Siria, Iraq, Libano: il Medio Oriente inquieto dopo Soleimani

gen 5, 2020 0 comments

Intervista di Verdiana Garau a Mauro Indelicato per Osservatorio Globalizzazione.
                                                
                                                 Di Verdiana Garau
Il mio lungo caffè con Mauro Indelicato discutendo sul recente raid statunitense a danno del generale Qasem Soleimani, comandante delle Forze Quds, il numero due iraniano, secondo soltanto all’Ayatollah Sayyid Ali Hosseini Khamenei supremo leader dell’Iran, e che ha trovato la morte la notte dello scorso 3 Gennaio 2020.
V.G.  Il 31 dicembre Trump aveva già fatto sentire odore di minaccia dopo l’ultimo attacco subìto dall’ambasciata americana a Baghdad e rivendiacto dalle forze sciite filo-iraniane. L’anno 2020 è iniziato con l’esecuzione di Soleimani, numero due dell’Ayatollah Khamenei e capo della forza di Quds, gli informatori sciiti per l’Iran presenti in Libano, Siria, Yemen e Iraq che si occupavano di trovare anche fondi e reclute per gli attacchi.
È una pedina in meno rimossa dallo scacchiere che infastidiva i sunniti?
L’opinione pubblica si è sollevata. Soleimani era anche colui che aveva contribuito a sconfiggere l’ISIS. Ma mi chiedo perché i sunniti (che costituiscono la maggioranza in Medio Oriente) dovrebbero reagire? Questo rischio non c’è. L’Arabia Saudita non ha mai gradito l’ingerenza dell’Iran in Medio Oriente ad esempio.
Cosa faranno gli sciiti soprattutto adesso?
M.I. La situazione attuale è figlia di una escalation che si protrae da Novembre scorso. Il NYT e la CNN più volte hanno riferito sui reportages dei missili lanciati dall’Iran. In Iraq la situazione è cominciata ad essere instabile e ha visto e vede le fazioni filoiraniane in contrapposizione a quelle filoamericane. La convivenza è stata forzata, fino ad un certo punto. Dal 2015 al 2017 si era cercato di trovare un accordo sul nucleare e sulle sanzioni. Con l’amministrazione Trump la situazione è cambiata. C’è stata la fine del califfato e con la crepa tra le alleanze Trump ne ha approfittato. Mentre l’Iran insiste dicendo che sono gli americani che provocano le incursioni delle basi delle milizie sciite dopo che il califfato è decaduto.
V.G. Il califfato è stato davvero sconfitto?
M.I. Sì, è caduto, ma le tensioni a nord della Siria e le divisioni in Iraq favoriranno il ritorno al terrorismo. Non tornerà l’ISIS ma le cellule adesso dormienti ne approfitteranno per riattivarsi.
V.G.  Nell’assassinio di Soleimani c’è l’ombra della complicità irachena?
M.I. In riferimento al quadro delle possibili tensioni che potrebbero riaffiorare dobbiamo tener conto del nazionalismo iracheno e delle recenti sollevazioni. Tra Ottobre e Dicembre i manifestanti sciiti hanno infatti assaltato il consolato iraniano. L’equazione sciiti:filoiraniani non è scontata.  Non tutti gli sciiti stanno con l’Iran. Ma stanno con il resto dei musulmani. Le soluzioni sono due:
O si riaccende la divisione tra sciiti e sunniti oppure, nel caso dovesse riemergere il nazionalismo iracheno quello sarà in funzione anti-iraniana.  Lo stesso accadde al tempo di Saddam, alla sua caduta, in cui le forze dell’esercito e la forza politica sciita portarono all’emancipazione dall’Iran.  In Iraq la componente etnica potrebbe essere meno forte di quella religiosa. O l’uccisione di Soleimani fa ricompattare gli sciiti oppure L’Iraq si smarcherà per intero dall’ingerenza iraniana.
In Iraq non sopportano più la pressione iraniana. Prendiamo poi a confronto la situazione siriana recente: all’inizio vi era una Siria divisa in cui Assad ne controllava soltanto un 30%. Oggi in Siria c’è soltanto Idlib come ultima roccaforte che resta da espugnare. L’Isis non c’è più così come non ci sono più le condizioni per accettare la presenza iraniana in Iraq. Torna appunto ad emergere il nazionalismo “husseiano”, che da sunnita riuscì a portare a sé il consenso di gran parte degli sciiti. L’Iraq non va a cuor leggero con l’Iran, nelle manifestazioni vediamo più bandiere nazionali che religiose. Certo che a differenza della Siria la situazione è differente. Gli sciiti non sono soltanto in Iraq.
V.G. Si ritiene che Soleimani facesse il doppio gioco. Ha aiutato a sconfiggere l’ISIS ma la sua forza Al Quds fungeva da corpo di informazione tra Yemen, Libano, Siria e Iraq a danno degli americani e dei sunniti. Anche i curdi sono sunniti.  Quanto era affidabile? Soleimani era inoltre un obiettivo americano, ma anche israeliano, non ben visto nemmeno dalla Russia che tenta di mediare tra Siria, Israele e in utto il resto del Medio Oriente. Anche i russi vorrebbero tenere fuori l’Iran dal Medio Oriente.
M.I. La presenza di Soleimani a Baghdad ha riacceso gli animi. La diligenza iraniana non ha tenuto conto di questo. Soleimani certamente garantiva un certo equilibrio e teneva a bada i pasdaran, ma con più astuzia politica. Potrebbero emergere fazioni estremiste tra i pasdaran e secondo me Soleimani era un personaggio da non toccare.
 V.G. Qui entra in gioco proprio la Russia. Abbiamo avuto modo di parlare nella nostra precedente intervista, caro Mauro, del ruolo riequilibrante di Putin in questo scenario geopolitico nuovo e in via di sviluppo. Nessuno voleva il rafforzamento del governo di Assad, né Arabia Saudita, né gli americani, né i russi e possiamo metterci dentro anche gli inglesi e i turchi. Immagino che sia lo stesso per l’Iran. La Russia saprà monitorare e mediare questa situazione adesso di tensione?
M.I. Certo. Come detto la Russia ha un ruolo da protagonista nello scacchiere, indispensabile a mantenere gli equilibri. L’attacco della notte del 3 Gennaio sembra proprio essere una strategia tutta trumpiana. Trump non ama fare la guerra, né propria né per corrispondenza. Avvia quelli si definiscono “raid chirurgici”. Pensiamo agli attacchi contro Assad, nell’Aprile del 2017 e nell’Aprile del 2018, sotto la forte spinta del Pentagono Trump adotta una linea morbida, mettendo a tacere il Pentagono e accontentandolo al tempo stesso evitando conflitti maggiori o loro escalation.
Consente a Trump di mostrare i suoi muscoli senza spargimento di sangue inutile di poveri civili. Questo colpo sferrato a Soleimani servirà anche da forte assist per evitare le pressioni di Netanyahu. All’indomani dell’attacco a Soleimani Trump non ha scritto nulla sui suoi tweet. Ha soltanto mostrato una bandiera americana.
Un Ex agente della CIA riferisce al Washington Post la sua preoccupazione, ovvero che Trump agisce chirurgicamente, ma non è in grado di affrontare le conseguenze.
V.G. Trump non sarà in gradi di gestire eventuali rivolte regionali? In questo i russi non potrebbero aiutare?
M.I. In Siria era certamente più coordinato con i russi.  Quando finiscono i raid arriva Putin a fare il resto. Ma in questo caso credo che gli Stati Uniti dovranno aspettarsi una reazione di forza. Dal Libano, in Yemen, alla Siria e ovunque operino le Forze di Quds.
Ad esempio in Libano si è dimesso ad Ottobre il primo ministro e il governo è caduto. Si è andati per un nuovo accordo. Ma non era un accordo di unità nazionale che di solito prevede cristiani, sunniti e sciiti spartirsi le forze di governo per una totale rappresentanza del paese. Questa volta la maggioranza di governo ha estromesso molti partiti e vede le forze hezbollah e i maroniti prendere il comando. I sunniti sono fuori. Gli equilibri scricchiolano. Negli ultimi giorni la forza hezbollah si è molo rafforzata.
Baghdad invece non ha un governo, al momento in preda alle proteste, ma sarà sicuramente sciita. Con il Libano si chiuderebbe la luna sciita in Medio Oriente e perciò in seguito all’attacco all’ambasciata del 31 dicembre gli USA hanno deciso di usare la forza. Con la morte di Soleimani però in Libano le forze Hezbollah potrebbero rinvigorirsi e portarli all’azione, così come in Yemen con gli Houti.
V.G. Qualche giorno fa i russi hanno ritirato le truppe dall’Africa Occidentale. Non è un segnale di dialogo nei confronti della Cina la quale gioca come principale alleato dell’Iran? La Russia “forza riequilibrante” e mediatrice in Medio Oriente, dopo l’attacco chirurgico americano, non potrebbe contare su una Cina che rinunci al totale appoggio all’Iran? E non potrebbe essere l’ingresso ufficiale della Cina nei giochi geopolitici delle tre forze (USA Russia Cina) iperpotenti?
M.I. La Cina effettivamente non ha condannato l’attacco anche se ha espresso il suo rammarico, ma senza disappunto. E dobbiamo dire che è molto raro che la Cina si esponga su certe questioni internazionali. Non lo ha mai fatto.E non è mai intervenuta in Medio Oriente.
V.G. Il colpo potrebbe anche essere un monito per la Corea?
M.I. Sicuramente gli americani vogliono con questo intervento mostrare i muscoli a tutti. Come a dire che sarebbero in grado di colpire chiunque quando vogliono. Anche Kim Jong-un.
V.G. Quindi insisto. La Russia è fondamentale per evitare ogni sorta di escalation, no? Inoltre non molto tempo fa è stato proprio Putin a dichiarare pubblicamente la sua grande e storica amicizia con Israele. Gli Hezbollah sono un nemico anche per Putin.
M.I. La Russia resta sempre un attore principale. Fondamentale in Medio Oriente. Mantiene buoni rapporti con tutti e vanta un grande potere mediatore. Anche la Russia ha emarginato infatti l’Iran. Vuole anche dire agli israeliani di non toccare Assad e che agli hezbollah ci possono pensare loro. Soleimani era il braccio politico iraniano in Medio Oriente e il suo protagonismo non è mai andato a genio nemmeno ai russi, oltre ad infastidire Israele che poi come detto significa mettere in difficoltà i rapporti con Assad.
V.G. Quindi gli Stati Uniti hanno sferzato davvero un colpo molto preciso e con Trump conducono una politica volta a cercare gli equilibri con meno spargimento di sangue possibile, anche se i suoi raid necessitano poi di una forza più diplomatica. Trump vincerà di nuovo le elezioni?
M.I. Trump vuole meno protagonismo del suo paese nel mondo. Con il suo “Make America Great Again” ci dice che la sua maggiore preoccupazione è quella di pensare agli interessi interni. E di inviare meno marines a morire possibilmente. Lo dimostra la sua politica internazionale giocata sul ritiro dagli scenari internazionali, ma deve sempre rendere conto al Pentagono. Ha molte probabilità di rivincere le elezioni. La cosa importante per gli Stati Uniti è di aver sferrato sicuramente un colpo da K.O questa volta.Inoltre non fanno guerre, ma intervengono in modo più preciso. Soleimani ha combattuto l’ISIS ma costituiva un nemico comunque. Lo hanno ucciso senza fare vittime tra i civili. Gli stessi americani di Trump non vogliono la guerra in Siria e credono che quella fosse una questione a cui doveva pensare l’Europa. Trump in fondo accontenta i suoi elettori. Non ne esce rafforzato nell’opinione pubblica dopo questa faccenda, ma rimedierà benissimo.
V.G. Nel giro di venti anni, con questo cambio di strategia, gli Stati Uniti che si ritirano dal nord Africa e dal Medio Oriente, indipendenti energeticamente e infallibili militarmente, con la Via della Seta che sarà, ancora in fase di costruzione, non sarà il loro prossimo interesse quello di essere presenti sulla fascia che dall’Europa arriva fino in Cina e vede tutti gli altri paese asiatici coinvolti?
M.I. Sicuramete in questa fase della storia gli americani sono proiettati tutti ad Oriente e non più in Medio Oriente.

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