Storia dimenticata: Israele e il muro della vergogna

set 2, 2012 0 comments
Dopo il 1989 si pensava che l’epoca dei “muri” e delle divisioni politiche  si fosse finalmente esaurita. Ma non molto lontano da noi, in Medio Oriente, vi è un popolo, quello palestinese costretto ogni giorno a confrontarsi con la dura realtà della ghettizzazione, dell’emarginazione, dei copri fuoco e delle ispezioni. Ripercorriamo la nascita della barriera di separazione israeliana e le conseguenze che questa ha apportato alla vita di milioni di persone.

Di Giulia Molari
Daily Storm
  IL SIMBOLO DELLA DIVISIONE – Gerusalemme: una città dalle mille sfaccettature, un microcosmo tra mura secolari, in cui oggi tre diverse confessioni religiose convivono. Ma è sempre stato così? All’orizzonte, al di là della cupola d’oro della Moschea di Omar, lo sguardo si perde in una distesa desertica attraversata da un muro lungo 725 km.
La barriera israeliana ingloba la maggior parte delle colonie israeliane e gran parte dei pozzi, superando in certi punti per più di 28 km la linea verde (il confine stabilito dall’armistizio arabo-israeliano del 1949). Questa linea di separazione nacque, secondo i suoi sostenitori, come una forma di difesa da parte di Israele, divenendo fonte di non poche controversie. Oggi, è conosciuta come “muro della vergogna” o “muro dell’annessione” e non ci sarebbe un appellativo più aderente alla realtà, come la storia ci ricorda.
Per comprendere a fondo i disagi che contrappongono lo Stato di Shimon Peres al resto del mondo arabo e capire dove affondano le radici di questo muro, è necessario tornare al1967. In quell’anno, a seguito delle minacce del Presidente egiziano Nasser di voler distruggere il giovane Stato di Israele (nato nel 1948), l’aviazione israeliana lanciò un attacco “preventivo” all’Egitto, alla Siria e alla Giordania. In quella che passò alla storia come la guerra dei 6 giorni, Israele sottrasse le alture del Golan alla Siria, il Sinai eStriscia di Gaza all’Egitto, di fronte all’omertà dell’Occidente.
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LAND FOR PEACE: LA “PRIMA INTIFADA” – Il breve conflitto ebbe risvolti disastrosi soprattutto per la Giordania: infatti, l’esercito israeliano occupò la Cisgiordania e Gerusalemme Est, compresa la Cupola della Roccia sorta sulla pietra considerata sacra sia dagli islamici che dagli ebrei. Per i primi fu proprio in questo luogo che il profeta Maometto salì al cielo per prendere il suo posto vicino ad Allah; mentre, secondo la tradizione sionista, la pietra sarebbe quella su cui Abramo stava per sacrificare il proprio figlio a Dio. Un periodo di lotte intestine e intolleranze religiose si stava profilando.Israele non perse tempo ad attaccare il Libano, sede di numerose aggregazioni di rivoltosi, nonché di alcuni campi profughi palestinesi, come quelli di Sabra e Shadila a Beirut, teatro di violenza.
Nel 1987, in Cisgiordania, iniziò la “prima Intifada” o “guerra delle pietre”, caratterizzata da una serie di attentati kamikaze e dinamitardi che insanguinarono il Medio Oriente per sei anni. Al termine di questi conflitti, quando il Kuwait aveva tagliato i fondi alla OLP (l’ Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che aveva appoggiato Saddam Hussein nella guerra del Golfo), il suo leader Yasser Arafat assunse delle posizioni più moderate fino alla stipula degliaccordi di Oslo, che possono essere sintetizzati nella frase: land for peace, secondo i quali Israele avrebbe dovuto cedere il controllo di alcuni territori ai palestinesi a tappe successive, iniziando dalla Cisgiordania per arrivare alla Striscia di Gaza.
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DALLA “SECONDA INTIFADA” AL MURO – All’inizio degli anni ’90 Arafat si insediò a Gaza come capo della nuova Autorità Palestinese, ma malgrado gli accordi di pace le frange estremiste arabe e israelianerifiutarono ogni compromesso. La cortina di ferro tra i due popoli non durò molto: poco dopo Hamas ed altri movimenti di ispirazione jiadista avrebbero dato inizio ad una nuova era di attentati suicidi. La situazione degenerò con il fallimento dell’incontro per i negoziati a Camp David: così iniziò la “seconda Intifada”. La stampa occidentale ritenne che ad innescare la scintilla fu il gesto provocatorio del leader del movimento nazionalista israeliano Likud Sharon, che si recò presso il Monte del Tempio, in barba alle regole che vietavano agli ebrei di accedervi per pregare.
Inizialmente, Arafat utilizzò lo scoppio della seconda Intifada come uno strumento per ottenere maggiori concessioni territoriali e politiche da parte Israele, ma questa strategia non funzionò. Attentati e rappresaglie tornarono ad occupare le prime pagine dei quotidiani, finché nel 2001, il neo eletto Primo Ministro, l’ex generale Sharon, scelse la linea dura. Iniziarono numerose incursioni a Gaza, mentre i carri armati israeliani occuparono le città della Cisgiordania. Ma a partire dal 2004, con la morte di Arafat, le lotte interne si fecero sempre più sanguinose e Sharon decise di costruire una linea di difesa o separazione, con l’obiettivo di salvaguardare Israele dalle rappresaglie arabe. Così, nacque il muro e, in poco tempo, molti insediamenti vennero smantellati spingendo centinaia di profughi a rifugiarsi in campi di accoglienza.
 
Foto di Giulia Molari
LA SPERANZA AL DI LA’ DELLA BARRIERA –Malgrado oggi le città cisgiordane siano in parte tornate a vivere, quel muro è sempre presente. Ilcheck point che segna passaggio obbligato per chi voglia andare da Gerusalemme e Betlemme è la più eclatante testimonianza della tensione che ancora oggi si respira in questi territori. Ogni giorno, centinaia di persone si ritrovano in fila, passaporti alla mano, con il pollice pronto al controllo dell’impronta digitale. La vita al di là del muro non è semplice. Ancora oggi, infatti,l’esercito israeliano impone coprifuoco e restrizioni agli spostamenti della popolazione, la disoccupazione è rimasta a livelli altissimi e migliaia di palestinesi in Cisgiordania continuano a contare sugli aiuti delle Nazioni Unite.
La diretta conseguenza di questo clima fu il risultato delle elezioni del 2006, in cui Hamas, l’organizzazione islamica militare da poco entrata nell’arena politica del Medio Oriente, ottenne la maggioranza nelle elezioni parlamentari palestinesi, con la costernazione di molti Paesi europei che considerano Hamas un’organizzazione terroristica alla stregua di Al Qaeda.
I segni della resistenza palestinese rimangono evidenti ovunque in Cisgiordania. Manifesti a brandelli e foto di “martiri” sbiadiscono agli angoli delle strade di Betlemme, mentre coloratissimi graffiti filo-arabi si possono scorgere su ogni lato del muro di separazione. I sorrisi sereni e accoglienti delle donne del mercato, la gentilezza dei commercianti di spezie, l’orgoglio con cui le bandiere rosse, verdi e nere sventolano dalle finestre dei palazzi, fa presagire che qualcosa in seno a questo popolo non si è ancora spento: la voglia di essere riconosciuti e di vivere in libertà.

Fonte: Daily Storm.it

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