Il contributo del pensiero di Frantz Fanon al processo di liberazione dei popoli

apr 7, 2016 0 comments

Fanon, ribelle che lotta tenacemente contro la dominazione esercitata dai potenti contro i deboli,chiarisce oggi l’articolazione fondamentale che esiste fra il diritto di ribellarsi al sistema sociale, politico e economico che affonda il mondo nel disordine, e una colonizzazione di nuovo tipo. È chiaro infatti che oggi alla violenza coloniale si è sostituita una nuoca violenza indiretta.
Per un paradosso che ha il suo segreto nella storia, l’”indigeno” è onnipresente non solo nel luogo di origine ma allo stesso tempo in quelle che Fanon chiamava le “città proibite”, dove si esercitano le rinnovate forme di discriminazione, ci dice infatti ne “I dannati della terra”: “dove il mondo colonizzato è un mondo diviso in due (…) La zona abitata dai colonizzati non è complementare alla zona abitata dai coloni. Queste due zone si oppongono ma non al servizio di una unità superiore (…). Quel mondo frazionato in due è abitato da specie differenti.”
L’avvicinarsi del cinquantenario della sua morte, il 6 dicembre del 1961, ci fa constatare che nonostante l’evoluzione del mondo, il suo pensiero è di un’incredibile attualità, anche se il colonialismo sotto le sue vecchie vesti è sparito, e sono nati numerosi Stati liberati dall’oppressione.
Ma, in realtà l’espropriazione, l’alienazione e l’ingiustizia, sono spariti da questo mondo? Da questo p unto di vista, un osservatore imparziale potrebbe dire, alla luce delle sanguinose guerre imperialiste in Irak, Afganistan e Libia, e l’esperienza coloniale in Palestina, che la politica dei fucili sulla quale si sono fondati gli imperi coloniali, è in realtà ritornata in auge.
L’azione dell’opera di Fanon si colloca nel contesto del dopoguerra, segnato dalla lotta ideologica fra il blocco occidentale e il blocco socialista. Ma un terzo mondo nasce fra il ’50 e il ’60, un mondo che rivendica un riconoscimento nelle relazioni internazionali e la sua parte nella distribuzione della ricchezza del pianeta. Afferma per la prima volta la propria esistenza politica nel 1955 alla Conferenza di Bandung, proclamando il proprio rifiuto alla bi polarizzazione del mondo. Molti leader del terzo mondo compaiono in relazione ai movimenti di liberazione nazionale e portano avanti una lotta radicale in Africa, Asia e America Latina. Gli anni ’60 sono stati segnati dalle violente repressioni e omicidi di uomini politici che rappresentavano la lotta dei popoli oppressi.
In questo contesto Fanon elabora la propria riflessione sul ruolo della violenza dentro il processo di liberazione e sui rischi per le antiche colonie una volta conquistata l’Indipendenza. La produzione intellettuale di Fanon ha avuto grande influenza sui rivoluzionari nel mondo, in Africa ma anche in Asia e nelle Americhe. I suoi testi non possono essere scontettualizzati dalle circostanze storiche in cui sono nati, ma la loro pertinenza rimane intatta e continuano a ispirare nuove generazioni di militanti e intellettuali a nord e a sud. Le idee che si estrapolano dalla lettura di Fanon si mantengono come strumenti efficaci per analizzare l’attualità di un mondo dove la dominazione e lo sfruttamento hanno cambiato apparenza, ma continuano a esserci e a essere retti dagli stessi meccanismi.
Rendersi conto del contributo di Frantz Fanon dentro al processo di liberazione dei popoli, ci porta a presentare le differenti tappe della sua esistenza, delle prese di posizione, dello sviluppo e della formulazione del suo pensiero. La sua opera si confonde con la sua corta esistenza, segnata dalla rivolta contro l’ingiustizia, il confronto con la realtà e l’etica del compromesso(fra il pensiero e la realtà).
La Seconda Guerra Mondiale fu causa dell’avvicinamento alla politica del giovane Fanon. Spontaneamente antifascista e cercando di concretizzare questo suo pensiero, Fanon lascia la famiglia e parte clandestinamente per unirsi come volontario alle Forze Libere Francesi che lottavano contro la Germania nazista. Decorato dall’armata coloniale francese, non si sente veramente parte dei liberatori.
Fanon deve aver costatato che la forza mobilitata contro il nazismo alimentava in realtà l’ideologia razzista e praticava quasi ufficialmente una discriminazione razzista ed etnica. L’uniforme era in teoria riflesso dell’uguaglianza fra i soldati, ma in realtà l’uniforme nascondeva difficilmente le insopportabili diseguaglianze di trattamento fra i neri e i bianchi.
Dopo la smobilitazione, torna in Martinica e poi di nuovo in Francia, dove si iscrive alla facoltà di medicina di Lione; oltre ai corsi di medicina frequenta quelli di filosofia di Maurice Merleau-Ponty, legge la rivista di Sartre, “i tempi moderni”, e si interessa in particolare a Freud e Hegel.
Nel suo primo libro, “Pelle nera, maschere bianche” –la sua tesi di dottorato- pubblicato nel 1952, Fanon evoca il suo primo incontro con il razzismo europeo, che scopre dentro l’armata antifascista di De Gaulle. La scoperta intellettuale del razzismo e che inglobava corpo e parole, continua immancabilmente nell’attualità, soprattutto se si osserva il riapparire senza veli dell’aperto razzismo in Europa. Fenomeno che oggi in Francia arriva a creare scuole di calcio per giovani dello stesso paese, che sono state oggetto di un dibattito indegno a proposito di quote in base al colore della pelle, delle origini e delle pretese attitudini fisiche specifiche. “Pelle nera, maschere bianche” è un segnale fondamentale, dentro la lotta antifascista, di un meccanismo codificato della segregazione e delle sue mete politiche.
Analizzando i meccanismi del colonialismo e il suo impatto sui dominati, Fanon si oppone al concetto di “negritudine” forgiato da Senghor e Cesaire, articolando la lotta contro il razzismo dentro un movimento universale di disalienazione delle vittime del razzismo e dei razzisti stessi.
Diventato psichiatra, nel 1953, ai ventinove anni, arriva all’Ospedale Psichiatrico di Blida e rimane sconcertato allo scoprire che la scuola psichiatrica dell’Algeria coloniale classifica gli arabi algerini come “primitivi”, affermando che il loro sviluppo cerebrale era “sottosviluppato e ritardato”. Così, per gli psichiatri coloniali, i comportamenti patologici degli indigeni derivavano da cause genetiche e quindi incurabili. Fanon scopre allora l’espressione cruda della gerarchia di razza e di una segregazione violenta, comparabile all’apartheid.
L’inizio della guerra di liberazione nazionale, il 1 di novembre del 1954, ha naturalmente un forte impatto sull’ospedale, che riceve via via pazienti traumatizzati dall’esperienza della violenza(alcuni casi sono menzionati ne “I dannati della terra”).
Attraverso i militanti della causa algerina, medici e attivisti, che si occupano dei muyaidin feriti, Fanon entra in contatto diretto con l’FLN(Fronte di Liberazione Nazionale). Nel 1956, il governo imbocca deciso una politica di repressione militare brutale e generalizzata, e Fanon rinuncia all’incarico di psichiatra, venendo successivamente espulso dalle autorità coloniali nel 1057; si rifugia quindi in Tunisia, sede estera della rivoluzione algerina.
Riprende in Tunisia le sue attività professionali, e contemporaneamente si coinvolge profondamente nella politica del FLN. Diventa giornalista per FLN, nel giornale “El moudjahid” e viene nominato ambasciatore itinerante per l’Africa dal governo algerino in esilio. Visita con questo incarico il Ghana dove incontra Kwame Nkrumah e studia da vicino i problemi della nascita di uno Stato Africano indipendente; in Congo conosce Patrice Lumumba, visita poi Etiopia, Liberia, Guinea e Mali. La sua missione era rendere popolare nel resto del continente la lotta del popolo algerino attraverso il consolidamento di alleanze fra i popoli africani e la messa in pratica di quell’internazionalismo che caratterizzava il suo pensiero.
Grazie alla sua azione sui dirigenti del Mali, si apre nel 1960 un nuovo fronte nel sud dell’Algeria, al cuale la Guinea fornisce le armi. Allo stesso modo riesce a giocare un ruolo importante nella spedizione di armi sovietiche al fronte ovest, grazie alla solidarietà del Presidente Sekou Toure.
Nel 1959, l’editore francese François Maspero pubblica il secondo libro di Fanon, “Il V anno della rivoluzione algerina”(libro sequestrato immediatamente), che non è solo un accusa alla Francia per i crimini compiuti sulla popolazione algerina –cinquantanni dopo l’indipendenza algerina, la Francia inizia appena a riconoscere alcuni dei suoi crimini, le proprie responsabilità nel saccheggio sistematico dell’Africa, ma ancora risulta difficoltoso aprire completamente questo capitolo oscuro della storia francese- ma anche di un’analisi della rivoluzione algerina e delle trasformazioni che la creano dentro una società dominata, umiliata e gravemente impoverita. L’opera viene proibita in Francia, ma ciò non impedisce che si inizi a parlare di Fanon in Africa e nel Terzo Mondo. Viene invitato a forum internazionali, dove viene ascoltato attentamente fino a costringere le autorità francesi a prenderlo in considerazione(come se fosse diventato bianco).
Nella primavera del ’61, consegna al suo editore “I dannati della terra”, che non parla solo dell’Algeria ma di tutto il Terzo Mondo in via di decolonizzazione. Il 3 dicembre riceve la copia stampata del libro nell’ospedale Bethesda di Washington, e muore 3 giorni dopo di leucemia.
Nel ’62 Maspero pubblica in “Presenza Africana” un omaggio a Fanon; si impegna anche nella pubblicazione delle sue opere complete cercando i suoi testi pubblicati spesso in maniera anonima durante gli anni nel giornale clandestino “El Moudjahid” del FLN. “Per la rivoluzione africana” diventerà libro nel 1964, e viene tradotto tra gli altri da Ernesto Che Guevara.
Nel ’61, finche scrive “I dannati della terra”, Fanon considera il periodo coloniale definitivamente concluso; il problema centrale diviene l’evoluzione dei paesi liberati. Per Fanon, la costruzione di una società giusta e prospera deve fondarsi sulla liberazione integrale delle donne e uomini sottomessi al colonialismo. Da questo punto di vista è fondamentale identificare le carenze create dalla presenza devastatrice nella società ed eliminarle.
Uno degli ultimi capitoli de “I dannati della terra”, Disavventure della coscienza nazionale è un richiamo lanciato ai popoli liberati dal dominio coloniale per la promozione di elite produttive e intellettuali dotate di una coscienza politica volta all’interesse generale. Se i paesi indipendenti non saranno in grado i promuovere queste elites, trionferà una cultura di mercanti che non saranno altro che burattini educati dall’occidentale, nei propri comportamenti e nei modi di consumo. I movimenti di liberazione si possono trasformare in partiti unici, “la forma moderna della dittatura borghese, senza maschere, senza trucco, senza scrupoli”. In assenza di prospettive veramente nazionali, la via delle “dittature tribali” è aperta: poggiate sulle divisioni etniche e sulle frontiere create dal colonialismo, questi nuovi poteri finiscono per mandare in rovina i nuovi Stati. Questi avvertimenti furono pronunciati all’alba dell’indipendenza, celebrati con entusiasmo e fervore.
La lucida analisi di Fanon metteva in guardia in maniera premonitrice sui rischi possibili per i nuovi Stati postcoloniali. È una descrizione con anni di anticipo della patologia neo coloniale, la perpetrazione del dominio grazie alla sottomissione di governi nazionali corrotti e antipopolari agli interessi delle vecchie metropoli coloniali. Se non è facile spiegare la sconfitta delle indipendenze africane, questo mezzo secolo trascorso dimostra spietatamente l’efficacia delle bombe a scoppio ritardato preparate dalle potenze coloniali. L’indipendenza dei paesi colonizzati è in Fanon una tappa fondamentale e necessaria, ma che in nessun modo poteva costituire la fine del processo di liberazione.
Fanon è stato uno dei pensatori della rivoluzione algerina che si collocava fuori da ogni riduzione dogmatica o dottrinale del pensiero. Progressista e anti-imperialista senza reverenze “teologiche” al Marxismo, vicino ma senza servilismo alcuno al campo socialista. Come diceva il sociologo Inmanuel Wallerstein, “Fanon leggeva Marx con gli occhi di Freud e leggeva Freud con gli occhi di Marx”. La liberazione dell’uomo e la sua disalienazione è stata per Fanon l’obiettivo ultimo della sua lotta politica senza stile predefinito, senza rigidezza ma che non ha mai concesso nulla agli avversari.
Era un uomo indivisibile, che non può essere ridotto a una dimensione particolare della lotta; antirazzista in nome dell’universalità e anticolonialista in nome della giustizia e della libertà. In nessuna parte del suo pensiero si ritrova una volontà vendicatrice ne di stigmatizzazione dei bianchi come vorrebbero presentarlo i teorici dell”Essenzialismo” e dello “scontro di civiltà”.

...


Questo l’ha portato a sopravvivere al di là delle generazioni. La sua analisi delle patologie sociali e politiche del razzismo sono di sorprendente attualità; la sue analisi politica, psicologico e sociale sorpassa il contesto nel quale furono elaborate, conservando ancora oggi una grande pertinenza.
La sua lucidità e indipendenza di pensiero, lontane dall’isolarlo pur con le riserve espresse da marxisti “ortodossi” prigionieri del dogma, gli permisero di conquistare la stima e il rispetto di combattenti per la libertà e l’indipendenza. È principale riferimento militanti illustri quali il Comandante Che Guevara, Amilcar Cabral, Agostino Neto, Nelson Mandela, Mehdi Ben Barka e molti altri.
In Africa, in Europa, Fanon appare oggi più attuale che mai. Ha senso per i militanti africani per la libertà e i diritti umani, ha senso allo stesso modo per tutti gli africani e gli arabi nei confronti dei quali si scatena, nei media come nei propositi delle elite di certi Stati, un razzismo senza complessi e organico.
Ha senso perchè l’emancipazione è la prima meta delle generazioni che puntano alla maturità politica. Molti africani hanno imparato che la lotta per la libertà, la democrazia e i diritti umani sono dirette si contro i potentati locali, ma allo stesso modo contro i governanti dell’ordine neo-coloniale che li protegge e li utilizza per rubare risorse e poi li scarica quando hanno esaurito le funzioni per le quali sono stati creati e protetti.
Il pensiero di Fanon continua ad ispirare oggi tutti coloro che combattono per il progresso dell’uomo in tutto il pianeta. In questo mondo dove il sistema dell’oppressione, lo sfruttamento umano non smette di rinnovarsi e di adattarsi, il suo pensiero è un rimedio contro la rinuncia alla lotta e lo sconforto. È l’arma fornita da una passione lucida per la lotta per la libertà, la giustizia e la dignità di uomini e donne. La liberazione dei popoli e degli individui dalla schiavitù e dall’alienazione rimane ancora oggi l’obiettivo, l’emancipazione verrà.
Se Fanon fosse vivo, di certo non apprezzerebbe di essere considerato un autorità canonica fuori dal contesto della sua lotta e della sua testimonianza scritta. Al contrario costantemente egli ricalcava dal primo all’ultimo libro, che un pensiero vivo deve essere sempre estrapolato, un compromesso, con la realtà. La resistenza continua, e cinquantanni dopo Fanon ci esorta a non abbandonare la lotta dentro questo spazio sociale dove donne e uomini comuni possono mettere nuovamente in discussione e dispiegare l’energia e la sapienza di un vero progetto politico.
Fondazione Frantz Fanon
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Traduzione a cura della redazione di Bologna

Relazione presentata al IV incontro degli Afrodiscendenti e le Trasformazioni Rivoluzionarie in America e nei Caraibi, tenutosi a Caracas, dal 20 al 22 giugno 2011


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