L’«anglosfera» fa fuori anche Fincantieri

set 20, 2021 0 comments


Di Alberto Negri

Aukus. Salta la mega-commessa all'Australia per nove fregate Fremm da 23 miliardi. Canberra ha preferito la proposta britannica, anche se il progetto è ancora solo sulla carta. Il messaggio Usa è chiaro: nel Pacifico non c'è spazio per l'Europa

L’«anglosfera», il patto Aukus Usa-Gran Bretagna-Australia, ha sollevato le ire della Cina e colpito duro la Francia che ha ritirato i suoi ambasciatori a Washington e Canberra. I francesi dicono di essere stati tenuti all’oscuro della cancellazione della fornitura da 56 miliardi di euro di sommergibili nucleari del Naval Gorup ma in realtà c’era già stato un campanello d’allarme perché all’inizio dell’estate anche gli italiani era stati fregati alla grande dagli australiani.

E proprio sulla maxi-fornitura di fregate Fremm alla marina australiana della statale Fincantieri, un progetto di cui sono partner anche i francesi di Naval Group. Insomma la fregatura è doppia. Una storia interessante – taciuta dai media nazionali perché le fregature non piacciono a nessuno – che rivela qual è il livello di competizione tra gli europei e il complesso militar-industriale dell’«anglosfera» che con il patto Aukus – la Nato del Pacifico – lanciato da Biden-Johnson-Morrison vuole mettere alle corde la Cina.
Ecco come è saltata in giugno la più grande commessa navale italiana degli ultimi decenni, quella all’Australia, per nove fregate, valore complessivo di circa 23 miliardi di euro. La commessa è stata vinta dall’inglese Bae Systems, superando altri due concorrenti, la Fincantieri e la spagnola Novantia. Si è così infranto il sogno di vendere navi italiane che in realtà nascono da una collaborazione italo-francese.

Si è trattato di una scelta politica più che tecnica e per questo ancora più bruciante. Dal confronto fra la proposta vincitrice e quella italiana è emerso soprattutto un aspetto: le fregate inglesi sono ancora in fase di progettazione e saranno disponibili solo al termine del prossimo decennio, mentre le fregate italiane sono già operative e sperimentate, cosa che avrebbe permesso agli australiani di avere le prime navi in pochi anni. Gli australiani, quindi, hanno scommesso su una nave valida sulla carta, invece che su una che si è già dimostrata efficace. Una decisione che non può essere giustificata sul piano tecnico e operativo.
La scelta, infatti, non aveva alcuna una giustificazione sul piano tecnologico: le Fremm italo-francesi – sottolinea lo Iai, l’Istituto affari internazionali – sono le più avanzate unità in servizio nel mondo. Non solo, la Fincantieri aveva previsto investimenti diretti in Australia per la costruzione delle navi e un ampio coinvolgimento dei fornitori locali.
Pur di vincere questa commessa il sistema-Paese si era speso come non mai. Era stata organizzata una specifica crociera di una Fremm della marina e la visita in Australia di una delegazione governativa – militare, diplomatica e industriale – culminata con l’arrivo del ministro della difesa e poi di quello degli esteri.

Insomma per l’Italia la perdita di quella commessa navale australiana, che sembrava ormai cosa fatta, è stata una delusione cocente. Battuti da un modello di fregata inglese che stava solo sulla carta. Se è vero che in campo navale una scelta è destinata a condizionare i piani militari nazionali per trent’anni, significa che l’Italia (ma nel caso delle fregate anche la Francia come partner Fincantieri) non è stata ritenuta abbastanza affidabile.
Uno smacco.
E infatti tra diplomatici, militari e industriali italiani è sorta, dietro le quinte, una discussione vivace e avvelenata per l’usuale rimpallo delle responsabilità, seguita da un assordante silenzio per non amplificare troppo l’insuccesso. Sopire e troncare, troncare e sopire… in puro stile manzoniano. Una scelta anche ovvia, visto che queste fregate Fremm, che abbiamo già venduto all’Egitto di al-Sisi e al Qatar, Fincantieri vorrebbe piazzarle anche all’Arabia saudita e al Marocco.
L’area di espansione e influenza del complesso militar-industriale europeo, non solo italiano, secondo i piani dell’«anglosfera» dovrebbe limitarsi, tranne qualche eccezione, al Mediterraneo, al Golfo e all’Africa, ma non al Pacifico che è il quadrante strategico di elezione degli Usa.
Questo è uno dei messaggi che arrivano con il patto Aukus. E proprio nel momento in cui l’Unione europea giovedì ha lanciato una nuova strategia nell’Indo-Pacifico, il primo tassello di un progetto chiamato Global Gateway con il quale i Ventisette vogliono firmare accordi internazionali, che vadano ben oltre il commercio, in campo industriale, digitale, della connettività e, guarda caso, nella «sicurezza marittima».

«La coltellata alla schiena» di cui parla il ministro degli esteri francese Le Drian a proposito del patto Aukus è l’inizio di una grande partita geopolitica che da una parte ha come obiettivo quello di esercitare pressioni sulla Cina ma dall’altro ha pure quello di ridefinire le aree di espansione militare ed economica in un mondo che investe l’Eurasia e il Pacifico.
Gli Stati uniti vogliono lasciare le briciole anche agli alleati e insieme qualche trappola che tenga impegnati amici e nemici, dall’Afghanistan all’Iraq da cui si ritirano alla fine dell’anno per fare posto alla Nato. Ci lasciano vent’anni di disastri, di guerre, milioni di morti civili e di profughi, un’eterna destabilizzazione, il caos: e neppure una percentuale sugli utili del complesso militar-industriale. I francesi protestano, non noi, come al solito allineati e coperti.


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