Dallo stato totalitario al nuovo ordine globalitario

mag 2, 2012 0 comments
 Di Raffaele Laudani *
In un articolo del 1976 Herbert Marcuse annunciava l'avvento di un nuovo ordine autoritario che aveva negli Stati uniti la sua forma più evoluta. Questo nuovo ordine è ciò che oggi chiamiamo «globalizzazione»; un sistema in grado di utilizzare sapientemente sia «le forme tradizionali della repressione politica esercitate dalle forze dell'Ordine», come la violenza, le sanzioni economiche e la discriminazione, sia «un apparato d'indottrinamento tecnico e ideologico in costante perfezionamento», come i media e la scuola, ecc. (1), forme di controllo sociale che, com'è noto, il filosofo tedesco considerava tipiche del mondo unidimensionale del secondo dopoguerra e che il nuovo ordine neoliberista si apprestava ad intensificare. (2) Meno noto è che Marcuse individuasse queste stesse caratteristiche anche nel nazismo in due saggi del 1942 fino ad ora rimasti inediti: State and Individual under National Socialism e The New German Mentality. (3) La riflessione di Marcuse, condotta negli anni della sua collaborazione con i servizi di intelligence statunitensi, si inserisce all'interno del dibattito allora molto acceso sulla natura e il significato del regime nazista, cui contribuirono in larga parte gli intellettuali tedeschi di origine ebraica emigrati nel Nuovo Mondo. Il filosofo tedesco era uno degli esponenti della cosiddetta Scuola di Francoforte, una delle principali correnti marxiste eterodosse che non si riconoscevano nella linea ufficiale della Terza internazionale, per la quale il nazismo non era altro che «la dittatura aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario».
(4) Anche all'interno del gruppo francofortese esistevano tuttavia posizioni divergenti. Una prima linea interpretativa, portata avanti da Max Horkheimer e Friedrich Pollock, descriveva il nazismo come una forma di «capitalismo di Stato», come un nuovo ordine che succedeva al capitalismo al posto del socialismo; rovesciando il tradizionale rapporto di dipendenza della politica dall'economia; un ragionamento che porterà Horkheimer nel secondo dopoguerra a sostituire la categoria marxiana di «classe» con quella di «racket». La seconda, sostenuta da Franz Neumann, Arkadji Gurland e Otto Kirchheimer, e più consona al marxismo, preferiva invece descrivere il regime nazista come una forma di «capitalismo monopolistico totalitario», sottolineandone la continuità con la struttura gerarchica dell'ordine capitalistico.
(5) Altri intellettuali tedeschi emigrati negli Stati uniti, come Ernst Fraenkel, individuavano nel nazismo la compresenza di uno «Stato normativo» (necessario a garantire il funzionamento di un'economia che restava capitalistica) e di uno «Stato discrezionale» (che operava fuori da ogni quadro giuridico sulla base di un mero criterio di «opportunità politica» rivolto in primo luogo contro i «nemici» del regime).(6) Queste riflessioni confluirono poi nel secondo dopoguerra nel dibattito sul «totalitarismo», cui contribuì in primo luogo un'altra esule tedesca di origine ebraica, Hannah Arendt: qui il campo di sterminio, come luogo di sospensione del diritto e come luogo di destrutturazione e ricostruzione dell'umano, diventa la metafora più emblematica di una forma politica inedita, ma profondamente radicata nel costruttivismo razionalista moderno, convinta che tutto possa essere modificato in base all'ideologia, compresa la «condizione umana» (7).
La posizione di Marcuse si pone trasversalmente rispetto a questi contributi, pur essendo radicata nella prospettiva marxista. Contrariamente alla vulgata liberale, (8) totalitarismo e capitalismo non sono per lui termini fra di loro in contraddizione. Egli interpreta infatti il capitalismo come un sistema che coinvolge la totalità delle relazioni sociali. Nel Novecento, questo carattere connaturato al capitale si rende manifesto, e il sistema diventa totalitario. «Monopolistico» e «totalitario» (e, successivamente, anche «unidimensionale») diventano così quasi sinonimi, rappresentando le due facce di uno stesso processo nel quale la «totalità della società si è imposta sugli interessi particolari» attraverso una nuova forma di razionalità: la razionalità tecnica, basata su criteri di efficienza e precisione. L'espressione «totalitarismo» è quindi per Marcuse un concetto generale che serve a spiegare la nuova tendenza del sistema capitalistico, tendenza che si manifesta in forme storiche diverse, in «personificazioni» della totalità (nazi-fascismo, comunismo sovietico e Welfare State) che, pur nella loro specificità, sono il frutto dello sviluppo in senso monopolistico del capitale.
Lo studio del modello nazionalsocialista rappresenta per Marcuse il primo tentativo di analizzare queste forme storiche della totalità, cui seguiranno i contributi più famosi sul marxismo sovietico e sulle liberaldemocrazie occidentali (9). Egli in particolare mira a confutare le tesi opposte, ma speculari, che descrivono il nazismo semplicemente come una rivoluzione o come una restaurazione dell'ordine tedesco tradizionale. Il regime nazista non ha infatti modificato i rapporti di produzione, né tantomeno superato la contraddizione fondamentale tra capitale e lavoro; ciononostante, lo Stato nazista ha poco in comune con la struttura politica del vecchio Reich ed ha prodotto una vera e propria modernizzazione del paese. Il nazismo - spiega Marcuse - è una forma di tecnocrazia: «Le considerazioni tecniche dell'efficienza imperialistica e della razionalità estrema sostituiscono i criteri tradizionali di profittabilità e benessere generale» (10).
Nella Germania nazista il regno del terrore non è sostenuto esclusivamente dalla forza bruta, ma anche «dalla manipolazione ingegnosa del potere insito nella tecnologia: l'intensificazione del lavoro, la propaganda, l'addestramento di giovani e operai, l'organizzazione della burocrazia governativa, industriale e di partito - tutti strumenti di terrore quotidiano del nazismo - si attengono alle direttive della massima efficienza tecnologica» (11). La realtà nazionalsocialista è quella di uno Stato-macchina che sembra muoversi in virtù della sua stessa necessità, quella dell'espansione economica e della produzione di massa. Con l'avvento della razionalità tecnologica, il libero soggetto economico si è infatti «evoluto nell'oggetto di un'organizzazione e coordinazione su larga scala e la realizzazione delle capacità individuali si è trasformata in efficienza standardizzata».
«La razionalità tecnologica - spiega Marcuse - è, nello stesso tempo, la standardizzazione e la concentrazione monopolistica»: la tecnologia è infatti «un modo di produzione», «un modo di organizzare e perpetuare (o trasformare) le relazioni sociali, una manifestazione del pensiero e delle abitudini dominanti, uno strumento per il controllo e il dominio». Il nazionalsocialismo, in questo senso, rappresenta «un esempio evidente delle modalità in cui un'economia altamente razionalizzata e meccanizzata e dotata della massima efficienza produttiva può operare nell'interesse dell'oppressione totalitaria e perpetuare un regime di scarsità» (12).
Il sistema nazionalsocialista è quindi una risposta capitalistica ed autoritaria alle trasformazioni economiche e sociali avvenute nel XX secolo. Commentando un discorso di Hitler agli industriali tedeschi del 1932, Marcuse sottolinea come gli interessi della grande industria siano ancora quelli attorno ai quali è costruita l'organizzazione economica del Terzo Reich; questi interessi, tuttavia, vengono orientati e condotti conformemente alla nuova fase monopolistica dell'accumulazione del capitale che, per sostenere l'accresciuta competitività nel mercato mondiale, impone una «trasformazione delle relazioni economiche in relazioni politiche».
Lo Stato diventa così l'agente esecutivo dell'economia, che organizza e coordina la «mobilitazione totale» della nazione verso l'imprescindibile obiettivo dell'espansione economica. La necessaria conseguenza di questa trasformazione è l'instaurazione di un sistema apertamente autoritario: il nazismo «tende ad abolire ogni separazione tra Stato e società attraverso il trasferimento delle funzioni politiche ai gruppi sociali attualmente al potere». Il sistema tende in altri termini «all'autogoverno diretto e immediato dei gruppi sociali dominanti sul resto della popolazione».
La fine della separazione fra sfera pubblica e sfera privata, tipica dell'era liberale del capitalismo, si riflette sul piano individuale nella soppressione della privacy e nell'abolizione surrettizia dei tabù tradizionali sul sesso e la morale cristiana. L'effetto non è tuttavia la liberazione delle facoltà individuali, ma la loro consumazione nella massa, che intensifica l'atomizzazione e l'isolamento reciproco.
La massa infatti non è unita da un interesse e da una coscienza comuni; essa è composta da individui, «ognuno dei quali segue i propri interessi più primitivi la cui unificazione è data dalla riduzione di quest'interesse al mero istinto di conservazione, che è identico in ognuno di loro».
La perdita d'indipendenza necessaria alla mobilitazione integrale della forza lavoro è ricompensata da una nuova sicurezza economica e una nuova libertà di costumi. «Il nazionalsocialismo - scrive Marcuse - ha trasformato il libero soggetto in soggetto economicamente stabile; ha oscurato l'ideale pericoloso della libertà con la realtà rassicurante della sicurezza economica».
Al di là del ricorso alla mitologia ancestrale e violenta, considerati da Marcuse aspetti del sistema superficiali e ancora imperfetti, il nazismo condivide quindi i tratti fondamentali del nuovo ordine descritto in L'uomo ad una dimensione (13): («un ordine che è riuscito a coordinare anche le zone nascoste più pericolose della società individualistica») e, grazie al benessere assicurato dal raggiungimento del pieno impiego, «induce il singolo ad apprezzare e perpetuare un mondo che lo usa solo come uno strumento di oppressione».
Competitività, efficienza, sicurezza. Elementi che fungono da parole d'ordine anche per il nuovo ordine globalitario (14). Diverso è tuttavia il contenuto assegnato a questi significanti: se infatti per Marcuse l'abolizione della distinzione fra Stato e società richiesta dalle esigenze dell'efficienza e della competitività mondiale si manifestava con la fuoriuscita della politica dai suoi confini tradizionali, vale a dire con l'intervento dello Stato in economia, oggi queste stesse esigenze si manifestano in modo opposto, con l'arretramento della sfera pubblica a vantaggio dei mercati, che occupano incontrastati il campo delle decisioni politiche. Anche il tema della sicurezza cambia di significato: con la diffusione della pauperizzazione di massa anche nelle società tecnologiche avanzate, la sicurezza non è più economica, ma torna ad essere declinata nel linguaggio poliziesco della «tolleranza zero», della chiusura e della reclusione degli uomini e delle donne che assediano la fortezza impoverita.
Un sistema repressivo che ha perduto quindi anche l'ultima giustificazione razionale per la sua perpetuazione, che presta il fianco alla critica ed apre forse lo spazio per una vera alternativa politica. E che tuttavia sembra più forte ed incontrastato che mai. Il successo dell'alternativa politica al neoliberismo dipende in larga parte dalla capacità di spezzare quest'apparente aporia fra forza inusitata e assenza di legittimazione, senza cadere nella semplicistica riproduzione delle ricette passate. Come diceva lo stesso Marcuse, «Contro lo spettro del fascismo all'americana, la sinistra, corrosa dalle sue divisioni, senza un'organizzazione efficace, conduce una battaglia impari. La sua arma principale resta l'educazione politica - la contro-educazione - nella teoria e nella prassi: lunga e penosa operazione che consiste nel far prendere coscienza alla gente che le repressioni che il mantenimento della società stabilita esige non sono più necessarie, e che è possibile abolirle senza tuttavia rimpiazzarle con un altro sistema di dominio».
note:
* Dottorando in storia del pensiero politico all'Università di Torino e di Nice-Sophia Antipolis.
(1) Herbert Marcuse, «Un nouvel ordre», Le Monde diplomatique, luglio 1976.
(2) Vedi Herbert Marcuse, L'uomo ad una dimensione. L'ideologia della società industriale avanzata, Torino, Einaudi, 1967. Per una bibliografia completa delle opere di Marcuse, vedi Douglas Kellner, Herbert Marcuse and the Crisis of Marxism, Berkeley, California University Press, 1985.
(3) I due saggi sono stati pubblicati per la prima volta in Herbert Marcuse, Technology, War and Fascism, a cura di Douglas Kellner, Londra-New York, Routledge, 1998, rispettivamente alle pp. 67-92 e 139-190.
(4) Questa è la definizione ufficiale data da George Dimitrov al VII Congresso del Komintern nel 1935.
(5) Leggere Rolf Wiggershaus, La Scuola di Francoforte. Storia, sviluppo teorico, significato politico, Torino, Bollati Boringhieri, 1992.
(6) Ernest. Fraenkel, Il doppio Stato. Contributo alla teoria della dittatura, Torino, Einaudi, 1983.
(7) Hannah Arendt, The origins of Totalitarianism, New York, Hartcourt Brace, 1966 (in italiano, Le origini del totalitarismo, Milano, Edizioni di Comunità 1996.)
(8) Carl Friedrich, Zbignew Brzezinski, Totalitarian Dictatorship and Autocracy, Harvard University Press, 1956, ma anche Raymon Aron, «Etats démocratiques et Etats totalitaires», in Commentaire, 24, 1983-1984.
(9) Cfr. rispettivamente Soviet Marxism, Parma, Guanda, 1968, e L'uomo ad una dimensione, op. cit.
(10) Cfr. Herbert Marcuse, «Alcune implicazioni sociali della moderna tecnologia», in Tecnologia e potere nelle società post-liberali, a cura di G. Marramao, Napoli, Liguori, 1981, pp. 137-170.
(11) Herbert Marcuse, The New German Mentality, cit.
(12) Herbert Marcuse, «Alcune implicazioni sociali della moderna tecnologia», cit.
(13) L'uomo ad una dimensione, op.cit.
(14) Leggere Ignacio Ramonet «Regimi globalitari», Le Monde diplomatique/il manifesto, gennaio 1997 e Geopolitica del caos, Asterios, 1999.

Fonte:Le Monde Diplomatique

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