Al Baghdadi in Libia: notizia, bufala o propaganda?

dic 10, 2015 0 comments
Al Baghdadi in Libia: notizia, bufala o propaganda?
Di Emanuele Rossi
La notizia suona più o meno così: il leader dello Stato islamico, Abu Bakr al Baghdadi, si sta spostando in Libia, attraverso la Turchia, per evitare di finire nella morsa dell’intelligence di Baghdad; il tutto in un’operazione che vede la regia della Cia (che lo avrebbe portato in Turchia per curarlo dalle ferite subite a Raqqa). Sarebbe lo scoop dell’anno, se non fosse che a pubblicarlo è Fars News Agency, l’agenzia di stampa semi-ufficiale iraniana impelagata col potere teocratico della Repubblica islamica e famosa per portare le teorie cospirazioniste «to the next level» come ha scritto il Washington Post. E infatti, nel pezzo, i baghdadisti vengono definiti “takfiri” e non mancano i riferimenti al “Grande Satana”, l’America nemica dell’Iran, nonostante i riavvicinamenti post deal nucleare.
Attenzione, perché non basta. A fornire la notizia per prima è Al Manar, la tv libanese faro della propaganda di Hezbollah. Ma c’è di più, perché la grancassa internazionale è offerta da Sputnik News, che dietro alla facciata di agenzia di stampa nasconde un ufficio di propaganda del Cremlino. E infatti, ad essere incolpata insieme all’intelligence americana di procedere con lo spostamento di Baghdadi, è la Turchia, attualmente in cima alla lista dei nemici di Mosca, dopo l’abbattimento del Sukhoi russo da parte di un caccia di Ankara.
Il problema
Perché parlarne dell’argomento se dietro c’è un’impalcatura costruita ad uopo per confondere, deviare la verità, propagandare? Perché la notizia sta girando molto, e non solo a Mosca, Teheran e Beirut, dove le leadership si reggono in piedi per la diffusione di questo genere di informazioni taroccate, ma anche in Occidente, compreso in Italia. Il momento è complicato, di certo: la presenza di un ampio set di fonti che arriva da media non tradizionali (vedi i comunicati sui social network, per esempio), si fonde con una situazione molto complessa e oggetto delle cortine fumogene tipiche dei conflitti. In questa situazione, la distrazione è facile, così come è comodo semplificare, e dunque dietro alla pigrizia della verifica della fonti, si nasconde la deviazione del pensiero, che a volte scivola verso l’indottrinamento, passando spesso anche da un “giornalismo sbagliato”.
Sotto certi aspetti, questo genere di informazioni ha lo stesso valore dei messaggi propagandistici del Califfato, che delle cospirazioni e dei complotti (nel caso contro il mondo musulmano impuro e colluso con gli infedeli occidentali) si nutrono, abbinando il tutto a campagne di magnificenza e terapie di purezza e verità. Sotto altri aspetti, è chiaro che diffondere certe notizie fa il gioco dello Stato islamico, che in mezzo ai dubbi di chi legge cospirazioni e complotti, fronti che dovrebbero essere comuni ma che invece sono divisi, interessi e inciuci, magnetizza una sorta di legittimità agli occhi soprattutto di chi è già incline a certe istanze.
Le fonti del caso
Sputnik è stato definito lo strumento di diffusione della propaganda putiniana nel mondo; Al Manar è un’entità antisemita, che gli Stati Uniti hanno classificato come Specially Designated Global Terrorist entity con l’accusa di essere il braccio mediatico del gruppo terroristico Hezbollah (praticamente l’omologo di Al Furqan Media nel Califfato); Fars News nel gennaio 2014 pubblicò un report secondo cui dal 1945 il governo degli Stati Uniti era guidato da un esecutivo ombra gestito dagli alieni e lo stesso Barack Obama sarebbe stato una loro pedina (il tiro della notizia è stato poi corretto, con l’agenzia che ha chiarito di non essere né d’accordo né in disaccordo con il report, ma di averne solamente parlato).
La Libia adesso
Ci sono effettive notizie dello spostamento dalla Siria e dall’Iraq di alcuni capi dello Stato islamico verso la Libia, in direzione della città di Sirte. Tra loro potrebbero esserci anche leader importanti, comandanti militari e uomini forti della predicazione e dell’organizzazione amministrativa. È comunque probabile che le strutture di vertice libiche siano costituite non soltanto da “stranieri”, perché è noto che un leader locale è più gestibile, meno invasivo, e più empatico, di un uomo messo al comando venuto da fuori. Al di là di questo, il punto non è sulla presenza o meno di Baghdadi, ma sulla necessità che le notizie vengano prese con la giusta misura, evitando di diffondere pensieri propagandistici creati sulla base di agende interne di vari Paesi, e verificando attentamente le fonti in questo mare di informazione, effettuandone un’analisi attenta e critica, senza correre dietro all’appetito di lanciare lo scoop più grosso degli altri (e per primi). La Libia, adesso, rappresenta un nuovo territorio di disinformazione, come lo è stato finora la Siria: su questo, come detto, lo Stato islamico specula.

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