L’Italia nella Nuova Via della Seta: opportunità e rischi

mar 16, 2019 0 comments

Di Matteo Bressan

L’imminente visita in Italia del presidente Xi Jinping, prevista per il prossimo 21 e 23 marzo, ha amplificato, nei contenuti e nei toni, la riflessione sull’adesione dell’Italia alla Nuova Via della Seta, la grande iniziativa annunciata poco più di cinque anni fa proprio dal leader cinese e divenuta cardine della politica e del modello di cooperazione portato avanti da Pechino.

Il progetto

Come noto, l’iniziativa tende a ricreare e a potenziare due strade commerciali che, a livello terrestre e marittimo, andranno a collegare Cina, Asia Centrale, Russia, Europa e Africa. I corridoi individuati dal governo cinese sono per ora sei, quattro terrestri e due marittimi: il nuovo ponte euroasiatico, il corridoio Cina, Mongolia, Russia, i corridoi Cina – Asia Centrale e Cina – Asia Occidentale e il corridoio Cina – penisola indocinese.
Le due vie marittime, invece, collegherebbero il Mar cinese meridionale da un lato con l’Oceano Indiano e col Mediterraneo e dall’altro il Mar cinese meridionale con il Pacifico. A queste due vie marittime se ne potrebbe aggiungere una terza, nel momento in cui lo scioglimento dei ghiacci, dovessero favorire la cosiddetta “Polar Silk Road”.
La Belt & Road Initiative (Bri) è un’iniziativa di dimensioni colossali, oltre 1.400 miliardi di dollari da investire nei prossimi 5-10 anni, con l’obiettivo di creare infrastrutture in circa 70 Paesi che comprendono 4,5 miliardi di persone, tre quarti delle riserve energetiche e un terzo del prodotto interno lordo globale, su una superficie pari al 35% del globo.

L’Italia e la dimensione mediterranea

Seppure in ritardo rispetto ad altri Paesi, l’Italia si sta ritagliando un ruolo di primo piano nella Bri, come confermato dalla partecipazione del premier Paolo Gentiloni al Belt and Road Forum del 14 – 15 maggio 2017 a Pechino, dall’interesse confermato dall’attuale governo italiano, tramite l’azione del sottosegretario allo Sviluppo Michele Geraci e dal Parlamento, dove è stata presentata una mozione, promossa dal presidente della Commissione Esteri del Senato, Vito Petrocelli, con la quale si chiede di inserire, nella Bri, anche infrastrutture portuali del sud Italia. Proprio le infrastrutture portuali, dopo l’ingresso e l’acquisizione del Pireo da parte della Cosco nel 2016, hanno rappresentato il principale oggetto dell’interesse cinese nei confronti dell’Italia.
Dopo le fallimentari esperienze di Taranto, Napoli e Gioia Tauro, la Repubblica popolare cinese ha iniziato a guardare con interesse a Genova, Savona, Venezia e Trieste. Quest’ultima, in particolare, sembra oggi avere le carte in regola sia per la sua free zone doganale sia per i collegamenti all’Europa centrale, destinati a potenziarsi ulteriormente quando nel 2025 dovrebbe entrare in funzione la galleria di base del Brennero, che collegherà i principali centri urbani e porti della Scandinavia e della Germania settentrionale ai centri industriali della Germania meridionale, dell’Austria e del Nord Italia.
Altri elementi che confermano il dinamismo delle autorità portuali italiane sono la recente intesa tra le autorità portuali di Venezia e Chioggia insieme a quella del Pireo, che si pone l’obiettivo di rafforzare i traffici e i rapporti tra i due scali marittimi, e il possibile accordo tra l’autorità portuale di Genova e Savona e il gruppo Chinese Communications Construction Company.
L’interesse cinese per il Mar Mediterraneo si può comprendere alla luce dell’allargamento del Canale di Suez che ha determinato un aumento del volume delle merci che attraversano il Canale di Suez, più che raddoppiato (+124%) dal 2011 al 2016, e hanno reso il Mar Mediterraneo sbocco principale per il 19% del traffico globale, per il 25% dei servizi di linea container e per il 30% del petrolio. Il 56% delle merci che attraversa Suez approda nei porti del Mediterraneo per poi raggiungere il cuore dell’Europa.
Proprio la crescita economica cinese ha determinato un notevole impatto sui flussi commerciali che attraversano il Mediterraneo, con un incremento dal 27% al 47% rispetto al 1995, dei traffici Europa – Estremo Oriente.
Nel Mediterraneo la Cina ha investito, spesso attraverso la China Ocean Shipping Company (Cosco), nelle seguenti infrastrutture portuali: Tangeri (l’investimento previsto è di circa 10 milioni di dollari), Bilbao e Valencia (acquisizione del 51% pari a 228 milioni di dollari), Cherchell (accordo di 3,3 miliardi di dollari con l’Algeria per costruire e sfruttare il centro di transhipmentdel porto di Cherchell, situato a circa 60 Km da Algeri), Haifa (concessione di 25 anni per la gestione del porto per la Shanghai International Port Group al costo di 850 milioni di euro), Kumport (controllato al 65% dalla Cosco, è il terzo più grande terminal della Turchia), e infine il  Pireo di cui nel 2016 la Cosco ha acquisito il 51% della Port Authority del Pireo in Grecia (per 360 milioni di euro).
Numeri importanti che, tuttavia, si scontrano ancora con le statistiche riportate nel Rapporto 2016 della Corte dei Conti europea, secondo la quale nel 2012 i tre maggiori porti dell’Ue, Rotterdam, Amburgo e Anversa, hanno movimentato circa il 20% delle merci europee a fronte del 15% registrato dai nove porti europei del Mediterraneo.

L’Italia verso la firma del Memorandum

Alla luce di questa analisi, il tema del potenziamento infrastrutturale dei porti italiani non avrebbe un impatto soltanto negli equilibri mediterranei ma implicherebbe una possibile competizione con i porti del Nord Europa, preoccupati della possibilità che il Mediterraneo possa diventare l’hub d’ingresso della Cina nella Ue.
Francia e Germania, così come la Commissione Europea, guardano in queste ore con preoccupazione alla possibile adesione dell’Italia alla Bri, paventando la rottura del fronte dei paesi europei nei negoziati con Pechino.
Dal testo del Memorandum of Understanding pubblicato in anteprima sul Corriere della Seravengono ripresi i principi generali già riscontrabili nei primi due documenti fondativi elaborati dalla Commissione dello sviluppo e delle riforme, dal ministero degli Affari Esteri, dal ministero del Commercio cinese, e pubblicati nei documenti “Vision and Actions on Jointly Building Silk Road Economic Belt and 21st – Century Maritime Silk Road del 2015 e dall’opuscolo “Building the Belt and Road: concept, practice and China’s contribution del 2017.
Documenti che, nella loro sostanziale generalità, non costituiscono accordi internazionali e che verranno interpretati secondo la legislazione delle controparti e la legislazione internazionale, laddove ne ricorrano i presupposti, e per la parte italiana anche secondo la normativa dell’Unione Europea.
Ecco perché, dopo una settimana di incertezze e timori da parte statunitense, il sostanziale avallo del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella circa l’adesione dell’Italia alla Via della Seta e la contestuale attenzione al tema della rete 5G, segna un passaggio importante, se non decisivo, nella ricerca italiana di nuove vie commerciali e opportunità infrastrutturali, nel rispetto della storia e della collocazione geopolitica dell’Italia. 

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