Dopo il caso Nord Stream in Europa si rischia la tempesta perfetta

set 28, 2022 0 comments

Di Andrea Muratore

Nord Stream si blocca, la linea rossa tra guasto e sabotaggio appare sempre più labile ora dopo ora, il Mar Baltico torna a infiammarsi, tra Occidente e Russia tornano le schermaglie diplomatiche e la crisi energetica europea d’autunno assume un’altra dimensione, quella della guerra ibrida.

La guerra del gas entra in un territorio inesplorato

In tal senso è interpretata da tutti i contendenti sulla scena. La vedono così i polacchi, che non hanno esitato, in combinato disposto con l’Ucraina, a sdoganare le accuse a Mosca per la presunta responsabilità. Stati Uniti e Nato hanno dichiarato di essere all’erta, l’Alto Commissario per la Politica Estera Josep Borrell ha sottolineato che l’Unione Europea ritiene sempre più probabile l’opzione dell’attacco volontario. La Russia calcia la palla nel campo avversario e chiede l’intervento del Consiglio di Sicurezza Onu. La scena energetica europea tra colpi bassi e giochi di specchi abbandona la complessità sistemica e entra in territorio hobbesiano, di guerra tutti contro tutti in cui una nazione appare al centro del mirino: la Germania.

Si possono avere dubbi su chi abbia vantaggi dalla crisi del gasdotto baltico, ma c’è certamente uno sconfitto, ed è Berlino. Analizzando le conseguenze a medio-lungo termine della crisi del Nord Stream, in questa fase, non si può non sottolineare che il rischio di un circolo vizioso tra l’interruzione delle forniture via Baltico in forma definitiva, paventata dai servizi di sicurezza di Berlino, la crisi energetica europea, il rischio di una recessione tedesca e il duro momento vissuto dall’Europa stia alimentando uno scenario assai problematico in cui anche l’Italia rischia di essere coinvolta: quella dell’incontrollabilità della partita del gas e delle sue conseguenze.

La questione principale riguarda il dilemma sul futuro della sfida Occidente-Russia in una triplice dimensione: la prima è quella del mercato energetico e del suo costo per un’Europa in bolletta che va verso l’inverno con gli stoccaggi d’emergenza pieni ma molta incertezza; la seconda è quella del rischio di un effetto-domino tra partita energetica, questioni macroeconomiche e politiche monetarie europee avente al centro il modello mercantilista tedesco e le sue propaggini, Italia compresa; il terzo è quello della sicurezza degli approvvigionamenti e della geopolitica delle reti.

Il mercato rischia di andare fuori controllo

Sul primo fronte, ci si potrebbe chiedere se la Germania si trova di fronte alla minaccia della materializzazione del rischio di “disoccupazione di massa e povertà” senza il gas russo profetizzato da Robert Habeck, vice di Olaf Scholz alla Cancelleria e Ministro dell’Economia, nella scorsa primavera. Nella giornata del 28 settembre ad Amsterdam i future sul Ttf sono tornati a correre registrando un prezzo di 207 euro segnando un +11,3% dopo un massimo di giornata a 210 euro. Ad alimentare le tensioni le ipotesi del tedesco Tagesspiegel che riporta fonti di governo secondo cui il Nord Stream forse potrebbe essere inutilizzabile per sempre con il materiale dei tre tubi danneggiati che l’acqua salata potrebbe corrodere. 

Una riduzione delle fonti russe all’Europa rischia di mandare nel caos anche le dinamiche strutturali del mercato interno che conta sulla redistribuzione da parte tedesca di parte del gas che passa per il territorio della Germania. E anche se col Baltic Pipeline Paesi come la Norvegia possono supplire maggiormente, lo stress sulle forniture alternative è già al limite e questo può portare a un’accumulazione dell’effetto-domino di speculazione, panico borsistico e caos in grado di far volare il prezzo del Ttf nei prossimi mesi.

Dunque il primo ragionamento strutturale è da fare su quel tetto ai prezzi del gas nel mercato interno proposto nei mesi scorsi da Mario Draghi e su cui Ursula von der Leyen e la Commissione hanno dichiarato di voler lavorare. Per la Germania sarà una prova della verità capire se il pragmatismo potrà vincere sul ritorno dell’ideologia rigorista, mentre anche il nuovo governo a Roma dovrà mettere la crisi energetica in testa e di fronte a un rischio di una fase di acuta volatilità dei prezzi la necessità di interventi-tampone per ovviare a un contesto in cui il saliscendi del costo del gas rischia di creare un danno strutturale sarà tra le più impellenti per l’agenda di Giorgia Meloni o chiunque altro entrerà a Palazzo Chigi. Tutto questo mentre, sull’altro fronte della barricata, la Russia dovrà sicuramente scontare una riduzione delle entrate energetiche e una difficoltà nel proseguire con la stessa intensità la guerra psicologica sull’energia condotta finora.

La valanga della recessione è in arrivo?

In second’ordine, lo scenario prospettato da Habeck è tutto da valutare, ma sicuramente senza il gas russo residuo la Germania e le sue imprese si troveranno di fronte a uno scenario di alta inquietudine capace di aggravare la recessione già stimata come prossima ad ampliarsi dalla Bundesbank e da molti think tank tedeschi.

La congiuntura tra l’incidente a Nord Stream e gli scenari apertisi su scala internazionale non sono confortanti. Come scrive Oil Price, ad esempio “il governo olandese ha annunciato questa settimana che il più grande giacimento di gas onshore d’Europa Groningen sarà messo in secondo piano, con una produzione di gas inferiore a 2 miliardi di metri cubi annui” poiché “le previsioni hanno mostrato che non sarebbero più stati necessari volumi aggiuntivi” data la situazione venutasi a creare. La realtà, tuttavia, “potrebbe essere più difficile da prevedere. Con una durata più lunga della guerra in Ucraina, forse anche con uno scenario nucleare in gioco, e le sanzioni dell’Ue sul petrolio russo all’orizzonte, il mercato si sta potenzialmente dirigendo verso uno scenario oscuro”.

In tutti gli scenari esistenti, anche quelli del governo olandese, si ritiene che con Nord Stream “il gas naturale russo continuerebbe a fluire nei prossimi due mesi, anche se a livelli molto bassi” e ora che questa eventualità è venuta meno Paesi come la Germania rischiano grosso. Del resto gli economisti del Meccanismo Europeo di Stabilità hanno di recente stimato per la Germania una recessione del 2,5% in caso di interruzione delle forniture del gas russo, capace di trasmettersi immediatamente all’Italia per complementarietà tra le filiere industriali dei due Paesi. Come possa Berlino, in quest’ottica, avvallare come fatto dal Ministro delle Finanze Christian Lindner e dalla rappresentante nel board Bce Isabel Schnabel una svolta rigorista su bilancio e tassi a livello europeo, è a dir poco difficile da comprendere. E questo è un tema su cui il nuovo governo italiano dovrà muoversi per smussare, in nome del pragmatismo che fu proprio di Angela Merkel ai tempi del Covid, una posizione difficile da sostenere.

Con l’inflazione energetica in volo e una recessione che apre alla prospettiva di una stagflazione per la Germania e altri Paesi europei a vocazione industriale, l’arma monetaria appare di per sé spuntata, essendo le determinanti della crisi esterne al Vecchio Continente. E si apre il grande dibattito sulla necessaria complementarietà tra sicurezza e sviluppo.

Sicurezza e prosperità, torna il dualismo

Commentando a caldo l’incidente di Bornholm che ha messo a repentaglio il futuro del gasdotto del Baltico, su queste colonne sottolineavamo il fatto che l’ennesimo problema del Nord Stream deve a prescindere da ogni questione far comprendere all’Europa che la sicurezza è un investimento, non un costo, e in materia di forniture di gas e prodotti simili non sempre l’energia a miglior prezzo è quella che alla fine garantisce la maggior garanzia in termini strategici.

Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, nel recente Forum di Davos ha proposto l’annoso dilemma introdotto di Adam Smith sul tema del ritorno del dualismo tra sicurezza e prosperità che la globalizzazione sembrava aver fatto dimenticare. Già riemerso col Covid, tale dualismo diventa tema dominante con la crisi energetica: la prosperità è derivata prima della sicurezza, e per un continente in bolletta come l’Europa questa lezione è stata appresa solo in parte. L’Italia ha impostato un’agenda energetica più ambiziosa, per quanto apertamente migliorabile, per sganciarsi dal gas russo, la Germania si trova ad avere come principale fonte di sostituzione in questa fase il costoso gas naturale liquefatto made in Usa, oneroso e vincolante sul fronte geostrategico.

Conversando con il politologo Lorenzo Castellani su Il Giornale è emerso il tema della fine dell’ordine neoliberale accelerato dalla crisi energetica: “Price cap, nazionalizzazioni (come quelle avanzate in Francia da Macron), prezzi amministrati, controllo dei capitali, ritorno ai contratti di fornitura a lungo termine sono tutti segni del fatto che il sistema neoliberale è oramai al tramonto” e questo dal gas potrebbe diventare una realtà anche in altri settori interessati dal superciclo delle materie prime. In cui il dualismo tra sicurezza e lealtà dei fornitori, garanzie di adeguata continuità dei flussi e sfruttamento politico delle reti di alleanza generate dalle dinamiche di mercato sarà, su scala globale, sempre più saliente nella determinazione dei rapporti di forza. In cui l’Europa appare sempre di più vaso di coccio tra i vasi di ferro per aver visto le sue scelte più spinte dall’emergenza che da una reale progettualità. Mentre il combinato disposto tra i tre problemi avanzati in questa analisi può iniziare a far scricchiolare il Paese decisivo, nel bene e nel male, per l’Europa: la Germania. Simul stabunt, simul cadunt: e l’Italia deve ricordarselo.

FONTE: https://it.insideover.com/energia/dopo-il-caso-nord-stream-in-europa-si-rischia-la-tempesta-perfetta.html

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