Tutte le ombre nel rapporto tra Ue e Stati Uniti

apr 5, 2023 0 comments


Di Lorenzo Vita

Quello tra Unione europea e Stati Uniti è un rapporto difficile, che negli ultimi anni ha vissuto di alti e bassi e di un misto di divergenze e unità di intenti. L’invasione russa dell’Ucraina ha compattato il fronte occidentale ristabilendo una sinergia tra le due sponde dell’Atlantico che appariva, soprattutto dopo la presidenza Trump, quasi un lontano ricordo. Il pieno sostegno di Kiev da parte di Washington, il tentativo fallimentare dell’asse franco-tedesco nel frenare l’escalation prima della guerra, la special relationship tra Usa e Regno Unito e infine il pieno controllo della strategia europea da parte della Nato hanno certificato un ritorno degli States come leader riconosciuti del blocco occidentale. E quindi anche del Vecchio Continente.

Tuttavia, al netto di quella che appare come una fase cruciale delle relazioni intra-europee ed euroatlantiche, la risposta iniziale al conflitto ucraino e l’interesse nel sostenere Kiev anche dopo un anno di guerra non sono sufficienti a colmare il divario esistente tra le i due continenti. E Joe Biden, che aveva iniziato la sua presidenza allontanandosi dal solco scavato con l’Europa dal predecessore Donald Trump, ha fatto intendere come i buoni propositi non fossero sufficienti a mettere da parte la differenza di vedute su questioni strategiche ma anche contingenti.

Il Consiglio europeo e la Cina

Il tema si è reso evidente anche nell’ultimo Consiglio europeo di marzo. Il summit dei leader dei 27 Stati membri Ue ha confermato la piena convergenza con Washington sul supporto militare, finanziario e politico a favore dell’Ucraina. Tuttavia, mentre da Oltreoceano è arrivata la netta contrapposizione al cosiddetto “piano di pace” cinese proposto da Xi Jinping e ribadito da quest’ultimo anche nel suo tour a Mosca, da Bruxelles l’interpretazione dell’iniziativa asiatica è stata vista in modo molto diverso. Non solo nessuno ha pubblicamente stroncato il piano di Pechino, ma anzi subito dopo il vertice nella capitale belga sono arrivate le parole di Pedro Sanchez, Emmanuel Macron, Ursula von der Leyen e Josep Borrell che hanno annunciato i prossimo rispettivi viaggi nella capitale cinese e sottolineato, soprattutto Borrell e il primo ministro spagnolo, l’interesse per i 12 punti di Xi sull’Ucraina.

La visita del premier spagnolo Pedro Sanchez da Xi Jinping (Foto: EPA/XINHUA / RAO AIMIN )

L’Alto rappresentante dell’Unione europea, pur sostenendo che il piano cinese è in realtà più altro una “narrazione”, ha dato comunque credito al lavoro diplomatico di Pechino e in un’intervista rilasciata a varie testate internazionali ha sottolineato che se da un lato “l’Europa non potrà mai essere equidistante fra Stati Uniti e Cina poiché non condividiamo lo stesso modello di Pechino”, dall’altro lato “abbiamo un nostro specifico interesse e anche Washington ha un suo interesse”, rilanciando un dialogo “per capire come possiamo rendere compatibili” queste visioni. Dello stesso avviso von der Leyen che, in un discorso all’European Policy Center, ha sostenuto che “non è nell’interesse” dell’Ue “slegarsi dalla Cina”. Una relazione, quella tra Bruxelles e Pechino, che la presidente della Commissione ammette essere “complessa” e sempre più “distante”, oltre che condizionata all’asse tra il gigante asiatico e Mosca. In ogni caso, ha sottolineato von der Leyen, una linea di dialogo aperta è “vitale importanza” per l’Ue.

Il triangolo geopolitico

Questi gesti di apertura nei confronti della Cina, se non possono essere certo interpretati come un voltare alle spalle agli Stati Uniti, hanno sicuramente un peso nel comprendere l’equilibrismo dell’Ue in questo triangolo geopolitico. Segnali su cui vale la pena riflettere dal momento che il rapporto con Pechino, al pari di quello che era un tempo con Mosca, è sempre stato un punto centrale della dialettica tra le due sponde dell’Atlantico. Washington ha più volte manifestato timori e anche irritazione per le politiche Ue e dei singoli Stati. Bruxelles, d’altro canto, ha spesso provato una mediazione, complice anche la necessità di riuscire a trovare una quadra tra ventisette Paesi (prima 28) con interessi molto diversi da quelli Usa e con necessità economiche che molto spesso hanno pesato più delle necessità di sicurezza richieste dall’Alleanza atlantica.

Il complesso rapporto tra Ue e Russia

Il legame con la Cina aiuta a fare un parallelismo con quanto accaduto con la Russia. In questo caso, è opportuno fare una premessa. L’Unione europea, come organismo, ha sempre sostenuto una politica non troppo affine a Mosca, concordando anche con gli Usa sulla necessità di divincolarsi dalla dipendenza energetica rispetto al gas e petrolio russi e affermando linee politiche molto distanti da quelle del Cremlino. Diverso, invece, il tema della concretizzazione di queste direttive in un consesso europeo in cui sono spesso prevalse agende diverse e necessità divergenti. L’Ue a trazione tedesca, per esempio, anche grazie alla leadership di Angela Merkel, non ha saputo imporsi rispetto alla apertura verso est di Berlino o alla diplomazia profondamente autonoma di Parigi.

Uno degli ultimi incontri tra Vladimir Putin e Angela Merkel nell’agosto del 2021. (Foto: EPA/SPUTNIK )

Oggi, invece, dopo la guerra scatenata dalla Federazione Russa, l’Ue appare pienamente coerente con le direttrici atlantiche e con quelle che prima erano quasi esclusivamente baltiche. E anche i Paesi più scettici sulla contrapposizione con Mosca si sono mossi per spezzare i collegamenti che li univano al vicino orientale, accelerando quello che è di base è sempre stato un obiettivo delle due Bruxelles, atlantica ed europeista, ovvero la diversificazione delle fonti energetiche. Un dossier di interesse anche per gli Stati Uniti, i quali non hanno mai nascosto il loro obiettivo di vendere il proprio gas al ricco mercato europeo strappando quote di mercato a quello che appariva un fornitore insostituibile, e cioè la Russia. Le navi GNL americane hanno iniziato a rifornire i terminal europei, in particolare dei baltici. Tutto questo, mentre Washington ha sostenuto una campagna per sganciare l’Europa dall’energia russa che ha avuto il suo apice nello stop all’attivazione del Nord Stream 2, il gasdotto che avrebbe unito in modo inossidabile Berlino e Mosca attraverso la nuova conduttura (poi sabotata) sotto il Baltico.

Lo scontro sulla Germania

La questione energetica, e soprattutto il nodo tedesco, è stato per Washington fondamentale anche prima dell’amministrazione Biden. Non va dimenticato che fu proprio Trump, durante un bilaterale con il segretario della Nato Jens Stoltenberg, a definire la Germania “prigioniera della Russia sull’energia”. “E poi noi dovremmo proteggerla dalla Russia” rilanciò Trump accusando Berlino di un sostanziale doppiogioco. Il vertice dell’Alleanza, tramortito dalla durezza dei commento del presidente repubblicano, commentò che non era “scritto nella pietra che sarà lì per sempre l’alleanza tra i due lati dell’Atlantico” richiedendo un “impegno politico” per farla sopravvivere. Il legame tra strategia di difesa e strategia energetica è fondamentale per comprendere anche il tema del rapporto tra Ue e Washington sul piano militare. Perché le due questioni, apparentemente distanti, in realtà rappresentano un elemento-chiave per comprendere il complesso rapporto tra i due continenti, riportando alla luce il grande nodo dell’alleanza militare.

nord stream germania russia
Mappa di Alberto Bellotto

Il dilemma Nato fino alla guerra in Ucraina

Come dicevamo all’inizio, la Nato, prima della guerra in Ucraina, non appariva affatto un’alleanza in salute, quantomeno a livello politico. Il disastroso ritiro dall’Afghanistan attivato da Biden fu un enorme danno di immagine e complicò i piani per tutti gli alleati impegnati a Kabul. Prima di quello, la guerra in Siria fece dire a Macron che la Nato era un’alleanza “in morte cerebrale”.

Gli Usa avevano più volte chiesto ai partner europei investimenti nella difesa e nel budget per la Nato che tardavano (e ancora tardano) ad arrivare. E i discorsi sulla autonomia strategica europea – uno dei grandi punti interrogativi dell’Ue del terzo millennio – venivano sempre letti come un modo per Bruxelles di sganciarsi dalla sovrapposizione con il blocco atlantico, vista dai suoi critici come una ipoteca Usa rispetto all’Europa potenza indipendente.

L’autonomia strategia dell’Ue e i dubbi Usa

La questione è sempre stata, e continua a essere, sul tavolo del dibattito tra Stati Uniti e Unione europea, soprattutto perché Washington da un lato si sofferma sulla reale utilità di un’alleanza parallela alla Nato senza garanzie sull’intangibilità di quest’ultima, dall’altro sulla possibilità che l’Ue si trasformi in una sorta di grande blocco industriale sui temi della difesa. Come già era stato sostenuto negli anni passati da alcuni segmenti nordamericani, in particolare nell’era trumpiana, il punto interrogativo del Pentagono e della Casa Bianca era quello di far convivere la difesa comune europea con un sistema di mercato in cui le industria Usa non fossero lese dall’eventuale creazione di un sistema puramente continentale.

La guerra in Ucraina, insieme alla perdita di leadership di molti Paesi Ue (a partire da Francia e Germania) e alla crisi economica e politica che ha vissuto l’Ue hanno congelato il dibattito sulla difesa comune, diventata da un anno a questa parte un tema di secondaria importanza. Tuttavia, questo dossier non è detto che torni sul tavolo, soprattutto in una fase in cui l’industria della difesa e in generale la stessa strategia bellica europea è stata scossa e profondamente rivoluzionata dal conflitto alle porte del Vecchio Continente e della stessa Unione europea.

La sfida tra Ue e Usa sull’industria

Sempre sotto il profilo industriale, ma questa volta esulando dal contesto puramente bellico, tra le due sponde dell’Atlantico vi è poi un ulteriore problema: il modo di equilibrare i rapporti interni all’Occidente tra interesse Ue ad avere le aziende sul proprio continente e il contrapposto interesse Usa a portare capitali e imprese nel proprio territorio. Anche questo tema si è reso palese con l’ultimo summit di Bruxelles tra i 27 leader europei, dove la competitività industriale dell’Unione è stato al centro del dibattitto anche in contrapposizione alla rinnovata spinta protezionistica americana. Se infatti entrambi i lati dell’oceano hanno a cuore i temi della transizione ecologica e digitale, è anche vero che i due mondi arrivano da posizioni molto diverse.

L’Europa ha subito l’ascesa vertiginosa del costo dell’energia in alcune fasi della guerra e, al netto delle speculazioni, deve fare i conti con una diversificazione delle fonti che ha un peso non irrilevante nelle dinamiche economiche dei singoli membri e dell’intera Ue. Gli Stati Uniti, al contrario, non hanno sofferto questo tipo di politiche né le sanzioni imposte alla Russia, riuscendo inoltre a varare un piano di aiuti di sgravi fiscali dal valore di 750 di miliardi di dollari, l’Inflation Reduction Act del 16 agosto 2022. Questo piano, che consiste in un pacchetto di aiuti e sgravi per le aziende che investono e operano in tutte le nuove tecnologie “verdi”, ha un impatto significativo sulla concorrenza con la Cina e l’Ue. Washington, con questa mossa, ha pompato nel proprio sistema economico un fiume di dollari che ha come conseguenza quella di attirare imprese in tecnologie innovative e spesso strategiche strappandole al resto del mondo, Europa in primis. Un piano protezionistico a cui Bruxelles ha provato a rispondere con il Net-Zero, ma che potrebbe in ogni caso colpire le già provate industrie europee, fiaccata da crisi legate alla pandemia di coronavirus, a quella delle catene di approvvigionamento e ora a quella energetica e dell’inflazione.

FONTE: https://it.insideover.com/politica/interessi-divergenti-unione-europea-ue-stati-uniti.html

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