Epigenetica e proteomica: nuove prospettive nella ricerca sul cancro

gen 26, 2016 0 comments
Di Luisa Alessio
RICERCANDO ALL’ESTERO – “La cromatina è la stazione di controllo della cellula, è una struttura dinamica che cambia composizione e aspetto a seconda dei vari processi: c’è tanto da scoprire, ci sono tante domande a cui cercare una risposta ed è intrigante studiarla. Certo, è ricerca di base e non porta dall’oggi al domani a salvare un paziente, ma se capiamo come funziona la torre di controllo, possiamo comprendere come funzionano tutti gli altri processi cellulari, fisiologici e patologici”.
picture_CristinaFurlanNome: Cristina Furlan
Età: 33 anni
Nata a: Colle Umberto (TV)
Vivo a: Arnhem (Paesi Bassi)
Dottorato in: Biologia cellulare (Edimburgo, Regno Unito)
Ricerca: Purificazione della cromatina per analisi proteomica.
Istituto: Radboud University (Nijmegen), University of Edinburgh (Edimburgo)
Interessi: faccio un sacco di sport, mi piace cucinare.
Di Arnhem mi piace: ha un parco enorme, c’è la scuola di moda e design.
Di Arnhem non mi piace: non ci sono le montagne, l’olandese è una lingua difficile.
Pensiero:  Most people say that it is the intellect which makes a great scientist. They are wrong: it is character (Albert Einstein).
In che modo la cromatina controlla l’espressione dei geni in una cellula?
La cromatina è costituita da RNA, DNA e proteine, si trova all’interno del nucleo in forma libera non circondata da membrane e può avere una conformazione più o meno condensata. Quando è molto impaccata, è inaccessibile a tutti i vari enzimi e fattori coinvolti nella replicazione e nella trascrizione del DNA; quando la sua struttura è più allentata, allora i geni sono attivi. Il grado di condensazione viene influenzato da una serie di modificazioni che noi chiamiamo epigenetiche, perché cambiano l’attività di un gene senza colpirne la sequenza di DNA. Proprio come ogni organismo ha una propria sequenza di basi azotate, così tutti i tipi di cellule hanno un profilo distintivo di modificazioni epigenetiche, in ciascuna fase del loro sviluppo. Questo vale anche per le patologie: ormai è ampiamente accettato che alcune malattie dipendono non tanto da una mutazione all’interno del DNA quanto da cambiamenti appunto epigenetici, come la metilazione o le modificazioni alle proteine della cromatina.
Il mio lavoro è focalizzato proprio sulle proteine coinvolte nella formazione della cromatina, in particolare quali sono e come variano durante il ciclo cellulare. È importante studiarle perché sono gli strumenti attraverso i quali il DNA esegue la sua funzione e se il ciclo cellulare è deregolato, si può avere la formazione di un tumore.
Quali sono le tecniche di analisi della cromatina? 
Le proteine si studiano attraverso la proteomica. In particolare, quando si vogliono identificare tante proteine nello stesso momento si utilizzano degli strumenti chiamatispettrometri di massa. Se invece vogliamo capire la quantità di una certa proteina e magari fare un confronto tra stato patologico e normale, dobbiamo usare metodi quantitativi. Il più famoso si chiama SILAC (Stable Isotope Labeling by Amino acids in Cell culture): si parte da due tipi diversi di cellule in coltura, per esempio normali o provenienti da un paziente. In un caso aggiungiamo nel terreno di crescita degli amminoacidi normali mentre nell’altro amminoacidi marcati con isotopi non radioattivi, che hanno un peso diverso rispetto ai primi. Man mano che le cellule crescono, incorporano amminoacidi e danno origine a proteine più o meno pesanti a seconda che provengano, per esempio, dalle cellule malate o da quelle normali. Grazie al diverso peso, lo spettrometro di massa è in grado di distinguerle, identificarle e di dirci se c’è qualche proteina differenzialmente espressa. Si possono analizzare migliaia di proteine contemporaneamente, ci sono spettrometri che risolvono anche 5 mila proteine in 2-3 ore.
Come mai è così difficile studiare la cromatina?
Il problema principale è riuscire a estrarla dalla cellula e poi, ovviamente, averne una buona quantità. La cromatina è come il velcro, attacca un sacco di proteine che magari non c’entrano nulla con il processo che ci interessa. Pensiamo a quelle citoplasmatiche o anche al nucleo stesso, in cui ci sono tante proteine solubili che magari normalmente fanno parte della cromatina ma nell’istante considerato non interagiscono col DNA. C’è il rischio di portarsele dietro come contaminazione o, al contrario, di perdersele durante l’estrazione.
Inoltre la cromatina è elettricamente carica e potrebbe non essere solubile e precipitare nei solventi classici.
Durante il mio dottorato a Edimburgo, abbiamo messo a punto un metodo per purificare la cromatina e capire come cambia durante il ciclo cellulare.
Abbiamo fatto uno screening con un numero enorme di proteine, derivanti da 50-70 esperimenti diversi: prima le abbiamo identificate e poi, tramite analisi informatica, abbiamo fatto una predizione sulla loro funzione. Abbiamo usato un metodo di machine learning, o apprendimento automatico, con l’algoritmo chiamato random forest. L’analisi ha seguito il metodo guilt by association, che in italiano sarebbe associazione a delinquere ma non suona tanto bene. L’idea è fornire all’algoritmo tutta una serie di proteine che sappiamo far parte della cromatina e che hanno una certa funzione. Quando l’algoritmo ha imparato a riconoscerle, gli facciamo analizzare un insieme di altre proteine, sconosciute, alla ricerca di quelle simili a quelle di partenza. Così facendo abbiamo stilato un elenco di molecole che con buona probabilità sono coinvolte nella formazione della cromatina ma la cui funzione resta un mistero. Una cosa controversa, a cui non sono ancora riuscita a dare una risposta, è che ci sono proteine la cui funzione sembra addirittura non essere correlata alla cromatina. Per ora abbiamo ipotizzato che potrebbero essere proteine di supporto o anche autostoppiste, che si attaccano al DNA semplicemente perché è carico negativamente e loro sono positive.
Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Di solito, gli screening di questo genere si focalizzano su una singola proteina oppure su un particolare processo. Quello che sto cercando di fare io è guardare più nel dettaglio, cioè considerare solo piccole sequenze di DNA e vedere quali proteine vi si legano. Attualmente non ci sono ancora dei metodi per analizzare una particolare sequenza e vedere tutto quello che vi si lega.
Dal punto di vista pratico, il problema è riuscire a purificare un pezzo di DNA cortissimo, lungo circa 500 paia di basi, magari è presente una sola volta in tutto il genoma. La mia idea è usare il sistema CRISPR e sfruttare Cas9 come esca per isolare la sequenza di interesse.
Il passaggio limitante è avere abbastanza materiale di partenza, perché se ci vogliono ettolitri di cellule è impensabile che qualcuno ci faccia ricerca. Quindi i due punti cruciali per questo tipo di studio sono: innanzitutto mettere a punto un protocollo per arricchire il più possibile il campione e ridurre la quantità di cellule di partenza; contemporaneamente, sviluppare degli spettrometri di massa sempre più potenti con cui riuscire ad analizzare quantità anche minime di proteine.

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