La lingua sarda è la più antica fra quelle parlate nel mondo mediterraneo? La toponomastica in Sardegna farebbe pensare di sì

set 4, 2015 0 comments


http://pierluigimontalbano.blogspot.it/2015/09/la-lingua-sarda-e-la-piu-antica-fra.html

Ogni luogo, ogni monte, ogni segno antropico ha un nome, rispetto al quale l’utilizzatore di una carta geografica rimane indifferente. Al momento dell’uso, ogni toponimo viene naturalizzato e ciò che i nostri padri avevano trasferito sui 200.000 toponimi dell’isola si oscura. I toponimi diventano meri indicatori di una porzione di paesaggio che i locali hanno forgiato per il bisogno di muoversi in sicurezza entro i confini della propria terra. 







Ciò che importa è che, citando un toponimo, il residente sa dove recarsi, poiché quel nome gli fornisce le coordinate territoriali. Ma l’etimologo ha il compito di sapere perché i locali chiamano un sito con quel nome e occorre apprenderlo sul campo, durante le escursioni conoscitive dei siti. Oggi gran parte dei toponimi dell’intera Sardegna è corrotto e gli errori di traduzione sono pari almeno al 76%, mentre il restante 24% è costituito da traduzioni dal sardo all’italiano. I toponimi dubbi vanno trattati con pazienza, metodo, talento, cultura. Occorre partire daccapo per rendere conto di quel 76% corrotto, prendendo atto che per uscire da questo scandaloso stallo occorre gettarsi definitivamente alle spalle una forma mentis obsoleta, che è quella di credere che le origini della lingua sarda stiano nel gran calderone della lingua latina. Nelle Università ci vuole coraggio per insegnare che la Lingua Sarda cominciò con Roma. Il Dizionario etimologico sardo scritto da Wagner contiene, per ammissione dello stesso autore, il 25% di termini non etimologizzati (ossia con base ignota); un 15% inventariato tra le onomatopee, un 15% di termini sui quali Wagner opera eleganti by-pass lasciandoli senza etimologia; un 20% classificato d’origine catalana, senza accorgersi che buona parte dei termini era già sarda prima di misurarsi col catalano, e fruiva delle stesse etimologie che segnarono, prima di Roma e dei Fenici, le coste d’Occidente. La credibilità di Wagner, pertanto, resta appesa ad un residuo 25% di lemmi, tra i quali si evidenziano basi catalane, aragonesi, antico-italiane e, finalmente, latine. Di basi latine nella lingua sarda ne abbiamo, sì e no, un 10%. I popoli presenti in Sardegna prima dei romani avevano anch’essi una lingua, che ci è nota attraverso tanti dizionari e tante grammatiche, ma i nostri studiosi si nutrono soltanto dei dizionari greco e latino. E così, stando ai nostri emeriti studiosi, la lingua sarda avrebbe uno “zoccolo duro” fondato dia cronicamente dagli apporti: basco-iberico, latino, catalano, antico italiano, spagnolo e italiano moderno. Manco a dirlo…il primo strato fu spalmato dai Baschi mescolati agli Iberi, così almeno racconta Blasco Ferrer. Questi studiosi non tengono conto del fatto che il Mediterraneo, nell’epoca pre-romana, era diviso in due sfere d’influenza: quella orientale egemonizzata dai greci e quella occidentale egemonizzata dai fenici. La Sardegna si trova nella seconda. Ciò non precludeva, comunque, all’uno e all’altro dominio di scambiare merci e idee, in maniera persino abbondante. Per ragioni di metodo scientifico, dobbiamo supporre che le suddivisioni storiche non si prestavano ad alcuna cancellazione ad opera dei popoli che prevalsero con i loro imperi (greco-macedone e romano). Abbiamo tante prove al riguardo. Paolo di Tarso, naufragando su Malta 300 anni dopo la romanizzazione, fu salvato dai residenti che parlavano una lingua barbara, ossia né greca né latina (era semitica). Apuleio (De Magia 98) difendendosi dall’accusa di aver indotto con arti magiche la vedova Pudentilla a sposarlo, mostra uno squarcio della società africana del 159 d.C., 360 anni dopo la romanizzazione la popolazione parla il punico! Ancora Cicerone (Pro Scauro) denuncia che la Sardegna, 200 anni dopo l’invasione, non ha nemmeno una città amica del popolo romano. Se le città erano ostili…cosa dovremmo pensare delle campagne e delle montagne? E perché mai un popolo ostile avrebbe dovuto cancellare la propria lingua a vantaggio di quella dell’invasore? Una quarta testimonianza è la base di colonna bronzea di San Nicolò Gerrei , scritta in greco, latino e punico: lo scrivente (un sardo) ebbe bisogno di farsi capire dai locali, parlanti fenicio-punico, ma pure dagli occupanti. Nel Mediterraneo centro-occidentale si parlava semitico, non indoeuropeo. Questa lingua dominava nell’intero Mediterraneo, nella penisola italica ed ebbe una forza tale da sopravvivere ancora oggi nella lingua araba, in quella ebraica e nel 60% di quella sarda!, mentre per il resto è stata dissepolta 200 anni fa tra le macerie di Ugarit, tra quelle dell’impero assiro, dell’impero babilonese, dell’impero accadico e di quello sumerico. Mentre sappiamo che il latino, quello libresco, sopravvive oggi soltanto in Vaticano, non in Sardegna. Nella storia della lingua sarda dobbiamo insertire dei parametri senza i quali non riusciremo mai a capire tanti problemi dell’isola. Il primo parametro è che i romani, sbarcando, s’impossessarono delle città insediandovi l’armata, l’amministrazione, le strutture commerciali, i mediatori del commercio. Altrove, nell’isola, crearono dei punti fermi in funzione anti-barbaricina, quali gli avamposti latini di Forum Traiani e Sorabile, e 150 anni dopo nel Capo di Sopra, avendo bisogno di un saldo presidio, fondarono Turris Lybisonis, che per secoli rimase puramente latina. Nessun linguista ha mai prestato attenzione al fatto che in Sardegna il latino si parlò soltanto nelle città, tenute saldamente in mano dai conquistatori. In Sardegna, l’incommensurabile frattura fra città e campagna dura ancora oggi. Sono le campagne, ossia i paesi, ad aver conservato lo zoccolo duro della parlata semitica, che Wagner non riconobbe, credendola una neo-formazione latineggiante. Convinto della propria teoria Wagner espose le sue note leggi fonetiche che dimostrerebbero che la lingua sarda deriverebbe da quella latina, e che, addirittura, proprio in Sardegna (a Bitti e dintorni) si continuerebbe a parlare il latino di Cicerone. E così si giura che la –u dei sardi non sia altro che la –us dei romani, anziché l’antica –u sumerica, accadica, babilonese e assira! Allo stesso modo le velari /k/ e /g/ presenti nel centro-nord della Sardegna siano di origine latina anziché sumerica, assira, babilonese e accadica. E per studiare queste velari mai documentate nel Lazio, ne nelle lingue romanze, sciami di linguisti hanno visitato la Sardegna prima e dopo Wagner riuscendo a trovare ed evidenziare nella parlata bittichese la “base originaria della fonetica latina classica”, altrove volatilizzata. Un riconoscimento che non fa onore alla Sardegna perché basato su presupposti errati. Non si sono accorti, ahimè, che l’isolamento della Sardegna ha prodotto certamente degli endemismi conservativi, ma solo nel campo faunistico (lepri, conigli, cinghiali, piccoli cervi), per l’avvento dei quali bisogna contare non i secoli, come per il latino, ma le decine di migliaia di anni.
In conclusione, la lingua sarda attuale è la lingua parlata più antica del mondo mediterraneo, e si affianca a quella araba e all’ebraico.

Fonte: La Toponomastica in Sardegna – Origini, etimologia- Grafiche del Parteolla – Gennaio 2012

(FOTO:http://www.vistanet.it)

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