Stiamo vivendo il periodo più pacifico della storia degli esseri umani,secondo le analisi di Max Roser

set 2, 2015 0 comments

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    Intervista di Federico Nejrotti a Mark Roser

    Di Federico Nejrotti

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Stiamo vivendo l’anno più caldo della storia della Terra—e al netto delle temperature percepite quest’estate e un generale scetticismo reverenziale nei confronti della spaventosa estate del 2003 si tratta di una verità oggettiva supportata da dei numeri. Quindi mettiamoci il cuore in pace, stiamo superando un’estate di portata storica.




Intanto, mentre noi sprecavamo tempo prezioso a sudare, si è scoperto che stiamo anche vivendo il periodo più pacifico della storia della Terra. Questo forse è ancora più incredibile della questione temperature se pensiamo alle infinite rassegne stampapiene di ISIS, Coree, Ucraine, lotte tra Narcos e cronaca nera in salsa televisivamente drammatica.
Max Roser lavora come research officer all’Università di Oxford e negli ultimi anni ha trovato la sua vocazione nelle statistiche. Ha inaugurato così Our World in Data, un progetto che mira a descrivere la realtà del nostro pianeta attraverso grandi tavole statistiche illustrate e tradotte per essere anche a prova di idiota.
Un pensieroso Max Roser.
Poco prima che l’estate più calda della storia della Terra ci spezzasse le reni, Roser ha reso pubblica la sua “Storia Visuale dell’Ascesa della Libertà Politicà e della Diminuzione della Violenza,” un lungo e dettagliato resoconto della sua ricerca relativa ai morti ammazzati nel corso della storia.
Studi archeologici mostrano quanto le società del passato fossero estremamente violente: la percentuale di persone uccise da altre persone era spesso superiore al 10%. Prove etnografiche confermano che la violenza è molto comune all’interno di società prive di governo e estremamente maggiore rispetto a quella riscontrata nella società moderne. I dati storici riguardo agli omicidi in Europa mostrano che gli attuali tassi sono la conseguenza di un lungo e faticoso declino della violenza. [...] 

“La violenza nella società è in declino da moltissimo tempo,” ha detto Steven Pinker, professore ad Harvard, “e potremmo star vivendo nel periodo più pacifico dell’esistenza della nostra specie.” Ma perché la violenza è in declino? Un importante cambiamento è da ritrovarsi nella sempre maggiore educazione e alfabetizzazione, e questi fattori vanno di pari passo alla sempre maggiore libertà a livello politico. La storia mostra come i governi democratici—ovvero il risultato della crescente libertà politica—siano molto meno portati a dichiararsi guerra a vicenda, e sempre più nazioni stanno diventando democratiche. All’inizio del ventesimo secolo solo il 10% della popolazione del mondo viveva in nazioni democratiche—ora abbiamo superato il 50%. 

L’istruzione sta migliorando in tutto il mondo, e secondo tutti questi dati chiunque potrebbe dimostrarsi ottimista nei confronti della continua ascesa della libertà politica e nel declino della violenza in tutto il mondo.
Tra il 1400 e il 1500 dobbiamo aver perso decisamente le staffe...
La ricerca è estremamente dettagliata e ricca di fonti piuttosto autorevoli, ma a darci un’occhiata sono rimasto colpito da una manciata di “anomalie”: per esempio,osservando il grafico relativo agli omicidi in Europa dal 1300 a questa parte salta subito all’occhio il gigantesco picco relativo al periodo tra il 1400 e il 1500; mentre nel resto del mondo ci si continuava ad ammazzare con numeri da ordinaria amministrazione, improvvisamente in Italia si consumavano ogni anno 73 omicidi ogni 100,000 persone.
Per quale motivo? Ho pensato alle vicende intestine del periodo dell’Italia Rinascimentale, al fattore Chiesa e alla possibilità che grazie alla presenza capillare di quel tipo di istituzione in Italia i defunti venissero registrati con maggiori efficienza; ma la Chiesa era davvero così attiva nella conta delle salme? E davvero in nessun’altra parte del mondo era presente un’istituzione simile? Una situazione simile si ripete su un altro grafico che presenta i dati sugli omicidi per il 1900, nel quale in Italia si registra un inspiegabile—se messo in relazione coi numeri nelle altre nazioni—picco di violenza proprio negli anni precedenti alla Seconda Guerra Mondiale.
I numeri degli omicidi dal 1900 al 2010. Cosa è successo in Italia nel 1920 che non è successo nel resto del mondo—nemmeno in Germania?
Incapace di rispondere a queste domande—anche a causa delle mie (non) vastissime conoscenze storiche che partono da ieri e arrivano forse a oggi—ho contatto il professor Roser e ci ho fatto quattro chiacchiere a riguardo.
“Onestamente nemmeno io riesco a spiegare questi picchi di omicidi in Italia; bisognerebbe dare un’occhiata alla letteratura del periodo. Un buon punto di partenza potrebbe essere Eisner (2003) – Long-Term Historical Trends in Violent Crime. In Crime and Justice, 30, 83–142,” mi spiega il professore. “Un aspetto che è necessario tenere bene a mente, in questo caso, è che difficilmente ci accorgiamo di quando non succede nulla. Non facciamo domande quando le cose sembrano procedere normalmente, ma è una condizione ugualmente importante—e interessante—a quella opposta, come nel caso di questi picchi.”
“Parlare di omicidi significa parlare di violenza interpersonale, della morte di un individuo, un'azione deliberatamente inflitta da una persona nei confronti di un’altra. La violenza di massa consumatasi nelle guerre e nei genocidi è un aspetto che viene discusso anche qui, su OurWorldInData. La storia della violenza è un argomento che in questa pubblicazione viene trattato da molti punti di vista diversi: quando ho cominciato a lavorarci Steven Pinker aveva appena pubblicato il suo The Better Angels of Our Nature. Nel libro viene raccontato il lungo declino della violenza nel mondo: dagli omicidi alle guerre, passando per i genocidi e gli atti discriminatori nei confronti di donne, omosessuali e bambini—questione che non conoscevo, e che il libro spiega molto bene. La mia pubblicazione punta a rendere più “visive” tutte queste interessantissime conclusioni,” mi spiega.
Ho parlato con il professore della questione delle fonti: la mole di dati presente nella ricerca è incredibile, e ciò che rende il tutto ancora più stupefacente è che si tratta di numeri relativi sia a realtà molto settoriali—come nel caso di tribù molto antiche—che a intere nazioni. “La ricerca dei dati per ogni settore della pubblicazione è uno dei punti principali di questo progetto. Siamo pieni di ottimi dati su argomenti decisamente interessanti e che possono essere importanti per le nostre vite ma, come affermi, sono piuttosto difficili da recuperare. Con OurWorldInData voglio costruire una piattaforma capace di presentare queste fonti di dati e dunque permettere di salvare ad altri tempo e energie per trovare e ottenere questi dati. In questo senso il mio progetto è una sorta di database dei database," continua.
"Tutti noi parliamo continuamente di come il nostro mondo stia cambiando—che si tratti di una conferenza accademica o di una birra al pub—e questi dataset ci permettono di rispondere a molte delle nostre domande. Voglio fare in modo che le persone possano trovare da sole le risposte alle loro domande; ovviamente, però i dati nudi e crudi non sono di semplice comprensione, così io eseguo anche l’elaborazione e la presentazione dei dati. Le persone così possono avere a disposizione dei dati empirici semplici e puliti. Personalmente il mio piano—risalente a ormai più di 4 anni fa—era di scrivere un libro su come le condizioni di vita nel mondo fossero cambiate nel corso della storia fino ad arrivare a quelle di cui facciamo esperienza oggi. Nel corso degli anni ho trovato e raccolto sempre più fonti per i miei dati, e da qui si è generata la base di partenza di OurWorldInData; parlando di strumenti, utiilizzo un software molto semplice ma decisamente efficace: si chiama NoteBook e per qualche strana ragione l’azienda che lo produce si chiama 'Circus Ponies'.”
Abbiamo poi discusso delle scoperte emerse della ricerca, “Ci sono diversi aspetti che mi hanno lasciato a bocca aperta, non so bene da dove partire. Talvolta mi stupivo di quali fossero le condizioni di vita nel passato: la storia del cibo per esempio. Ricercando i dati per il progetto ho scoperto quanto, non troppo tempo fa, fossero comuni le carestie. Ho anche appreso quanto enormi fossero i divari sociali nelle comunità; per esempio per quanto riguarda la distribuzione del cibo. Le famiglie più povere delle società dei nostri antenati non avevano abbastanza cibo per lavorare, di fatto venivano escluse dalla forza lavoro perché erano prive anche degli approvvigionamenti più semplici ed economici; allo stesso tempo le fasce sociali più ricche consumavano più cibo d quanto ne mangiamo noi oggi. La storia che impariamo a scuola e che è presentata nei musei è molto spesso la storia della borghesia, dell’élite. Ciò che voglio mostrare su OurWorldInData è la storia di tutti—della borghesia ma anche dei più poveri. E spesso, quando si trattava dei poveri, non avevo la minima idea di quanto disumane fossero le loro condizioni di vita appena qualche generazione fa, e ciò valeva anche per le nazioni più ricche—sono rimasto sbalordito anche da quanto in fretta queste condizioni siano mutate,” mi ha spiegato Roser.
Uno degli aspetti sicuramente più impressionanti di questo progetto è il suo slogan: “Il periodo più pacifico dell’esistenza della nostra specie” è un’affermazione decisamente forte. Anche accettando il fatto che oggi le guerre e i conflitti siano effettivamente meno sanguinosi rispetto al passato, tendiamo ad essere influenzati da una pressione mediatica decisamente più pesante, ed è proprio da qui che probabilmente arriva la sensazione che la violenza non stia per niente diminuendo, “Per certi versi sono d’accordo con te. Il mutamento culturale riguardante la guerra è stato un passaggio fondamentale di questo ultimo secolo ed è stato favorito dal modo dei media di dipingere e raccontare i conflitti. Ciò che è cambiato è che la guerra, appena qualche decennio fa, era un evento idealizzato nel quale i ragazzi si trasformavano in uomini. Alexis de Tocqueville scriveva per esempio che “La guerra serve spesso a estendere la mente delle persone e a rafforzare il loro carattere.” Oppure Thomas Mann, “La guerra è purificazione e liberazione." La sofferenza della guerra, che oggi i media raccontano come una conseguenza del concetto di “purificazione”, fa ben capire a chiunque accenda la televisione che razza di stronzate stessero dicendo de Tocqueville e Mann. Il mutamento culturale ha fatto sì che molti cambiassero idea riguardo la guerra: oggi molti—incluso me—pensano che la guerra sia un esempio del fallimento umano che porta soltanto a una orribile escalation di violenza e che deve essere in qualche maniera evitata. In questo senso i media moderni sono stati decisamente di aiuto,” spiega Roser.
“Dall’altra parte però penso che l’attenzione dei media sul terrorismo e la violenza sia spesso fuori proporzione, e questo atteggiamento può avere conseguenze negative. Lo vediamo nei sondaggi: non importa se la violenza stia aumentando o diminuendo—e sta diminuendo da decenni in varie nazioni, ormai—, le persone sono convinte che sia sempre maggiore. Penso che questa percezione sfasata sia un problema molto grave: in quanto cittadini e elettori richiediamo riforme e misure sulla base del nostro modo di vedere il mondo, e più pensiamo che il mondo sia violento più è alto il rischio di votare una visione politica estrema e giustizialista. Per proteggerci dal terrorismo rischiamo di accettare di svendere la nostra libertà personale; questa è l’altra faccia della medaglia dei media moderni,” conclude il professore.
Il progetto di Roser è ambizioso, ma le premesse e la volontà di creare qualcosa di ben fatto mi sembra ci siano tutte. Al momento il professore sta presentando i suoi progetti nella speranza di trovare qualche finanziatore—si sa mai che qualche lettore di Motherboard sia un ricco magnate russo pronto a finanziare un bello strumento educativo.

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