Il dominio dell'ego

giu 30, 2014 0 comments

Di Alessandro della Ventura
Nonostante la nostra società si professi libera, eguale, democratica, etica, permane continuamente uno spettro che si aggira dentro di noi: l’ego. Ogni giorno ne vediamo testimonianza ovunque volgiamo lo sguardo: nella politica assistiamo all’accaparramento di voti, alla volontà di arricchirsi e di costruirsi una posizione di prestigio a discapito dello svolgimento del proprio ruolo per il bene comune; nella vita di tutti i giorni all’indifferenza generale di fronte alle ingiustizie con la giustificazione che sono questioni che non ci  toccano personalmente; nell’economia allo sfruttamento delle risorse del pianeta del modello capitalistico-consumista, che spazza via qualsiasi barriera si frapponga tra sè e il profitto; nello sport, alla ricerca sfrenata della vittoria, del profitto, al pari di un’impresa, che porta a costituire squadre con individui dalla personalità forte che pensino a vincere e a rubare la scena piuttosto che a creare un’idea, un pensiero comune che possa costituire una squadra veramente unita negli intenti e vincente al di là dei risultati.
Un esempio opposto che può essere illuminante sulla differenza di vedute è entrare in un dōjō di arti marziali. All’inizio di ogni pratica ciò a cui si assiste è il saluto e in questo momento gli allievi sono tutti allineati sulla stessa linea a dimostrazione della comunanza e unità tra tutti i presenti in quell’esperienza. Non si può contare sul fatto di imporre il proprio volere ma si deve avere la capacità di bypassare l’ego e di entrare in un flusso condiviso. Qualcuno potrebbe voler sottolineare come ci siano differenze dovute ai vari gradi (dan, molto spesso simboleggiati da varie cinture) da allievo in allievo ma questo non ha nulla a che vedere con la volontà di dare sfoggio del proprio ego ma con la necessità di attribuire ad ognuno di noi un vissuto, un’esperienza di vita diversa, e ciò non vuol dire che ognuno di noi è distaccato dagli altri. Anzi la varietà di personalità ed esperienza può permetterci di fare dono agli altri di ciò che abbiamo appreso nel nostro percorso e questo è il più grande atto di superamento del nostro ego.
Un’esperienza di questo tipo evidenzia come l’Oriente abbia una concezione totalmente diversa rispetto alla nostra riguardo all’ego e alla mente. Mentre secondo la visione occidentale queste hanno il primato su tutto il resto, lì sono un ostacolo al raggiungimento della consapevolezza della nostra essenza. Ecco perchè nell’approcciarsi alle discipline orientali non si può fare affidamento all’io, alla mente ma ci si deve affidare ad un’intuizione innata in noi che trascende la razionalità. Nella filosofia Zen c’è un termine preciso per esprimere lo stato di svuotamento del sè (mu-shin, non mente) e da questo deriva anche l’atteggiamento di avvicinarsi all’esistente senza alcuno spirito di profitto personale (mu-sho-toku, luogo di non profitto).
Dall’altra parte l’originaria visione occidentale di stampo greco, caratterizzata da un preciso senso del limite, della misura nelle cose (metriwths) e dal rispetto profondo verso di esse e verso la comunità è stata travisata attraverso un lungo percorso nel corso della storia che ha portato al totale distaccamento dalla realtà onnicomprensiva in direzione di un progressivo spostamento di prospettiva all’uomo inteso come individuo.
Il primo fondamentale punto di svolta viene raggiunto con Lutero. Il protestantesimo, da tentativo di ristabilire un rapporto più autentico con Dio, segna il culmine di quel processo di traslazione del rapporto con l’esistente in virtù di una ridefinizione della centralità dell’individuo singolo. Viene quindi meno il rapporto con la comunità poichè l’unico rapporto veramente significativo è quello Io/Tu tra l’uomo e Dio, l’unico interlocutore a cui rivolgersi per raggiungere la salvezza e l’appagamento dei nostri desideri.
Una rimarcazione ancora più netta del soggetto avverrà con Descartes. L’uomo assume una posizione privilegiata rispetto all’esistente, diventa soggetto assoluto poichè dotato di razionalità e quindi in grado di disporre e di definire l’esistente secondo ragione (cogito ergo sum). E nel momento in cui la soggettività si assolutizza ciò che mi è posto davanti, ciò che è altro da me, è insubordinato a oggetto, su cui posso imporre la mia volontà. Questo processo viene ulteriormente portato avanti con la “rivoluzione copernicana” di Kant: così come è la Terra che gira intorno al Sole e non viceversa, è l’uomo a dovere essere il fulcro intorno a cui gira ogni cosa. L’attenzione va portata all’uomo e alle sue modalità di catalogare la realtà ma in questo modo si finisce sempre per acuire il predominio e la volontà dell’uno sull’altro senza che si “lasci pervenire in vista l’Essere” (Heidegger) e il legame profondo tra l’uomo e tutto ciò che lo circonda. E questo percorso non ha fatto altro che persistere nella rivalutazione dell’individuo e del potere intrinseco nella sua capacità di giudizio autonomo fino ai giorni nostri.
Riprendendo Heidegger il nostro tempo è contrassegnato dal “dominio della tecnica” e questa non è altro che il dominio del soggetto sull’esistente, la volontà di imbrigliarlo secondo le proprie necessità. Ma siamo sicuri che sia la cosa giusta da fare se vogliamo costruire un mondo giusto, equilibrato, civile? Lasciare il mondo in mano all’individuo, alla sua unica volontà di soddisfare i propri bisogni personali senza minimamente prendere in considerazione l’interesse comune? Stiamo costruendo un mondo freddo, indifferente, senza alcuno sguardo a chi ci circonda, in cui la competizione la fa da padrone. Basti pensare al mondo della scuola. Dal momento in cui entrano in questa istituzione i ragazzi sono indottrinati a pensare che l’unico obiettivo è quello di dare il meglio di sè anche se questo vorrebbe dire sopravanzare e primeggiare sugli altri. E’ veramente l’educazione che vogliamo dare alla generazioni future questa? Forse sarebbe meglio pensare ad un approccio alla realtà alla stregua di una cordata che sta scalando all’unisono la stessa montagna. Siamo tutti legati e se qualcuno dovesse rimanere indietro dobbiamo essere in grado di rallentare e rimetterci tutti allo stesso passo dal momento che se cade uno cadiamo tutti.
La celebre citazione di Hobbes “homo homini lupus” è solo lo specchio della società che noi stessi abbiamo creato ma se ci risvegliassimo e capissimo che la nostra vera natura non è affatto egoistica ma empatica, affettiva, altruista avremmo già compiuto un passo fondamentale per superare quell’ostacolo dell’io anche perchè come disse il Buddha “la felicità non diminuisce coll’essere condivisa”.

Commenti

Related Posts

{{posts[0].title}}

{{posts[0].date}} {{posts[0].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[1].title}}

{{posts[1].date}} {{posts[1].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[2].title}}

{{posts[2].date}} {{posts[2].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[3].title}}

{{posts[3].date}} {{posts[3].commentsNum}} {{messages_comments}}

Search

tags

Modulo di contatto