La verità sulle Crociate al di là delle 'narrazioni ideologiche': non furono né imprese barbare né civilizzatrici

apr 20, 2018 0 comments

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Crociate senza pregiudizi

Di Paolo Grillo
Corriere Della Sera

Non furono imprese barbare nè civilizzatrici
Tramontarono perché i cristiani erano divisi

Verso il 1910 un giovane archeologo inglese, Thomas Edward Lawrence, si mise a esaminare quanto restava dei castelli crociati del Medio Oriente. La sua ricerca voleva rispondere, con osservazioni di prima mano, a una domanda allora (e oggi) molto in voga, ossia se le fortificazioni latine nell’area fossero frutto di un’elaborazione autonoma o derivassero da quelle bizantine, a loro volta eredi della tradizione romana classica. Colpisce, leggendo lo studio I castelli dei crociati , ora riproposto da Castelvecchi, che scarsa o nulla sia l’attenzione dedicata dal futuro ufficiale e scrittore Lawrence d’Arabia ai possibili influssi dell’architettura araba e persiana. 



Ma non bisogna stupirsene, dato che all’epoca la lettura più comune delle Crociate era ancora retorica e di parte, con una schematica divisione fra i «buoni» europei e cristiani e i «cattivi» levantini e islamici.
Con il passare degli anni questa immagine è stata sostituita da un’altra, speculare e altrettanto falsa, ma oggi molto diffusa, che raffigura i crociati come un gruppo di guerrieri violenti, fanatici e assetati di sangue. Non si spiega, ovviamente, come questi bruti siano riusciti a costruire degli Stati in Terrasanta destinati a sopravvivere per quasi due secoli (sei volte più a lungo, per intenderci, di quanto sulle stesse terre siano riusciti a restare i colonizzatori britannici e francesi nel Novecento) e a entrare da protagonisti nelle complesse trame diplomatiche mediorientali (anche il mito di un islam compatto e contrapposto ai crociati va ridiscusso, dato che già all’epoca i musulmani in Medio Oriente erano divisi fra turchi e arabi e fra sciiti e sunniti non meno di quanto i loro avversari erano distinti fra latini e greci, cattolici e ortodossi).


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Campagne ben pianificate

Gli studi più recenti sembrano per fortuna aver messo da parte i preconcetti, positivi o negativi che fossero. Hanno inoltre superato la semplice ricostruzione politico-militare o ideologica delle Crociate, per prendere invece in considerazione aspetti meno noti, come la pianificazione, l’organizzazione, il finanziamento e la propaganda delle spedizioni. Proprio a questi temi ha dedicato un denso volume lo storico britannico di Oxford Christopher Tyerman, che con una scrittura a un tempo documentata e brillante, pur poco valorizzata da una traduzione approssimativa, ci spiega Come organizzare una crociata (Utet) invitandoci a superare l’idea che quelle spedizioni nascessero da moti spontanei di masse di fedeli fanatizzati. Si trattava invece di campagne razionalmente pianificate e dirette con mano salda dai prìncipi dell’epoca o dai papi.




Tale cura si manifestò sin dagli inizi. Fra l’appello alla Crociata pronunciato nel 1095 da Papa Urbano II a Clermont, in Francia, e l’effettiva partenza della spedizione passò oltre un anno. In questo periodo non solo si radunarono le truppe, ma si raccolsero informazioni da mercanti e pellegrini, si accumularono denaro e provviste, si conclusero accordi con i sovrani cristiani dell’Europa orientale e con l’Impero bizantino per avere aiuti e rifornimenti. Tutto questo ebbe un’importanza decisiva nel determinare l’inaspettato successo della campagna che portò, come è noto, alla conquista di Gerusalemme nel luglio del 1099.


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La Seconda Crociata (1145-1149) fu un fallimento strategico, per la mancanza di obiettivi chiari, tattico, vista l’incapacità dimostrata dai cavalieri francesi e imperiali nell’affrontare i mobili arcieri turchi, e logistico, dato che il denaro raccolto si dimostrò insufficiente e una parte delle truppe si sbandò durante le marcia. 


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La lezione fu però imparata in occasione della Terza (1189-92), volta a recuperare la Terrasanta, che nel 1187 era stata quasi totalmente occupata dalle forze siro-egiziane del Saladino. Il re di Francia Filippo Augusto e, soprattutto, quello di Inghilterra Riccardo Cuor di Leone pianificarono con cura il finanziamento della spedizione, la mobilitazione delle truppe e il viaggio, in modo da arrivare insieme in Palestina, uno da terra e l’altro dal mare. I crociati non furono in grado di prendere Gerusalemme, ma riuscirono a liberare quasi tutte le città costiere e diverse fortezze nell’entroterra, garantendo un altro secolo di vita agli Stati latini in Medio Oriente.

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Culmine e declino


Il momento migliore per il movimento crociato si ebbe nella prima metà del Duecento, quando la capacità di predicazione degli ordini mendicanti, le nuove procedure di registrazione contabile affermatesi nell’amministrazione e il crescente potenziale economico dell’Europa permisero l’elaborazione di ulteriori, ambiziose spedizioni sotto la guida dei Pontefici. Di fronte allo stallo militare sancito dalla Terza Crociata, che vedeva i musulmani incapaci di conquistare le città costiere e i cristiani in difficoltà nell’avanzare verso l’interno, furono sperimentate nuove strade. Nel 1204, la Quarta Crociata non raggiunse la Terrasanta, ma si impadronì di Costantinopoli. 


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Nel 1217-21, la Quinta riuscì a occupare per cinque anni la costa egiziana e solo per mancanza di elasticità diplomatica i suoi capi non accettarono la restituzione di Gerusalemme in cambio del ritiro delle truppe. Più tardi, nel 1228-29, l’imperatore Federico II di Svevia approfittò di una favorevole congiuntura politica per ottenere pacificamente l’accesso a una Gerusalemme dichiarata città aperta.

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L’apogeo di questa stagione fu la crociata condotta dal re di Francia Luigi IX «il Santo» contro l’Egitto, che vide la mobilitazione di colossali mezzi finanziari, un’accurata pianificazione che giunse a prevedere la fondazione di un nuovo porto mediterraneo (Aigues Mortes) come base logistica, lo sbarco di un esercito altamente professionale e motivato, guidato dal suo sovrano in persona. Proprio per questo, però, agli occhi dei contemporanei risultò ancora più drammatico l’esito finale della campagna, che dopo alcuni successi iniziali vide le forze di Luigi annientate nella battaglia di Mansura (1250) e la caduta dello stesso sovrano in mani islamiche. Alle residue speranze dei latini diede il colpo di grazia l’ancor più disastrosa spedizione condotta da Luigi IX contro Tunisi nell’estate del 1270. Una guerra incomprensibile, contro uno Stato amico degli occidentali, e terminata nell’umiliazione della morte per dissenteria del re e di gran parte dei suoi uomini ancor prima che potessero dare battaglia al nemico.
A questo punto, l’opinione pubblica occidentale era ormai diventata scettica nei confronti delle Crociate. Troppe erano state le sconfitte, troppe le malversazioni compiute da chi doveva raccogliere i fondi e, soprattutto, troppe le deviazioni dall’idea originaria.
Dagli inizi del Duecento, infatti, i pontefici avevano assunto il controllo di queste spedizioni, indirizzandole anche contro obiettivi ben lontani dalla Terrasanta, come la Linguadoca degli eretici catari, le tribù pagane delle coste baltiche o talvolta i loro stessi avversari politici cattolici. Le crociate «interne» spesso ottenevano più appoggio e attenzione di quelle contro gli infedeli. Così, ad esempio, per circa tre anni, fra il 1264 e il 1266, tutte le energie del papato erano state dedicate a propagandare una crociata contro «il sultano di Lucera», ossia Manfredi di Svevia, figlio di Federico II e re di Sicilia. Nel 1297, mentre tutti si aspettavano che Bonifacio VIII organizzasse una spedizione oltremare per riconquistare la Terrasanta — il cui ultimo brandello cristiano, Acri, era caduto nelle mani dei mamelucchi egiziani sei anni prima — il Papa bandì invece una «crociata» contro i suoi rivali romani, capeggiati dalla famiglia Colonna. In questa nuova e disincantata stagione ci accompagna il libro di Antonio Musarra su Il crepuscolo della Crociata (il Mulino).


Il patto (mancato) con i mongoli


Nei decenni centrali del Duecento, inoltre, il quadro politico mediorientale era cambiato profondamente. In Egitto, anche in reazione ai ripetuti attacchi crociati, avevano preso il potere i mamelucchi, efficienti militari di professione di origine turca, mentre la Persia e l’attuale Iraq erano stati invasi dai mongoli, che vi avevano costituito un proprio Stato, noto come Il-Khanato. Gli egiziani a loro volta avevano conquistato anche la Siria e costituito un sultanato ideologicamente avverso alla presenza cristiana in Terrasanta, anche se disponibile a condurre lucrosi affari con i mercanti italiani. I mongoli, invece, erano interessati all’amicizia con i regni latini, al fine di aggredire su due fronti l’ostile potenza mamelucca. Nonostante le grandi distanze geografiche e culturali i contatti furono ripetuti e intensi: per oltre mezzo secolo si ripropose periodicamente il sogno di una grande alleanza cristiano-mongola destinata a dividersi il Medio Oriente a spese degli arabi e dei turchi. Il progetto però non si realizzò a causa dei conflitti che dilaniavano l’Occidente e delle difficoltà di successione ai vertici dell’Il-Khanato.
La «razionalità» messa in evidenza nel saggio di Tyerman raggiunse proprio in quest’epoca il suo apice. La trattatistica «scientifica» su come organizzare spedizioni militari per riconquistare la Terrasanta divenne allora un vero genere letterario che vide impegnati frati, filosofi, medici, politici e persino alcuni re. Sono testi di grande interesse, che analizzano le variabili politiche (le auspicate alleanze con i mongoli in funzione anti-islamica), economiche (possibilità e conseguenze di un blocco navale contro l’Egitto) nonché logistiche e militari delle progettate spedizioni, anche se non sempre con effettivo realismo.


Meglio il giubileo


La «razionalità», però, agiva anche in un altro senso. Sullo scorcio del Duecento sembra essersi perso il grande afflato ideologico e religioso che fra XI e XII secolo aveva saputo fondersi in maniera indolore con gli egoismi particolari. Ora questi ultimi prevalevano nettamente e finivano col paralizzare ogni iniziativa. Angioini e aragonesi vedevano una possibile crociata come strumento per affermare la propria supremazia nel Mediterraneo. Genovesi e veneziani erano maggiormente interessati a contendersi le grandi rotte commerciali: quella con Costantinopoli e il Mar Nero, controllata dai primi, e quella con Alessandria e il Mar Rosso, dove agivano i secondi. Gli stessi ordini cavallereschi monastico-militari — Templari, Ospitalieri e Teutonici — erano in perenne competizione fra loro e non riuscivano a coordinare le proprie azioni militari.
A partire dal XIV secolo le Crociate non scomparvero, ma non privilegiarono più come obiettivo la Terrasanta e Gerusalemme. D’altronde, il grande giubileo indetto da Papa Bonifacio VIII nell’anno 1300 assicurava a chi si recava in pellegrinaggio a Roma gli stessi benefici spirituali che spettavano a chi prendeva la croce per opporsi gli infedeli. Gerusalemme era ormai irrimediabilmente perduta, ma Roma rappresentava una valida alternativa: l’Occidente bastava a sé stesso, anche sulla via della salvezza.


Fonte: https://www.pressreader.com/italy/la-lettura/20180415/281741270006297

Articolo visto anche su https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=60403

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