Streghe, pagliacci, mutanti. Il cinema di Álex De la Iglesia

gen 28, 2016 0 comments
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Di Gioacchino Toni
Sara Martin, Streghe, pagliacci, mutanti. Il cinema di Álex de la Iglesia, Mimesis, Milano – Udine, 2015, 146 pagine, € 14,00
Quella scritta da Sara Martin è la prima monografia italiana dedicata al regista basco Álex de la Iglesia, la cui produzione attraversa, frequentemente anche all’interno dello stesso film, generi che vanno dal fantastico al western, dal road movie alla commedia grottesca, dal dramma al documentario biografico. L’obiettivo del volume, dichiara l’autrice, è quello di affrontare la produzione del regista attraverso quelli che considera due elementi propri della sua poetica: il tempo e lo spazio.
Il saggio è suddiviso in tre capitoli. Nel primo capitolo (Tempo) la studiosa si avvale di testimonianze dirette del cineasta e di un’analisi approfondita degli scritti a lui dedicati al fine di testimoniare la relazione esistente tra l’esperienza spettatoriale del regista, la sua formazione culturale e le sue opere. Nel secondo capitolo (Spazio) vengono da una parte indagate le maschere ed i corpi messi in scena nelle opere del regista e dall’altra i luoghi in cui vengono ad agire i personaggi. Nel terzo capitolo (Opere), attraverso una serie di schede critiche, viene offerta una panoramica dell’intera produzione del cineasta.
La prima parte del saggio è strutturata in modo da offrire una rassegna critica della produzione del regista a partire da Mirindas asesinas (1991), cortometraggio d’esordio di Álex de la Iglesia. Si tratta di un 16 mm in bianco e nero che da una situazione comica iniziale si trasforma via via in una commedia nera surreale per poi diventare un thriller psicologico. Sin da questa opera compaiono alcuni personaggi che risulteranno poi essere una costante delle opere visionarie del regista.
azione_mutanteIl primo lungometraggio di de la Iglesia,Acción mutante (Azione mutante, 1993), prodotta da Pedro Almodóvar, inizia alludendo al film A Clockwork Orange (Arancia meccanica, 1971) di Stanley Kubrick,  trasformandosi poi in un prodotto audiovisivo dall’estetica tipica dell’informazione televisiva, dunque in una commedia sempre più nera fino a giungere alla fantascienza, all’horror ed al western. «De la Iglesia realizza un lungometraggio che offre un paesaggio completamente inusuale nel cinema spagnolo e dove i riferimenti costanti alla televisione, al suo linguaggio, ai suoi segni e al suo stile, annunciano già il peso che avrà questo medium nella gran parte dei suoi lavori. Per lui parlare della televisione è come parlare del mondo. La televisione è un’imago mundi attraverso cui vedere l’intero universo. La sua generazione ha conosciuto tutto attraverso il filtro della televisione» (p. 27).
Il nuovo lungometraggio, El dia de la Bestia (1995), si sviluppa attorno all’idea di pensare il maligno nell’uomo dalla porta accanto. «L’anticristo nasce nelle torri KIO [La Porta d’Europa di Madrid, NdR], simbolo tanto del potere finanziario come della dittatura franchista e nel film diventano poi, piegate dagli sceneggiatori, anche simbolo di antiche premonizioni» (p. 29). Di nuovo, sottolinea l’autrice, si intrecciano generi diversi, «Commedia, humour nero, tradizioni ispaniche, immaginario satanico, estetica heavy metal, cinema del terrore» (p. 29). Il film intende denunciare «l’intolleranza, il razzismo, la violenza politica, la televisione spazzatura, le sette sataniche, i programmi esoterici» (p. 31), senza timore di fare nomi e cognomi dei personaggi che il regista detesta nella società contemporanea.
L’opera successiva è Perdita Durango (1997), realizzazione internazionale d’ambientazione americana con un cast importante che incontra non pochi problemi di censura: violenza, sesso esplicito e contenuti ritenuti blasfemi bloccano il film in molti paesi o lo vedono ampiamente mutilato. Il film è realizzato ibridando, nuovamente, generi diversi; di fondo è un thriller ma risulta decisamente contaminato dal cinema politico, gotico e surreale. «De la Iglesia passa dalla demonologia di El dia de la bestia alla santeria di Perdita Durango; anche se il soggetto del film non è scritto da lui, il tema del male come potenza e come fascinazione permane» (p. 33).
Muertos de Risa (1998) è invece una commedia nera, non distribuita in Italia, che narra l’acuirsi, fino alle estreme conseguenze, dell’odio reciproco di una coppia di comici televisivi. «In Muertos de risa de la Iglesia contrappone immagini della Spagna franchista con quelle dell’inaugurazione dei Giochi olimpici (la Spagna europea), ma si tratta dello stesso paese, così come i protagonisti del lungometraggio rappresentano il dritto e il rovescio di un’unica medaglia, rispondendo a una sorta di cliché comune a tutte le culture nelle coppie di comici» (p. 36). Oltre al discorso politico, nel film vi è anche una riflessione sul rapporto tra umorismo e violenza e sull’influenza sociale della televisione. Se nelle prime opere il regista gioca con i generi cinematografici, con Muertos de risa si inaugura una piccola serie di opere basate sulla rappresentazione della quotidianità intesa come ambito che si rivela denso di misteri e colpi di scena.
La comunidad (2000) è una commedia grottesca che svolta sempre più verso l’horror ma, segnala Sara Martin, è anche «un tour de force metacinematografico»; sono evidenti infatti i rimandi a diversi film di Alfred Hitchcock, Roman Polanski ed alla serie The Twilight Zone (Ai confini della realtà, di Rod Serlig, 1959-1964). Secondo la studiosa mentre El dia de la bestia esibisce i demoni esteriori di Madrid, La comunidad invece mostra quelli interiori, quelli di una città dura e spietata che dietro all’immagine di progresso e modernità cela corruzione e marciume.
Con 800 balas (2002), opera non distribuita in Italia, il regista si cimenta anche con il genere western, seppure con un taglio surreale. Come in molte opere, sostiene Martin, anche in 800 balas, i personaggi secondari permettono al regista di mettere in scena una serie di perdenti che si trovano meglio a vivere una vita di finzione piuttosto che la realtà quotidiana. Sebbene il film, nella sua struttura portante, celebri il cinema, non manca di criticare la società spagnola contemporanea affetta da corruzione e speculazione edilizia. I perdenti tornano anche nell’opera successiva, Crimen ferpecto (2004), commedia nera che non manca di omaggiare, nuovamente, Alfred Hitchcock e Luis Buñuel, ambientata in un universo in cui dilaga l’ipocrisia. Anche in questo caso tornano personaggi eccentrici e perdenti che finiscono col suscitare una certa simpatia nello spettatore ma, a differenza di quanto accade nei film precedenti, sostiene Sara Martin, qui la scena è totalmente occupata dai personaggi principali e le presenze femminili risultano violente, spietate, avide e, soprattutto, trionfanti sugli uomini.
Pluton_BRB_Nero_Serie_TV_22Dopo aver realizzato La habitación del niño (La stanza del bambino) (2006), un horror per la tv con diversi riferimenti ai mondi paralleli derivati da Philip K. Dick, de la Iglesia lavora ad un poliziesco di produzione internazionale girato in inglese, The Oxford Murders (Oxford Murders – Teorema di un delitto) (2008) ed a Pluton B.R.B. Nero (2008-2009), una serie televisiva, mai trasmessa in Italia, di 26 episodi suddivisi in due stagioni, in cui compaiono ossessioni e personaggi cari al regista. «Più che una serie fantascientifica», sostiene Sara Martin, «Pluton B.R.B. Nero è una commedia in costume intrisa di humour nero e provocazione» (p. 48),
Il successo internazionale per de la Iglesia arriva con Balada triste de trompeta (2010). Il film ottiene il Premio della giuria e quello per la Miglior sceneggiatura alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia 2010. Per certi versi si tratta del seguito di Muertos de risa, con due pagliacci al posto dei comici televisivi. «Attraverso il racconto di due losers (e una donna), de la Iglesia percorre ancora una volta la storia del suo Paese con toni scuri, neri. I riferimenti cromatici del film sono da individuarsi soprattutto nella pittura di Goya e di Grünewald. Le atmosfere sono quanto di più lontano dal cinema felliniano a cui sovente l’autore spagnolo è stato paragonato. Per Fellini il circo è magia e meraviglia, per de la Iglesia il circo è sangue e morte e in Baladanon a caso si colloca fra le rovine in un luogo decadente, squallido, brutto. I titoli di testa e quelli di coda raccontano la Spagna e raccontano il film. Si alternano immagini documentali della guerra civile e del post-guerra franchista. Nei titoli di testa si scorgono numerose immagini iconiche del franchismo (…) alternate a riferimenti alla cultura del paese (…) e miti cinematografici personali del regista» (p. 55).
Di nuovo, si sottolinea nel saggio, è il mondo della televisione a fornire immagini a tale patchwork visivo in cui, insieme ai rimandi colti, viene criticata quella sottocultura che ha fatto da sfondo all’immaginario collettivo negli ultimi tempi che «nel cinema di de la Iglesia ha una doppia funzione: da una parte desacralizzare la Cultura “alta”, dall’altra accumulare immagini, oggetti, personaggi che vanno a costruire un cinema che si pone coscientemente all’opposto della sobrietà, della pulizia, della misura per dare libero sfogo all’eccesso, alla stravaganza, alla ricchezza delle immagini stratificate nello spazio e nel tempo» (p. 56).
Dopo la realizzazione di La chispa de la vida (2011), tragedia in cui non si salva nessuno, influenzata dalla situazione politica e sociale spagnola segnata da crisi economica, disoccupazione e precarietà, il regista basco gira Las brujas de Zugarramurdi (Le streghe son tornate) (2013), una commedia horror ambientata nella cava di Zugarramurdi, tra Francia e Navarra, luogo in cui l’inquisizione Spagnola, ad inizio XVII secolo, ha dato vita ad una spietata caccia alla streghe. Il film, che non manca di criticare gli stereotipi di genere che attraversano la società contemporanea, è disseminato di riferimenti ai film amati dal regista, in particolare al cinema fantastico hollywoodiano degli anni ’80. Poco dopo il cineasta realizza Messi (2014), una biografia del celebre calciatore argentino e, nello stesso periodo, il cortometraggio The Confession, con cui Álex de la Iglesia prende parte al film collettivo Words with Gods (2014) ideato da Guillermo Arriaga in cui diversi registi raccontano, credenti o meno, la personale visione del mondo e dell’uomo in rapporto alla religione.

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