Dalle inchieste ai podcast: i “giornalisti robot” e i rischi dietro all’Intelligenza artificiale

ago 17, 2023 0 comments


Di Martina Piumatti

Alba di un futuro distopico in cui i robot rimpiazzeranno i giornalisti o svolta epocale contro la fine, da anni data per certa, del giornalismo? Nessuno dei due. L’intelligenza artificiale non è una novità e no, non sarà la panacea di tutti i mali del mondo dell’informazione. “È, sì, un significativo cambio di passo nella tecnologia, – sottolinea Charlie Beckett, professore di Media e Comunicazione della LSE, fondatore di JournalismAI, un portale nato per formare i media all’uso responsabile dell’intelligenza artificiale – ma non è certo un miracolo”. 

Un po’ come la digitalizzazione forzata prima e i social network dopo, anche l’IA è qui per restare nelle nostre vite lavorative, e non solo. Quindi, tanto vale imparare a usarla. Le applicazioni sono parecchie, molte delle quali già in uso da anni. Sia nella vecchia versione, che nella nuova veste “generativa” su modello di DALL-E2 e del noto ChatGPT, il “trasformatore generativo pre-addestrato” capace di estrarre, elaborare e produrre informazioni.

Gli esperimenti dei big media

Vera pioniera dell’IA applicata ai media, l’Associated Press, partita nel 2014 automatizzando gli articoli sugli utili societari, oggi si affida all’algoritmo per raccolta, produzione e distribuzione delle notizie. Era il 2016, durante le Olimpiadi di Rio, quando The Washington Post ha testato per la prima volta Heliograf, il bot-reporter che si “smazza”, automaticamente, la cronaca spicciola, come risultati sportivi o elettorali, lasciando i giornalisti “veri” liberi di dedicarsi all’approfondimento. Nel 2021, in piena era podcast, ha introdotto Amazon Polly, che trasforma il testo in parlato realistico.

News Tracer di Reuters consente di individuare, tracciare e verificare le notizie che girano sui social media. Mentre James, in dotazione a Times Sunday Times, si comporta come un “maggiordomo digitale” che propone agli abbonati, via newsletter e con la frequenza più adatta, contenuti selezionati in base alle abitudini di lettura. Poi, c’è Project Feels del New York Times che genera in automatico riassunti di articoli per prevederne l’impatto emotivo e costruire strategie di annunci calibrate su target e contesto.

Oltre ai prodotti pensati per facilitare il lavoro dei big dell’informazione, iniziano a circolare tools sviluppati da varie startup accessibili anche a redazioni più piccole. Come Azimov, il “super smart editor” creato da Asc27, che monitora il web per capire in anticipo le tendenze e generare testi, “bruciando” Google Trend di 6-12 ore. O come GoCharlie.ia, “il primo e unico motore di intelligenza artificiale multimodale al mondo”, che trasforma i formati dei contenuti, convertendo video in immagini o articoli.

In Italia, nonostante il ritardo fisiologicoqualcosa si muove nell’inevitabile convivenza tra esseri umani e algoritmi. Anche nelle redazioni. L’Ansa nel 2020, durante la pandemia, ha automatizzato la produzione di notizie sulla base dei dati forniti dalla Protezione civile. Mentre un sistema sviluppato da Mediaset suggerisce i trend, aiuta a definire il palinsesto e a calcolare l’audience in tempo reale.

L’IA, però, oltre a sobbarcarsi il lavoro sporco e noioso (come DeepL o Otter per la traduzione e Grammarly per l’editing in lingua inglese, ndr), può diventare uno strumento prezioso anche per il giornalista investigativo.

L’AI e il giornalismo investigativo

“Tecnologie come GPT-4, ChatGPT e LLaMA, grazie a un’interfaccia interattiva basata sulla chat che non era disponibile prima, – ci dice Brandon Roberts, data journalist tra i massimi esperti di IA applicata all’inchiesta – agevolano la traduzione, le migliorie stilistico/grammaticali, l’identificazione dei “pregiudizi”, l’esplorazione e l’estrapolazione di informazioni utili da grandi database”.

Nel 2013 Roberts stava facendo delle ricerche sull’attività illecita di alcuni politici locali per The Austin Bulldog, un’ong con sede ad Austin, in Texas. Avendo bisogno di incrociare nomi e indirizzi, mise a punto dei tool per automatizzare l’identificazione tra database diversi. Quella è stata la prima volta che ha usato l’intelligenza artificiale per fare un’inchiestarintracciando storie di evasione fiscale e consentendo il recupero di centinaia di migliaia di dollari di imposte arretrate. Da allora, la capacità di estrarre informazioni si è evoluta in modo esponenziale. “ChatGPT – avverte Roberts – rappresenta un enorme balzo in avanti per i progetti investigativi, ma ha anche la capacità di sparare sciocchezze solo in apparenza plausibili”.

È quello che è successo con il “disastro giornalistico” di CNET, un sito di informazione tecnologica che ha testato la pubblicazione di articoli scritti interamente dall’intelligenza artificiale. Un azzardo finito male, visto che i pezzi erano infarciti di errori grossolani. Oltre che una prova della superiorità dei giornalisti in carne e ossa sui loro concorrenti artificiali, “incapaci di interpretare i fatti e distinguere la verità”. Insomma: “L’IA – ci assicura Roberts – è qui per aiutare i giornalisti, non per sostituirli”. Almeno per ora.

La trappola dell’AI generativa

Per scongiurare una propagazione incontrollata di fake news, quindi, basterebbe affidarsi al check umano. Il rischio, però, che il “giocattolino” ci sfugga di mano come nei peggiori incubi fantascientifici è già realtà. Basta citare The Joe Rogan AI Experienceun podcast prodotto interamente dall’intelligenza artificiale copiando il format scritto dal commentatore statunitense Joe Rogan. Come nella versione “umana”, si tratta di lunghe interviste fatte dal conduttore a un ospite. Del progetto lanciato da Hugo su YouTube lo scorso febbraio (raccogliendo quasi un milione e quattrocentomila visualizzazioni in cinque mesi), impressiona la clamorosa verosimiglianza. Ma come per le immagini generate dall’IA, c’è sempre quel dettaglio, quella banalità sfuggita che smaschera il fake.

Se il dubbio resta, ci si può affidare a una serie di strumenti (basati, ironia della sorte, sull’IA) progettati per intercettare i contenuti prodotti dai bot. Sempre che qualcuno non li abbia “umanizzati” con Undetectable IA, un programma che promette di trasformare i contenuti, inizialmente rilevati come scritti al 100% dall’IA, in un testo capace di ottenere un punteggio come umano al 99% in tutti i rilevatori di contenuti IA. 

In pratica, un bot progettato per ingannare i bot in una guerra tra algoritmi, dove l’umano pare relegato sempre più al ruolo di spettatore passivo. Ora che il “dannato futuro” è già qui, anche per i media, resta da capire che fine faranno i giornalisti, quelli veri. Sapranno sfruttare l’IA facendo ancora la differenza o verranno surclassati dai loro competitor sempre più umani? Una cosa è certa: “Se è così facile farti rimpiazzare – ci tranquillizza, si fa per dire, Beckett – probabilmente non dovresti fare il giornalista”.

FONTE: https://it.insideover.com/academy/dalle-inchieste-ai-podcast-i-giornalisti-robot-e-i-rischi-dietro-allintelligenza-artificiale.html

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