazionalsocialista e alla concezione dell’Europa-nazione del movimento nazionaleuropeista Jeune Europe di Jean Thiriart, innova tali suggestioni imperiali innestandovi l’idea federale a quella delle piccole patrie etnicamente e culturalmente organiche dove si vive la politica in senso comunitario, secondo il principio post-liberale della democrazia diretta plebiscitaria. Ma il contesto in cui tali piccole comunità regionali si muovono è quello di un forte Stato europeo, armato, imperiale (gerarchico) ed essenzialmente chiuso.
La seconda rottura è attraverso l’uso della metapolitica, che ha portato de Benoist a rileggere da destra Antonio Gramsci vedendolo come il teorico dell’‘egemonia culturale’. E tale egemonia la si ottiene penetrando gli ambienti politici, culturali, mediatici, universitari, rielaborando da destra concezioni nate a sinistra. “L’economicismo liberale comincia allora a essere fermamente denunciato quanto l’economicismo marxista, e l’‘americanismo’, forma moderna dominante dell’egualitarismo e del cosmopolitismo ‘giudeo-cristiano’, diventa la figura del nemico principale”. Rinnegando il concetto di uguaglianza in nome dell’idea nominalista (“non c’è l’uomo nel mondo, ma gli uomini”), del “diritto alla differenza”, appoggiandosi a postulati derivati dal darwinismo sociale e dall’etologia di Karl Lorenz, la ND intende creare un’antropologia culturale diversa da quella positivista per confermare tali tesi. Secondo la ND l’egualitarismo non nasce con l’Illuminismo o la Riforma, ma con l’avvento del giudeo-cristianesimo, che ha cancellato le precedenti forme di spiritualità tradizionale che innalzavano le naturali differenze e le gerarchie comunitarie. Secondo il libertario Pietro Stara, “il pensiero giudaico-cristiano […] pone tutti gli esseri umani in un sistema di eguaglianza di fronte a Dio. Questo modello culturale, traslato in un contesto laico, traspone quell’equivalenza sul terreno propriamente umano, del quale i rappresentati escatologici sarebbero le nuove religioni egualitarie, ovvero il liberalismo, il socialismo, il comunismo e l’anarchismo” (3).
Da questo concetto, la ND ha puntato alla riscoperta del neopaganesimo, dove vi erano tanti déi, ergo, tante morali, tanti modi di congiungersi col sacro, ergo tante differenze. Era una spiritualità che, a differenza del giudeo-cristianesimo che predicava l’umiltà e la soppressione dell’uguaglianza fra umano e divino, predicava la prometea volontà di innalzarsi verso gli déi, imitandoli e, addirittura, superandoli. Storpiando le tesi dello storico Georges Dumézil sulla “tripartizione sociofunzionale” delle antiche società indoeuropee, de Benoist parla di una “cultura indoeuropea” che trascende dai moderni Stati-nazione, biologicamente determinata e “conforme alle leggi generali del vivente” (4).
Il neopaganesimo debenoistiano, che ricorda quello portato avanti da numerosi intellettuali di estrema destra come Evola, Rosemberg ecc., è prettamente culturale e filosofico, e non consiste nel “recitare i druidi d’operetta e le valchirie d’occasione”, ma qualcosa di diverso. “Noi non cerchiamo di ritornare indietro ma di riprendere le fila di una cultura che trovava in se stessa le sue ragioni sufficienti. Ciò che cerchiamo dietro è il volto degli déi e degli eroi sono i valori e le norme” (5). È il rinnegare alla radice l’idea stessa di uguaglianza, innalzando la tradizionale differenza. Rendendo Dio un unico essere distinto dal creato e dall’uomo, le religioni monoteiste hanno introdotto nel mondo il germe dell’intolleranza e del totalitarismo. In tal modo, il Grece riesce a smarcarsi dall’accusa di neofascismo, dato che così condanna anche i totalitarismi di destra. Il citato Impero delle differenze, infatti, più che strutturarsi come un totalitarismo continentale, innalzerà e sacralizzerà le radici indoeuropee e si baserà su una federazione di piccoli comuni e regioni diseguali, ognuna col suo credo, ognuna con la sua morale tradizionale e premoderna.

Verso la modernità o la postmodernità?
La ND non è un fenomeno immutabile. I rapporti intrattenuti nei primi anni Settanta con l’universo neofascista si sono affievoliti notevolmente, data la refrattarietà di certi ambienti a idee come il comunitarismo regionale e la critica totale al capitalismo. Alain de Benoist e il discepolo Charles Champetier pubblicarono nel 1999 un ‘manifesto’ intitolato La Nouvelle Droite de l’an 2000 (6). Un esame attento del testo fa porre al lettore una domanda: la ND è neofascista? Le origini del Grece lo confermerebbero, ma i dirigenti della ND affermavano, a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, di non esser fascisti, di detestare il totalitarismo e il modello nazista. Sostenevano di essere ‘antirazzisti’, accusando gli altri, cioè gli americani che diffondono la loro sottocultura nel mondo, gli europei che allineano i popoli colonizzati al modello metropolitano o i francesi che impongono all’immigrato di integrarsi e di non praticare pratiche barbariche come l’infibulazione, di esserlo.
Ma la ND, sia per volontà diretta di Alain de Benoist che in maniera indipendente, ha condizionato le idee delle formazioni di destra. Fondando le loro tesi su dati scientifici incontestabili, gli ideologi della ND hanno riabilitato in maniera morbida forme di darwinismo sociale e di antiegualitarismo.
Alcune formazioni dichiaratamente neofasciste e populiste come il Front national, pur profondamente in disaccordo col Grece in quanto nazionalisti, hanno ‘ammorbidito’ il loro razzismo biologico con tesi differenzialiste. Ovviamente il neopaganesimo è un ‘prodotto’ che i populisti scartano, ma che può esser ‘riciclato’ col culto delle radici cattoliche o cristiane europee da preservare dall’‘invasione mussulmana’.
Interessante però, la duplice strategia che la ND, partendo dal citato manifesto pubblicato nel 1999, ha portato avanti fino a oggi. Da una parte, di fronte alla crisi della società contemporanea, de Benoist e Champetier profetizzano la “fine della modernità”, trovando nel liberalismo, e non più nel comunismo ormai morto, il nemico principale, che incarna “l’ideologia dominante della modernità, la prima ad apparire e anche l’ultima a sparire” (7). Il liberalismo è “un sistema mondiale di produzione e di riproduzione degli uomini e delle merci, appesantito dall’ipermoralismo dei diritti dell’uomo”. Il liberalismo, cioè il sistema statunitense, “rappresenta il blocco centrale delle idee di una modernità giunta al termine. Dunque è l’avversario principale di tutti coloro che operano per il suo superamento” (8).
Elogiando la democrazia, che deve essere diretta, plebiscitaria e organica (cioè esercitata dentro una comunità di persone culturalmente ed etnicamente affini), e la piccola comunità locale in nome di una radicale critica al modello “giacobino” centralistico, la ND arriva a contestare la modernità ‘flirtando’ con certi intellettuali progressisti che vedono in de Benoist non più l’alfiere del rinnovamento della cultura reazionaria, ma il nuovo guru di un pensiero critico verso la globalizzazione, in nome del ritorno al locale, del ripristino di un’“ecologia integrale” che rompa senza equivoci con l’ideologia del progresso, come con ogni concezione unilaterale della storia. Ciò ha portato de Benoist a dialogare col Mauss (Movimento anti utilitarista delle scienze sociali) di Alain Caillé e Serge Latouche, ideatori dell’idea della decrescita, e le ND italiana e tedesca, quella vicina al politologo fiorentino Marco Tarchi e al sociologo tedesco Henning Eichberg, a cercare di aprire le loro riviste comunitariste a intellettuali vicini all’ambientalismo verde o all’universo no global, come successo col Firenze Social Forum nel novembre del 2002, o in Germania sulle pagine di Wir Selbst e di Die Grüne, rivista ambientalista ‘assaltata’ dai nazionalrivoluzionari di destra.
Un’altra strategia, autonoma da de Benoist ma che si ispira alle sue analisi, consiste nel condizionamento dei cosiddetti movimenti etnoregionalisti, partiti populisti che predicano la crisi dello Stato-nazione centralistico, in nome della totale autonomia delle regioni, concepite come ‘patrie carnali’ da innalzare a Volksgemeinschaft da difendere dall’immigrazione clandestina. È il caso di partiti come la Lega Nord in Italia, che ha intrattenuto e intrattiene tuttora rapporti col filosofo francese, del Fpö di Jörg Haider, del Vlaams Blok e del Parti del force nouvelle in Belgio, dell’Unione di centro in Svizzera, e di un nuovissimo partito francese, che si differenzia da quello dei Le Pen (padre e figlia) perché non è nazionalista e non si rifà direttamente al fascismo, ma è regionalista, federalista ed europeista: sto parlando del Bloc Identitaire, partito che federa i più importanti movimenti regionalisti reazionari della Francia. Tutti sono collegati l’uno all’altro; tutti si distaccano dal vecchio neofascismo, sottraendogli voti; tutti sono regionalisti, comunitaristi e localisti; tutti criticano la modernità e le disfunzioni create dalla crisi innalzando il “diritto alla differenza”, la cessazione dei flussi migratori, interessandosi all’idea di decrescita; tutti, e la cosa colpisce molto, intrattengono rapporti più o meno organici con la Nuovelle Droite francese o con le rispettive Nuove Destre locali, avendo degli intellettuali neodestri al loro servizio.

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