Hulrich Zwingli,Filippo Melantone,Jakob Bbhme e gli altri teologi della Riforma

set 4, 2015 0 comments


http://www.parodos.it/filosofia/zwingli.htm

Hulrich Zwingli, il riformatore di Zurigo

Hulrich Zwingli (1484-1531) fu dapprima discepolo di Erasmo, e, malgrado una formale rottura con lui, restò profondamente legato alla mentalità umanistica. Imparò il greco e l'ebraico, e studiò non solo la Scrittura, ma anche gli antichi pensatori, come Platone e Aristotele, Cicerone e Seneca.

Condivise, almeno agli inizi della sua evoluzione spirituale, la convinzione propria di Ficino e di Pico circa la rivelazione universalmente estesa, anche al di fuori,della Bibbia. Dal 1519 incominciò la sua attività di predicatore luterano in Svizzera. 








Zwingli era convinto assertore di alcune delle tesi fondamentali di Lutero, e, in particolare, delle seguenti: a) la Scrittura è la sola fonte di verità; b) il papa e i Concili non hanno un'autorità che vada oltre quella delle Scritture; c) la salvezza avviene per la fede e non per le opere; d) l'uomo è predestinato.

Da Lutero dividevano Zwingli, oltre che alcune idee teologiche (in particolare circa i sacramenti, cui egli annetteva valore quasi solo simbolico), la cultura umanistica con forti rigurgiti di razionalismo e un forte patriottismo elvetico (quest'ultimo lo portò, inconsapevolmente, a privilegiare gli abitanti di Zurigo, quasi fossero essi gli eletti per eccellenza)
.
Per dare un'idea concreta del ripiegamento in senso umanistico-filosofico della dottrina zwingliana, scegliamo due punti molto importanti: quello del peccato e della conversione, e la ripresa di tematiche ontologiche di carattere panteistico.

Per quanto concerne il peccato, Zwingli ribadisce che esso ha la sua radice nell'amore di sé (egoismo). Tutto ciò che l'uomo fa in quanto uomo è determinato da questo amore di sé, e pertanto è peccato. La conversione è invece una illuminazione della mente. Ecco le precise parole di Zwingli:

Quelli che hanno fiducia in Cristo, sono diventati uomini nuovi. In che modo? Forse lasciando l'antico corpo per rivestirne uno nuovo? No certo, il corpo vecchio rimane. Rimane dunque insieme anche la malattia? Rimane. Che cosa viene rinnovato allora nell'uomo? La mente. In che modo? In questo modo: prima essa era ignara di Dio, ma dove vi è ignoranza di Dio, ivi non vi è che carne, peccato, stima di sé; dopo che ha riconosciuto Dio, l'uomo comprende veramente se stesso interiormente ed esteriormente. E si disprezza dopo essersi conosciuto. Quindi avviene che tutte le sue opere, anche quelle che fino a quel tempo soleva stimare buone, reputi di nessun valore. Quando dunque attraverso la illuminazione della grazia celeste la mente umana riconosce Dio, l'uomo è diventato nuovo.

Dove la sottolineatura dell'illuminazione della mente mostra con immediata evidenza il tentativo di recupero (nei precisi limiti indicati) delle facoltà razionali dell'uomo.

Per quanto concerne il secondo punto, è interessante rilevare come Dio torni a essere concepito in senso ontologico come Colui che è per sua stessa natura, e quindi come fonte di ciò che è. Ma l'essere delle cose, per Zwingli, non è se non l'essere di Dio, dato che Dio ha tratto l'essere delle cose (quando le ha create) dalla sua propria essenza. Perciò, dice Zwingli:

Poiché l'essere delle cose non deriva da Dio come se il loro esistere e la loro essenza fosse diversa da quella di Dio, ne consegue che per quanto riguarda l'essenza e l'esistenza, nulla vi è che non sia la divinità: questa è infatti l'essere di tutte le cose.

La predestinazione, per Zwingli, si inserisce in un contesto deterministico ed è considerata uno degli aspetti della provvidenza. Un segno sicuro per riconoscere gli eletti c'è, e consiste appunto nell'avere la fede. I fedeli, in quanto eletti, sono tutti uguali. La comunità dei fedeli si costituisce anche come comunità politica. E così la Riforma religiosa sfociava in una concezione teocratica, su cui pesavano ambiguità di vario genere.

Zwingli morì nel 1531, combattendo contro le truppe dei cantoni cattolici. Le ire di Lutero contro di lui, cominciate non appena Zwingli diede segni di autonomia, non cessarono nemmeno con la sua morte, che egli così commentò: «Zwingli ha fatto la fine di un assassino [.. .]; ha minacciato con la spada, e ha avuto la mercede che si meritava». Lutero aveva affermato solennemente (con le parole del Vangelo) che «chi userà la spada, perirà di spada», e che la spada non doveva essere usata in difesa della religione.

Ma già nel 1525 egli aveva esortato Filippo d'Assia a reprimere nel sangue i contadini in rivolta sotto la guida di Tommaso Mtintzer, che da lui era stato convertito e nominato pastore in una località della Sassonia.

E ormai la spirale delle violenze era inarrestabile: il germe delle guerre di religione stava fatalmente diffondendosi e doveva diventare una delle maggiori calamità dell'Europa moderna.


Altre figure legate al movimento protestante, da Filippo Melantone a Jakob Bbhme



Fra i discepoli di Lutero ebbe una certa importanza 
Filippo Melantone (1497-1560), il quale, però, attenuò via via certe asperità del maestro e tentò una sorta di mediazione fra le posizioni della teologia luterana e quella tradizionale cattolica. L'opera che gli diede fama si intitola Loci communes (che contiene esposizioni sintetiche dei fondamenti teologici), pubblicata nel 1521 e più volte riedita con varianti sempre più accentuatamente moderate.

Melantone cercò di correggere Lutero in tre punti chiave:

1) sostenne la tesi che nella salvezza la fede ha un ruolo essenziale, ma che l'uomo con la sua opera «collabora», e quindi funge quasi da concausa della salvezza;
2) volle ridare valore alla tradizione, al fine di porre termine ai dissidi teologici che la dottrina del libero esame aveva scatenato;
3) sembrò fare un certo spazio, sia pure esiguo, alla libertà. Al maestro rimproverò il carattere dispotico, la rigidezza e la bellicosità. I suoi abili disegni di riconciliazione dei cristiani sfumarono nel 1541 a Ratisbona, dove le parti in causa (luterani, calvinisti e cattolici) non accettarono la base dell'accordo da lui proposta.

Confessione di Augusta

Forti tinte razionalistiche si riscontrano in 
Michele Serveto (Miguel Servet, 1511-1553), che nella sua opera Gli errori della Trinità (1531) mise in discussione il dogma trinitario e la divinità di Cristo, che per lui fu un uomo che si avvicinò in modo straordinario a Dio e che gli uomini debbono cercare di imitare. Fu condannato a morte da Calvino, intollerante di qualunque forma di dissenso in fatto di dogma.

Degni di menzione sono 
Lelio Socino (1525-1563) e soprattutto il nipote Fausto Socino (1539-1604), che, riparato in Polonia, formò una setta religiosa denominata dei «fratelli polacchi». L'uomo, contrariamente a quanto sostenevano gli altri riformatori, per Socino può «meritare» la grazia, perché è libero. La Scrittura è l'unica fonte attraverso cui conosciamo Dio, l'intelligenza dell'uomo deve esercitarsi appunto nell'opera di interpretazione dei testi sacri. In tale interpretazione ciascuno è veramente libero. Socino tende a una interpretazione in chiave prettamente etica e razionalistica dei dogmi, in evidente antitesi rispetto all'irrazionalismo di fondo dei Luterani e dei Calvinisti.


L'aspetto mistico proprio del pensiero della riforma protestante è invece portato alle estreme conseguenze da 
Sebastian Franck (1499-1542), di cui furono celebri i Paradossi (1534), daValentin Weigel (1533-1588), le cui opere circolarono solo dopo la sua morte, e da Jakob Bòhme(1575-1624), di cui sono diventati famosi soprattutto gli scritti: L'aurora nascente (1612) e I tre principi della natura divina (1619).Jakob Bòhme soprattutto avrà influssi sui pensatori dell'età romantica. Le sue idee non sono riassumibili, giacché sono espressioni di una esperienza mistica intensamente vissuta e sofferta. Sono vere e proprie «allucinazioni metafisiche», come è stato detto. Il senso di questa esperienza è riassunto da Gerardo Fraccari come segue: «Per  Bòhme la vera Vita è l'"angoscia" dell'individuo disperatamente solo, di fronte a un infinito che rimane muto alle sue richieste, è la "tensione" esplosiva verso una soluzione, è il "lampo" che improvvisamente squarcia le tenebre, è il "regno della gioia" in cui si realizza la grande pacificazione fra le parti e il Tutto, è la Maestà di Dio, in cui la potenza di Dio si dispiega nella sua armoniosa totalità. Certo  Bòhme era persuaso di scrivere per pochi (donde il suo esoterismo) ed era persuaso che il suo stesso linguaggio per quanto immaginifico e magico, per se stesso non fosse sufficiente a illuminare le anime degli uomini senza l'intervento di qualche cosa in più che avrebbe aiutato a fare l'ultimo balzo dal mondo visibile al mondo dell'invisibile.

Egli scriveva nel suo Epistolario:

"Io vi dico, egregio Signore, che voi avete visto sinora nei miei scritti soltanto un riflesso di simili misteri, giacché essi non possono mai essere descritti. Se voi sarete riconosciuto degno da Dio che la luce venga accesa nel vostro animo, allora voi udirete, gusterete, fiuterete, sentirete, e vedrete le inesprimibili parole di Dio". 

Esiste cioè un momento nel processo mistico, quando la tensione dell'individuo è portata all'estremo, in cui interviene una forza superiore a realizzare il passaggio definitivo dal visibile all'invisibile».

Le opere bòhmiane furono avversatissime, ma, forse a motivo della sua scelta di vita semplice,
 Bòhme (che visse facendo l'umile mestiere dell'artigiano) non fu perseguitato e venne sostanzialmente tollerato.


Giovanni Calvino - Istituzione cristiana


(FOTO:http://vitadibruno.filosofia.sns.it)

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