Chi era Abu Bakr al Baghdadi

ott 28, 2019 0 comments


Nella notte tra sabato 26 e domenica 27 ottobre Abu Bakr al Baghdadi, capo dell’ISIS durante gli ultimi nove anni e terrorista più ricercato al mondo, è morto durante un’operazione militare statunitense nella provincia di Idlib, nel nordovest della Siria. Baghdadi aveva 48 anni. È morto facendosi esplodere alla fine di un tunnel senza uscita di un edificio isolato fuori dalla città di Barisha, uccidendo sé stesso e tre bambini, forse suoi figli. L’annuncio del successo dell’operazione è stato dato dal presidente statunitense Donald Trump durante una inusuale conferenza stampa tenuta domenica alla Casa Bianca.
Baghdadi è stato il capo dell’organizzazione terroristica più potente e ricca di sempre. Sotto la sua guida, l’ISIS ha messo in piedi una specie di vero stato – il Califfato Islamico – con le proprie istituzioni e finanziariamente autonomo, che ha governato un territorio grande come il Belgio e che ha compiuto diversi attentati terroristici anche in Occidente. Associated Press ha definito Baghdadi come «uno dei leader jihadisti più violentemente efficaci dei tempi moderni».
Baghdadi, il cui nome era Ibrahim Awwad Ibrahim al Badri, nacque il 28 luglio 1971 nella città irachena di Samarra. Crebbe in una famiglia musulmana sunnita molto religiosa che sosteneva di discendere direttamente dal profeta Maometto. I suoi conoscenti, ha scritto il Washington Post, lo ricordano come una persona timida, a cui piaceva il calcio ma preferiva trascorrere il suo tempo libero nella moschea locale. Per diversi anni Baghdadi condusse una vita tranquilla, studiando per diventare insegnante di legge islamica: si laureò all’Università di Baghdad nel 1996 e tre anni dopo conseguì un diploma post laurea in recitazione coranica.
Le cose cambiarono però nel 2003, con l’invasione statunitense dell’Iraq e la destituzione del regime di Saddam Hussein, quando Baghdadi si unì alla cosiddetta “insurgency”, una rivolta violenta e costante contro il nuovo governo iracheno sciita e contro i soldati americani presenti nel paese.
Nel 2004 fu catturato dagli americani nella città irachena di Falluja e fu trasferito nella prigione di Camp Bucca, nel sud dell’Iraq, gestita dagli Stati Uniti. Lì conobbe diversi altri leader jihadisti, e dopo la morte del primo capo dell’ISIS, Abu Musab al Zarqawi, divenne vice del suo predecessore, Abu Omar al Baghdadi. Quando anche Abu Omar al Baghdadi morì, nel 2010, facendosi esplodere prima di essere catturato dagli americani, il nuovo leader dell’organizzazione divenne Abu Bakr al Baghdadi. Sotto la sua guida, l’ISIS (che prima si chiamava diversamente) si staccò definitivamente da al Qaida, cominciando a combatterla, e conquistò tutti i territori che sarebbero diventati parte del Califfato Islamico.
Baghdadi attirò per la prima volta le attenzioni della stampa internazionale nel 2014, quando dal pulpito della Grande moschea di al Nuri di Mosul, città irachena che era stata da poco conquistata dall’ISIS, esortò tutti i musulmani a seguirlo. Si presentò come un discendente diretto della tribù Quraysh del profeta Maometto, cosa che contribuì fin da subito ad alimentare l’idea di leader messianico che si era già sviluppata nei suoi confronti.
Baghdadi si trasformò presto nel terrorista più ricercato al mondo, conosciuto anche in Occidente per i video delle decapitazioni degli ostaggi occidentali e per i grandi attentati negli Stati Uniti e in Europa, come gli attacchi a Parigi del novembre 2015. Sotto la sua guida, l’ISIS fu responsabile delle violenze inflitte a milioni di siriani e iracheni sottoposti a un regime violentissimo e a un sistema basato su un’interpretazione dell’Islam estremamente rigida.
Il Washington Post ha scritto che Baghdadi era una «presenza oscura», che si faceva vedere poco in pubblico: nei nove anni in cui fu a capo dell’ISIS furono diffusi solo due video che lo mostravano fare discorsi ai suoi sostenitori – quello della moschea di Mosul e uno dello scorso aprile. Nonostante questo aspetto della sua leadership, nel corso degli anni Baghdadi riuscì a unire la sua visione estremista e molto ideologizzata dell’Islam a un «astuto pragmatismo» nella gestione delle dinamiche interne all’ISIS. Fece convivere jihadisti radicali, ex funzionari baathisti iracheni (cioè del partito Baath, che fu anche il partito di Saddam Hussein) e ufficiali militari all’interno di un’unica ed efficiente forza militare che nel corso di pochi mesi riuscì a conquistare un gran pezzo di Siria e di Iraq.
William McCants, esperto di Islam radicale, ha detto al Washington Post: «Era quello che costruiva ponti tra i foreign fighters (combattenti stranieri) e i locali iracheni. La sua abilità di muoversi tra queste due fazioni contribuì alla sua ascesa a Califfo e gli permise poi di stare al vertice» dell’organizzazione per molto tempo.
La morte di Baghdadi, hanno sottolineato diversi analisti, non significa la fine dell’ISIS. Già da tempo l’organizzazione guidata da Baghdadi aveva iniziato a riorganizzarsi, con lo scopo di sopravvivere alle numerose sconfitte militari subite in Siria e in Iraq e alla fine del Califfato Islamico. L’ISIS potrebbe inoltre sfruttare a proprio vantaggio quello che sta succedendo nel nordest della Siria, con gli scontri tra turchi e curdi che potrebbero portare alla liberazione di centinaia di miliziani trattenuti nelle prigioni curde. C’è anche da considerare che, essendo il terrorista più ricercato al mondo, Baghdadi aveva da diverso tempo libertà di movimento e capacità decisionale molto limitate.
Baghdadi non aveva designato pubblicamente un successore e non è chiaro cosa succederà ora, anche perché molti dei leader storici dell’ISIS sono stati uccisi.

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