La Germania propone una via d’uscita dall’euro ...per proteggere se stessa

apr 21, 2018 0 comments
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Di Marcello Minenna
Nonostante un’economia che va a pieni giri, con la crescita del PIL al 3%, la disoccupazione al 3,6% ai minimi da 40 anni ed un surplus commerciale record che sfiora i 300 miliardi di €, i maggiori economisti tedeschi sono assai preoccupati per le sue sorti. La minaccia più immediata? Che il dibattito sulle riforme dell’Unione monetaria prenda una piega concreta verso la condivisione dei rischi, grazie soprattutto alle (timide) pressioni francesi e data l’inspiegabile assenza dell’Italia. Infatti, una riforma dell’Eurozona anche solo debolmente risk-shared che aumentasse (di poco) i trasferimenti di risorse verso i Paesi periferici vorrebbe dire rinunciare al comodo status quo attuale, nel quale l’industria tedesca può sfruttare la robusta ripresa del mercato europeo interno per le proprie esportazioni a prezzi ultra-competitivi.
La proposta ufficiale del gruppo di influenti economisti tedeschi, tra cui Hans-Werner Sinn e Karl Konrad del Planck-Institut e niente meno che il Presidente del Consiglio dei Saggi Economici (Sachverständigenrat), Christoph Schmidt è radicale ma non sorprendente: la legislazione comunitaria dovrebbe prevedere espressamente una procedura di uscita dall’Eurozona, sulla falsariga dell’Articolo 50 del Trattato di Lisbona recentemente invocato dal Regno Unito.
Con buona pace dell’irrevocabilità dell’Euro, dell’irreversibilità del processo di integrazione ed altri sinonimi altisonanti invocati a fasi alterne dall’euro-burocrazia, i tedeschi vogliono una via di uscita chiara dall’Euro. Al momento attuale infatti per un Paese membro l’unica possibilità di abbandonare l’Euro passa proprio attraverso l’applicazione dell’articolo 50, che però richiederebbe anche l’uscita tout court dall’Unione Europea e dal mercato unico. Una scelta con dei costi per l’economia manifatturiera tedesca, così ultra-integrata con i suoi Paesi satelliti, che appaiono proibitivi anche al gruppo di pensatori radicali tedeschi.

La minaccia dei saldi debitori di Target 2
L’intellighenzia teutonica è soprattutto crucciata dall’accumularsi dei c.d. saldi Target2, con squilibri crescenti tra le banche centrali creditrici dei Paesi core e quelle debitrici dei Paesi periferici. Il saldo a credito della Bundesbank a fine febbraio 2018 ha raggiunto un picco monstre di 913 miliardi di € (ben più alto del precedente record raggiunto nel 2012). È importante capire come questa preoccupazione faccia senso solo perché negli ambienti accademici tedeschi oramai si ragiona esplicitamente nella direzione di una Germania senza Euro.
È stato ripetuto più volte con chiarezza che il saldo Target2 tedesco rappresenta solo una stratificazione di registrazioni contabili di operazioni finanziarie già regolate (e quindi “morte”) tra il sistema bancario tedesco e il resto delle banche europee, che hanno già fatto affluire un oceano di liquidità nell’economia tedesca riveniente perlopiù dal surplus commerciale e dal processo di nazionalizzazione dei rischi.
Tuttavia, per il peculiare funzionamento del sistema Target2, le banche centrali nazionali – che intermediano sempre le operazioni transfrontaliere delle proprie banche – non regolano tra loro le transazioni, iscrivendo semplicemente la posta all’interno del proprio bilancio. I saldi Target2 insomma sono debiti e crediti fittizi tra banche centrali, non esigibili e senza nessuna scadenza, remunerati infatti da un tasso di interesse minimo, quasi simbolico.
Per capire meglio: un’azienda italiana che importa dalla Germania attraverso la propria banca nazionale genera automaticamente un “debito” Target2 per la Banca d’Italia, perché il bonifico in partenza dalla banca italiana viene trasferito alla corrispondente banca tedesca direttamente dalla Bundesbank. Però i fondi in partenza dalla banca italiana si “fermano” contabilmente in Banca d’Italia, che non paga nulla alla Bundesbank, ma iscrive semplicemente un debito nel proprio bilancio nei confronti della banca centrale tedesca. Lo stesso succede se una banca italiana compra un BTP da una banca tedesca (Vedi anche: “Per paura di un ritorno alla lira gli italiani hanno già investito all’estero 220 miliardi”).
Considerato che Banca d’Italia e Bundesbank sono solo succursali della BCE dov’è il problema? Se l’Unione monetaria rimane intatta non ci sarà mai nessun problema, i saldi Target2 rimarranno solo sulla carta e potrebbero essere potenzialmente di entità illimitata.
Rimarrebbero testimonianza contabile – questo sì – di uno squilibrio persistente nei flussi commerciali e finanziari dell’Eurozona provocato prima dalla fissazione irrevocabile dei tassi di cambio delle precedenti valute dei Paesi membri e poi dalle logiche segregazioniste dei rischi sottese alle misure straordinarie della BCE.
Ricordiamo infatti che i prestiti (LTRO) erogati da Francoforte tra il 2011 e il 2012 sono stati usati dalle banche periferiche per saldare crediti commerciali verso le banche franco-tedesche e assorbire le loro esposizioni in Govies (titoli di Stato) del Sud Europa. Se fossero andati direttamente a imprese e famiglie, i saldi Target2 non si sarebbero mossi. Parimenti se col Quantitative Easing la BCE avesse comprato direttamente i titoli di Stato senza coinvolgere le banche centrali nazionali. Una sintesi efficace delle più recenti ricerche in materia effettuata dalla London School of Economics per conto dell’Europarlamento nel novembre 2017 (TARGET (im)balances at record level: Should we worry?) evidenzia proprio queste caratteristiche strutturali delle divergenze nei saldi Target2.

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