La Cina vuole costruire una centrale fotovoltaica nello spazio

feb 23, 2019 0 comments

Di Paolo Mauri

Dopo il progetto della Luna artificiale, la Cina sembra lanciata in un programma di sfruttamento dello spazio che sa di fantascienza. Secondo quanto riportato dallo Science and Technology Daily, Pechino vuole costruire una centrale fotovoltaica nello spazio entro il 2030.
La centrale ad energia solare spaziale sarà in orbita ad una distanza di circa 36mila chilometri e invierà a terra l’energia prodotta attraverso un fascio di microonde oppure laser
Secondo Phang Zhihao, ricercatore dell’Accademia per la Tecnologia Spaziale cinese, una stazione di questo tipo sarebbe “un’inesauribile fonte di energia pulita per l’umanità” e potrebbe fornire energia in modo affidabile il 99% delle volte con un rendimento pari a sei volte quello di tutte le centrali solari terrestri.

Come una enorme antenna ricetrasmittente

Il principio in realtà è molto semplice e ricorda la ricerca che fu portata avanti già da Nikola Tesla sulla trasmissione di energia elettrica via onde radio. 
La stazione raccoglierebbe i raggi solari al di fuori dell’atmosfera restando in orbita – verosimilmente non geostazionaria – ed al suo passaggio sulla centrale di trasformazione a terra invierebbe l’energia prodotta sotto forma di microonde o laser. 
Secondo  quanto affermato dalla propaganda cinese si prevede che i primi lanci di prova nella stratosfera di piccole stazioni sperimentali saranno effettuati già tra il 2021 ed il 2025, mentre la costruzione di una stazione spaziale capace di produrre energia nell’ordine di grandezza dei megawatt sarebbe prevista per il 2030.

Un progetto non privo di problematiche

L’ambizioso progetto cinese non è però privo di problematiche che generano qualche perplessità nella comunità scientifica non solo cinese.
Innanzitutto una simile stazione spaziale sarebbe molto più pesante dell’attuale Iss, la stazione spaziale internazionale. Si calcola che il suo peso stimato si aggirerebbe intorno alle mille tonnellate, ovvero circa 400 in più rispetto all’Iss.
Questo significa che la Cina dovrebbe provvedere a numerosi – e dispendiosi – lanci di componenti, ma gli scienziati di Pechino pensano di risolvere questo problema con un sistema di stampaggio a 3D in orbita delle parti della stazione stessa. Come possa questo, però, essere vantaggioso in una realtà, quella dei lanci spaziali, dove il costo si esprime in un tot di soldi per unità di massa, non è ancora chiaro: che “si stampi” a terra o nello spazio il peso della materia, prima o lavorata, da portare in orbita risulterebbe lo stesso, cambierebbero solo i volumi.
Secondariamente non è ancora chiaro in che modo l’eventuale trasmissione di energia via microonde o laser possa interferire, soprattutto nel lungo termine, con le dinamiche dell’atmosfera terrestre e con la biosfera. Del resto qualsiasi tipo di emissione di energia che attraversi l’atmosfera terrestre, tranne quella cosmica composta da neutrini, interferisce in qualche modo con essa, sia che ne venga deviata o assorbita. Un laser, ad esempio, perde sensibilmente di portata e potenza quando deve attraversare densi strati di atmosfera perché la sua luce viene, in una certa percentuale, assorbita, rifratta e diffratta (fenomeno chiamato scattering).

Un sintomo della corsa allo spazio cinese

Sebbene l’idea di sfruttare l’energia solare nello spazio non sia di paternità cinese in quanto il Caltech ha sviluppato un progetto che sfrutta lo stesso principio sin qui enunciato, la ricerca cinese si inquadra nella corsa allo spazio che Pechino sta lanciando nel quadro della volontà di assumere il primato tecnologico e scientifico rispetto agli Stati Uniti.
Abbiamo già ampiamente disquisito sulla volontà di dotarsi di strumenti per il controllo militare dello spazio da parte di Pechino, che riguardano asset volti al contrasto dei sistemi satellitari del nemico sia basati a terra sia in orbita, e tali progressi sono da imputare all’aumento esponenziale dei fondi destinati alla ricerca nel campo dei sistemi aerospaziali.
La Cina, infatti, con i suoi 8 miliardi di dollari di budget annuale destinati alla ricerca spaziale, si pone al secondo posto dietro gli Stati Uniti tra i Paesi che più investono. La riprova è data anche dal recente allunaggio della sonda Chang’e-4 sul lato oscuro del nostro satellite naturale, preludio a tutta una serie di missioni made in China che porteranno, secondo i piani di Pechino, a stabilire la prima colonia umana stabile sulla Luna. 

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