Dalla Libia l’avvertimento all’Italia: “State sostenendo milizie islamiste”

lug 12, 2018 0 comments
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Di Alessandra Bocchi
È stata fragile fin dal giorno della caduta di Muhammar Gheddafi la strategia dell’Italia in Libia, pronta ad appoggiare appieno il governo di Tripoli – sostenuto dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea – nonostante questo sia confinato nella città stessa e fatichi a controllare il Paese. Ora la musica potrebbe cambiare, ma a un solo mese dalla formazione dell’esecutivo è ancora troppo presto per valutare la strada che il “governo del cambiamento” giallo-verde intende percorrere.
A oggi il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha continuato sulla strada tracciata, scegliendo come interlocutore soltanto Tripoli, mentre il rivale Khalifa Haftar ribadisce la sua ostilità verso l’Italia. La settimana prossima il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, si recherà in Libia per incontrare il generale, ma è presto per dire che cosa uscirà dal faccia a faccia. Non disposto a compromessi, Haftar da tempo ribadisce di voler riprendere il controllo di tutto il Paese. Ha in mano la maggior parte del territorio libico, e per questo non si può ignorare.
Sembra che negli ultimi giorni l’Italia sia riuscita nell’intento di stringere con Tripoli un accordo simile a quello siglato ai tempi tra Gheddafi e Berlusconi per fermare l’immigrazione massiva. Ma il governo di Tripoli non è quello di Gheddafi. E a dircelo sono gli stessi libici.
“La maggior parte delle forze nel governo di Tripoli sono milizie, ben poche sono forze dell’ordine, di qualsiasi tipo. E queste milizie spesso sono le stesse che guadagnano dal traffico di persone”, ci dice l’organizzazione di Fezzan, che sta nella città meridionale di Sebha e che monitora la crisi migratoria.
Il ruolo italiano in Libia non ha portato particolari benefici al Paese, ormai nel suo settimo anno di guerra civile, devastato dai conflitti tribali e territoriali che hanno fatto seguito alla caduta del regime di Gheddafi. L’Italia è stata la prima a soffrirne le conseguenze, con una crisi migratoria fuori controllo, e costretta a fare i conti e con attori e interessi sempre più complessi, senza un nuovo governo legittimo con il quale trovare una soluzione. In questa situazione il governo italiano ha sostenuto, consapevolmente o meno, le forze di matrice islamista.
“Come libico, appoggio il diritto che ha l’Italia di gestire la crisi migratoria nel modo che ritiene giusto, e l’Italia sarà sempre un partner importante per la Libia, vista la storia che abbiamo in comune, ma fino a ora ha dato supporto al Qatar e ai Fratelli musulmani in Libia, gli stessi che l’hanno distrutta”, ci dice un ragazzo che chiede l’anonimato per ragioni di sicurezza, aggiungendo che altrimenti “rischierebbe la vita”. Ci dice che ha visto spesso il ministro dell’Interno Matteo Salvini opporsi ai finanziamenti del Qatar in Italia, specialmente in campagna elettorale, ma in Libia fino ad oggi è stata proprio questa forza politica a ottenere l’appoggio italiano. Dopo la caduta di Gheddafi, Roma ha sostenuto il governo di Tripoli e appoggiato le forze a Misurata, dove sono di stanza le milizie islamiste della Fratellanza.
E tuttavia il conflitto libico non può essere ridotto semplicemente a uno scontro tra islamisti e laici, come viene inteso in Occidente. Tra le forze di Khalifa Haftar, che si dichiara “anti-islamista”, trova spazio l’estremismo wahabita appoggiato e promosso dall’Arabia Saudita. La Libia è il terreno di scontri tra i Saud e il Qatar, in una guerra tra proxy. “L’Italia deve cercare di avere un ruolo nuovo in Libia per contrastare entrambe queste forze oppressive nel Paese”, ci dice ancora la stessa fonte. “Dovrebbe riunificare il Paese, contrastando l’influenza estremista islamica da entrambe le parti – sia quella del Qatar che quella dell’Arabia Saudita”, sostiene anche Hamam Elfassi, analista che ha vissuto per un decennio nel Paese nordafricano e ora lavora in Gran Bretagna per il fondo di sviluppo per la Libia, il National Economic Development Board.
Il precedente governo italiano ha cercato di fare i propri interessi, senza pensare alle conseguenze. Un esempio è l’accordo dell’estate 2017 per fermare gli sbarchi e che pare avere moltiplicato i problemi. “Ha dato più potere alle stesse milizie responsabili per il traffico di persone, pagandole per avere la loro fiducia”, ci dice Elfassi. Pagare le milizie per avere la loro lealtà non può essere che una soluzione temporanea. Appena i fondi scarseggiano, i trafficanti tornano a fare i loro affari come prima, o non smettono nemmeno, per raddoppiare i ricavi. “L’Italia in questo momento ha troppa fretta nel volere risolvere la crisi migratoria senza sapere quello che sta facendo. Appoggiando il governo di Tripoli, aiuterà le persone sbagliate” ci dice anche l’organizzazione di Fezzan. “Anche nel Sud, l’Italia ha lavorato fino ad ora con le stesse persone che sono coinvolte con il traffico di persone”.
Elfassi ci spiega che le milizie nell’Ovest della Libia hanno perso legittimità e potere anche nelle loro comunità, nonostante i grossi finanziamenti. I libici sono stufi e vogliono sicurezza. Il governo di Tripoli, con il quale l’Italia lavora da anni, non è una forza credibile per controllare il Paese, e non lo sono nemmeno le forze di matrice islamista appoggiate dall’Italia a Misurata. Haftar rappresenta una soluzione, ma solo se si libera dell’influenza saudita e scende a compromessi con i suoi rivali.
“L’Italia ha sempre avuto una grande influenza politica, sociale ed economica nel nostro Paese, ma ultimamente ha perso la sua credibilità, specialmente a Tripoli”. Gli accordi presi dal precedente governo non sono andati a buon fine: non hanno aiutato ad ottenere la stabilità. Nel frattempo, la Francia ha iniziato ad essere un attore europeo molto più importante. Sostiene il governo dell’Est di Haftar, e allo stesso tempo lascia passare i migranti liberamente nella parte sud-ovest del paese – migranti che poi si deve prendere l’Italia. Il rischio per il nuovo governo italiano, sostengono le fonti libiche a Gli occhi della guerra, è che Roma finisca in secondo piano rispetto alla Francia.
“Il vostro Paese potrebbe avere un ruolo molto più positivo se non si concentrasse solo sulla crisi migratoria ma sul risolvere il problema di sicurezza di fondo in Libia,” aggiunge Badi. Riportare i migranti in Libia non è una soluzione: i libici i migranti non li vogliono. Vogliono stabilità. E controllare i confini del proprio Paese.

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