Il popol Vuh: "la Bibbia maya"

giu 17, 2015 0 comments

Di Andrea Cusimano

La complessa mitologia maya la troviamo raccolta nel testo sacro del Popol Vuh. Il mito, afferma lo studioso A. Brelich1, ha la funzione di “fondare” la realtà; non di spiegarla quindi, ma di fondarla in maniera da farla esistere sulla base di precisi sistemi di valore. Una caratteristica di rilievo del mito è rappresentata dal suo tempo, il quale è radicalmente diverso da quello attuale, e in cui operano personaggi del tutto specifici. In questo tempo “altro” si colloca il processo che culmina nella creazione dell’attuale assetto del reale. Il mito si traduce in un discorso che, partendo da una situazione di caos, narra il processo che ha portato la costituzione e la conformazione del cosmo. Il mito rappresenta un momento della storia primordiale dell’umanità, nel quale i confini fra il naturale e il soprannaturale erano meno netti, gli uomini erano più grandi e più certi nel loro modo di operare, nel bene e nel male. Nel mito, gli dèi apparivano più vicini agli uomini, e gli uomini dialogavano con gli dèi: questi ultimi si facevano presenti e intervenivano di persona nelle loro vicende, per consigliarli e aiutarli, oppure per portarli alla rovina.
In realtà, asserire che il mito è storia primordiale è fuorviante, perché nel mito non esiste certezza, né di fatti né di cronologia. Non si mette in dubbio la verità degli eventi che il mito tramanda, ma non si certamente, di essi, non si può neppure fissare l’epoca o il preciso svolgimento dei fatti. Sicchè, molte vicende possono assumere contorni diversi, e addirittura contradditori, a seconda delle regioni e dei racconti. Inoltre i fatti, ma anche le personalità dei protagonisti, possono mutare o presentarsi in modo differente a seconda delle epoche.
Tuttavia, la possibilità di prestarsi a una rielaborazione e a dei cambiamenti, anche notevoli, non sminuisce la portata euristica del mito. Da esso non si può prescindere, e, anzi, tutto gli va riferito. Il mito definisce l’identità di una città o di una regione, permette di definire le origini dei riti o di tante attività umane. Il mito è un brano di storia sacra che non viene messo in discussione; inoltre esso copre tutte le possibili vicende dell’agire umano e della vita.
Ogni passione positiva o negativa, ogni motivo che può spingere l’uomo ad agire in un certo modo o a interrogarsi sul significato del suo operare, è già presente nel mito: i personaggi che ne sono protagonisti rappresentano tutti i tipi possibili di umanità. Il mito dunque viene a costituire una verità indiscutibile, anche se si presenta in forme continuamente cangianti.

Scrive Tennis Tedloch:

“Noi tendiamo a considerare il mito e la storia come opposti, ma gli autori delle iscrizioni di Palenque e dei testi alfabetici del Popol Vuh trattavano le parti mitiche e storiche della loro narrativa come parti di un unico insieme equilibrato […] Invece di essere in opposizione logica, i regni delle azioni umane e divine sono collegate da una mutua attrazione. Se noi avessimo una parola per esprimere pienamente il senso maya del tempo narrativo, questa parola dovrebbe abbracciare la dualità del divino e dell’umano […] In verità esiste una parola di origine greca che si avvicina a questo significato: mythistoria. Per gli antiche greci, che creavano una spaccatura tra il divino e l’umano, questo termine aveva una connotazione negativa, essendo riferito a narrazioni che avrebbero dovuto essere propriamente storiche ma che contenevano elementi mitici. Per i Maya invece la presenza di una dimensione divina nella narrazione delle vicende umane non è una imperfezione ma una necessità, ed è controbilanciata da una necessaria presenza umana nei racconti delle vicende divine”.2

Ossessionati dal mistero della propria origine, i Maya, scrive Mercedes De La Garza, per rispondere

“ad interrogativi riguardanti l’origine del mondo o i rapporti tra gli esseri umani e gli dei e tra gli esseri umani e la natura, diedero vita ad una copiosa tradizione orale che, da un narratore all’ altro, e da un ascoltatore all’altro, passò di generazione in generazione, sotto forma di canti, rituali e miti. Vi è traccia di questa usanza in tutte le regioni mesoamericane. A volte la troviamo cristallizzata nel tempo, incisa su stele o monumenti per mezzo di effigi o geroglifici”.3

I contenuti di tale tradizione sono ancora rintracciabili nei racconti degli odierni discendenti degli antichi maya, ma si possono anche rintracciare, sotto varie forme, nelle decorazioni architettoniche oppure vergati su fogli ottenuti da fibre vegetali o dalla pelle essiccata di cervi.
Con la crisi della civiltà maya e l’avvento dei Toltechi e dei Messicani – popoli che si presentano connotati da una minore spiritualità e più legati alle pratiche guerresche –, il declino della religione, esplicitamente attaccata dai nuovi costumi intellettuali del tempo, porta con sé un’irrimediabile decadenza del mito, che è parte integrante della storia religiosa. Ma nonostante questo venire meno del suo significato più autentico, il fascino del mito permane e si prolunga anche oltre i confini cronologici dell’invasione messicana prima, spagnola poi. Benché in parte obliati per l’arrivo di queste genti, i personaggi e le vicende del mito continuarono a essere sentiti nell’intimo dei Maya come parte integrante della loro storia e identità, cercando non solo di non dimenticarli, ma anche di proteggerli dai costumi e dalla religione cristiana. E se in gran parte i mesoamericani hanno perso molto del loro mondo spirituale, sostituito dal Cristianesimo, è pur vero innegabile che molti sciamani a tutt’oggi operano per il mantenimento del culto antico, e praticano ancora le magie ataviche.
Le due tradizioni, maya e cristiana, si sono pertanto amalgamate, originando un particolare sincretismo.

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