Qatar, l’inferno dei lavoratori

nov 29, 2014 0 comments


Di Giovanni Giacalone
Un centinaio di operai provenienti da vari paesi dell’Asia, tra cui Bangladesh, India, Nepal e Sri Lanka e in Qatar per lavoro, sono stati arrestati e a breve dovrebbero essere deportati; la loro colpa è di aver osato scioperare per le inumane condizioni in cui erano obbligati a lavorare. Secondo fonti locali, gli operai erano stati assunti da due società di subappalto, la Qatar Freelance Trading and Contracting e la Qatar Middle East Co e stavano lavorando in alcuni cantieri tra cui quello dello Sheraton Doha Hotel. Non si tratta degli unici, poichè nelle ultime settimane più di ottocento lavoratori avevano deciso di scioperare a causa dei pessimi salari e delle assurde condizioni contrattuali. Gli operai si erano visti costretti a firmare i contratti quando si trovavano ancora nei loro paesi di origine; una volta giunti in Qatar i loro passaporti erano stati sequestrati, i loro contratti stracciati e gli stipendi ridotti di un terzo rispetto alla cifra inizialmente concordata. In seguito alle proteste, i lavoratori sono stati aggrediti e pestati con dei bastoni dalla polizia e in seguito arrestati e rinchiusi presso il Doha Detention Center, tristemente noto per le violazioni dei diritti umani e le violenze. Nulla di nuovo sotto il cuocente sole del Golfo; basti pensare che soltanto tra marzo e agosto del 2014 gli ispettori hanno condotto 709 ispezioni scoprendo 827 violazioni sulle sistemazioni degli operai, con una media di 20 a settimana.
Un rapporto della Human Rights Watch del 2014 illustra le drammatiche condizioni a cui sono sottoposti i lavoratori stranieri in Qatar, che solitamente pagano cifre esorbitanti per il processo di selezione e assunzione. Come già detto prima, una volta entrati nel paese i loro passaporti vengono sequestrati e ogni lavoratore è obbligato a far riferimento al proprio sponsor o datore di lavoro per quanto riguarda il permesso di soggiorno. In molti casi i lavoratori si sono lamentati del fatto che i loro datori non pagano gli stipendi, ma non hanno la possibilità di cambiare lavoro senza una loro autorizzazione, se non in casi del tutto rari ed eccezionali, quando interviene il Ministero dell’Interno. Gli operai non possono inoltre lasciare il paese senza il consenso del loro sponsor, con necessario rilascio del visto d’uscita (molti i casi documentati al riguardo), non possono unirsi in associazioni sindacali o organizzare scioperi anche se il 99% di loro lavora per società private. Nel caso in cui gli sponsor dovessero poi accusare i lavoratori di insubordinazione o se dovessero “dimenticarsi” di rinnovare i loro documenti con il relativo permesso, subentra l’arresto del lavoratore e l’eventuale deportazione. I datori di lavoro hanno inoltre campo libero visto che le autorità qatariote raramente intervengono nei confronti di chi commette infrazioni a danno dei dipendenti, i quali diventano a loro volta carne da macello per gli sfruttatori.Particolarmente grave risulta poi essere la situazione delle collaboratrici domestiche, che oltre alle problematiche che caratterizzano tutti i lavoratori immigrati, sono anche ulteriormente vulnerabili per il fatto di essere donne e dunque spesso soggette ad abusi sessuali. Molte di loro non sono autorizzate a parlare con gli estranei e vengono rinchiuse all’interno delle abitazioni dove lavorano senza poter uscire e senza giornate libere. Non è infatti prevista alcuna tutela in base al diritto del lavoro del Qatar, che potrebbe fornire loro giorni di riposo e limitare le ore di lavoro, tra le altre misure.
I Mondiali di calcio del 2022 e i morti sul lavoro
Per quanto riguarda la preparazione ai Mondiali del 2022, la situazione in Qatar è tra il drammatico e il surreale. Un rapporto del marzo 2014 pubblicato dalla International Trade Union Confederation e intitolato “Le accuse contro il Qatar”, scaricabile qui, mette in luce diverse casistiche di irregolarità e soprusi nei confronti dei lavoratori stranieri e fa una stima secondo cui circa quattromila operai immigrati moriranno sul proprio posto di lavoro prima dell’inizio dei Mondiali. Un numero relativamente ottimistico visto e considerato che dal 2010, quando il Qatar ha ottenuto la concessione della Coppa del Mondo, sono già morti circa mille e duecento lavoratori e mancano ancora otto anni. Il Qatar, un paese di due milioni di abitanti e con soltanto il 10% di cittadini qatarioti, ha evidente bisogno di manodopera a basso costo per il progetto del 2022; non si tratta solo della costruzione di stadi, ma anche di infrastrutture e linee di trasporto. Nei prossimi anni verranno infatti costruite linee ferroviarie e della metropolitana, strade, alberghi, un aeroporto e molto altro.
La FIFA, organizzazione che ha concesso l’evento al Qatar, è ben al corrente della drammatica situazione in corso nel paese del Golfo, ma nonostante ciò non ha ancora preso provvedimenti seri. Intanto le varie società e multinazionali continuano a portare avanti pratiche di vero e proprio schiavismo moderno, d’altronde le leggi locali lo consentono. La FIFA si è limitata a definire la situazione qatariota “molto complessa”. Il termine più idoneo però potrebbe essere “vantaggioso”, per certe aziende, per il Qatar e ovviamente tutto sulla pelle dei lavoratori.

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