CAGLIARI CALCIO, DINAMO SASSARI E MOLTO ALTRO: LO SPORT IN SARDEGNA

nov 3, 2022 0 comments


Di Omar Onnis

Lo sport professionistico, nel mondo odierno, ha risvolti sociali, culturali e politici notevoli. Il suo peso economico è consistente, intrecciato com’è col mondo della finanza e degli affari e, più in generale col potere. Gli sport di maggiore successo sono ormai l’emblema stesso della globalizzazione. Toccano ogni angolo del pianeta, coinvolgono direttamente milioni di praticanti, interessano la stragrande maggioranza dell’umanità. Lo sport produce identificazione. La produce da prima che esso fosse assoggettato alle regole del profitto. Gli sport maggiori, nati e diffusi tra la seconda metà del XIX secolo e i primi del XX, in parallelo con l’affermarsi dello stato-nazione borghese, furono precocemente usati come strumento di consenso e di costruzione delle appartenenze nazionali. I passatempi un tempo circoscritti a fasce sociali piuttosto definite divennero rapidamente pratiche di massa, sfruttate da chi deteneva il potere economico e/o politico a proprio vantaggio. 

Nel secondo dopoguerra, gli sport si svilupparono e diffusero ulteriormente, tanto nella loro pratica amatoriale quanto nelle loro massime espressioni agonistiche. La retorica del dilettantismo virtuoso contro il professionismo venale persistette per qualche tempo (nel tennis, per esempio; più a lungo nelle Olimpiadi), fino a cedere davanti alla realtà di attività sempre più organizzate e dispendiose, richiedenti investimenti adeguati alle necessità pratiche e logistiche, nonché alla crescente remunerazione degli atleti e delle figure di servizio (allenatori, preparatori, selezionatori, intermediari, dirigenti e impiegati delle federazioni, ecc.).  

Col crescere della popolarità dello sport, in alcuni casi il processo di identificazione sfuggì al controllo dei proprietari e delle organizzazioni istituzionali e assunse i connotati della contrapposizione sociale, o della rivendicazione politica e/o territoriale. Gli esempi sono molti, qui basterà ricordarne due relativamente recenti: l’ostensione della ikurrina, la bandiera basca, da parte dei due capitani delle squadre di calcio dell’Athletic club di Bilbao e della Real Sociedad di Donostia-San Sebastián, il 5 dicembre 1976, a regime franchista ancora vigente (l’uso pubblico di bandiere che non fossero quella del Regno di Spagna era vietato, così come quello delle lingue diverse dal castigliano); l’esperienza della cosiddetta “democrazia corinthiana”, ossia l’epopea calcistica della squadra brasiliana del Corinthians, gestita direttamente e collettivamente dai giocatori, nel periodo della dittatura in Brasile, alla fine degli anni Settanta e ai primi anni Ottanta del Novecento.

Oggi i maggiori sport professionistici sono una voce consistente delle economie statali, muovendo fatturati ingenti. La sola Serie A di calcio in Italia ha un valore stimato di più di 3 miliardi di euro; e non siamo ai livelli più alti, in ambito internazionale. La sola compagine del Real Madrid (il club calcistico dal valore più alto al mondo, seguito dal  Manchester United) ha il medesimo valore dell’intera serie A italiana. Per farci un’idea più precisa, parliamo di una cifra che equivale grosso modo all’intero bilancio della sanità sarda. Se guardiamo alle cosiddette franchigie professionistiche negli USA, i valori salgono ulteriormente. Una franchigia di fascia più alta nell’NBA (basket) ha un valore di più di 5 miliardi di dollari. Questi sono solo i valori stimati delle società sportive, senza considerare tutto l’indotto: i servizi accessori alle pratiche sportive, l’abbigliamento e le attrezzature, la logistica (trasporti di merci e di persone), ecc. Nel suo insieme, dunque, lo sport muove quantità impressionanti di denaro, a livello globale. Non sembra ci sia più molto spazio per gli aspetti romantici e le connotazioni extra-sportive. Tuttavia questo è vero solo in parte. Trattandosi di fenomeni di massa, di portata così cospicua, è inevitabile che ancora oggi implichino, sia pure indirettamente o senza un preciso intento in tal senso, ulteriori significati e valori. 

Anche in Sardegna lo sport ha da tempo una dimensione di massa e in diverse discipline esprime realtà professionistiche, o comunque di alto livello. L’isola ha anche prodotto scuole sportive eccellenti. Basti ricordare la pesistica e la boxe, l’hockey su prato, la pallamano, il tennistavolo, il calcio femminile, il judo, la stessa atletica leggera: tutti ambiti in cui si è creato, nel tempo, un insieme di fattori umani, organizzativi, culturali che hanno prodotto risultati eccellenti, a volte a livello internazionale. Anche nel rugby, gioco di squadra molto di nicchia nell’ambito italiano, in Sardegna si sono create alcune realtà di base consolidatesi negli anni, pur non accedendo mai ai massimi livelli agonistici. Venendo agli sport di squadra più seguiti, il discorso non può che focalizzarsi sulle realtà più importanti e che hanno raggiunto i risultati più significativi. Le glorie nell’ambito della pallavolo ci sono state, ma sono restate più fugaci, rispetto a basket e calcio. Nondimeno, il volley è ancora una disciplina molto praticata e con molto seguito. Basket e calcio godono in Sardegna di un ruolo privilegiato in virtù dei successi delle due compagini maggiori, la Dinamo Sassari e il Cagliari calcio. Due società diventate, sia pure in tempi non coincidenti, simbolo dell’intera isola, con una tifoseria ampia e radicata, ben più consistente del mero seguito cittadino della maggior parte delle squadre di pari livello in ambito italiano. 

La vicenda del Cagliari, specie relativamente all’epopea di Gigi Riva e compagni, con lo scudetto del 1970, ha intersecato una fase nodale della nostra storia recente: l’industrializzazione, i movimenti sociali e culturali tra anni Sessanta e Settanta, la repressione del banditismo, il fallimento del Piano di Rinascita. La stessa riscoperta e risemantizzazione dei quattro mori deve moltissimo ai successi del Cagliari di Gigi Riva. L’auto-rappresentazione di sé delle persone sarde ha trovato in quelle vicende calcistiche un forte catalizzatore. 

Senza avere lo stesso peso mediatico, recentemente la Dinamo Sassari, nel basket, ha in qualche modo raccolto il testimone del Cagliari, conquistando successi e portando la Sardegna su palcoscenici mai calcati prima. Il precedente più significativo dei successi della Dinamo è la vicenda, effimera, della Brill Cagliari, compagine di proprietà di Nino Rovelli, allora proprietario della SIR di Porto Torres, dell’Unione sarda e della Nuova Sardegna, grosso modo negli stessi anni del Cagliari scudettato. Esperimento non riuscito, a livello di continuità e di radicamento popolare, anche per via del rapido declino dell’impero di Rovelli, ma che contribuì a diffondere il basket nell’isola. Il basket è un gioco molto diverso dal calcio, non solo per un fatto di regole e di condizioni di gioco, ma anche per cultura e seguito. Più difficile da maneggiare come instrumentum regni. Resta un gioco seguito e praticato anche nell’isola, più di nicchia rispetto al calcio, ma che può essere a sua volta veicolo di identificazione e di promozione commerciale, come sta dimostrando in questi anni la Dinamo Sassari, soprattutto dall’ascesa nel massimo campionato italiano (2011) e con i titoli conquistati tra il 2014 e il 2019 (uno scudetto, due Coppa Italia, due Supercoppe italiane, un’Europe Cup a livello internazionale).

Cagliari calcio e Dinamo basket sono oggi le due compagini professionistiche rappresentative dell’intera isola. È un aspetto che non manca mai di colpire chi si interessa di queste discipline, tra gli addetti ai lavori come tra gli osservatori e gli appassionati. Non c’è partita del Cagliari e della Dinamo, sui campi e nei palazzetti italiani e extra-italiani, che non veda la  partecipazione (a volte ridotta, a volte decisamente consistente) del proprio seguito, bandiera dei quattro mori rigorosamente presente. Se il senso di identificazione generato dalle due maggiori squadre professionistiche sarde è indubbio, c’è da chiedersi quali siano le componenti di questo processo di identificazione, che immagine della Sardegna veicolino i due club e quale portata abbia, in termini commerciali, culturali e politici, il grande senso di appartenenza delle due tifoserie. Non sono quesiti oziosi. Ribadita la strettissima relazione tra sport, economia e politica, solo con estrema superficialità si può ritenere che in Sardegna tale relazione non sussista. Andrebbe indagata in modo approfondito e interdisciplinare. A cominciare da una corretta collocazione delle realtà sportive sarde nel contesto italiano.

In Italia (anche) nello sport esiste una distanza abissale tra Nord, Sud, Sicilia e Sardegna. Basti guardare a una semplicissima cartina come questa:


FONTE E ARTICOLO COMPLETO: FILOSOFIA DE LOGU

http://archiviocristianperra.altervista.org

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