LA FINE DEL CAPITALISMO

ott 31, 2011 0 comments
DI GASTÓN PARDO
Reseau Voltaire
Nella foto: Immanuel Wallerstein
Mentre i circoli politici mondiali discutono della maniera in cui bisogna gestire e risolvere la crisi economica occidentale, il sociologo statunitense Immanuel Wallerstein diagnostica una crisi di sistema. Secondo lui il problema non è curare il capitalismo, ma accompagnarlo nel suo viaggio verso la tomba e favorire la nascita di quello che il geopolitico belga Philippe Grasset chiama una controcultura.

Russia Today ha intervistato Immanuel Wallerstein, sociologo e seguace della scuola dello storico Fernand Braudel, che in questa occasione ha dettato la sentenza finale del capitalismo come sistema: la sua disintegrazione è irreversibile, assistiamo alla parte finale del suo declino iniziato nella decade finale dello secolo scorso e la cui lenta agonia durerà altri venti o quaranta anni: il capitalismo moderno ha raggiunto la fine. Non può sopravvivere come sistema e per questo vive la tappa finale di una crisi strutturale di lunga durata. Non è una crisi rapida, ma un dispiegamento strutturale di grandi proporzioni.

Dapprima il centro di riflessione strategica belga Defensa.org e ora l’analista politico Alfredo Jalife dalla sua colonna bisettimanale nel giornale messicano La Jornada e nella Rete Voltaire hanno analizzato le idee di Wallerstein che si situano nella linea del pensiero braudeliano - alla cui scuola anche l’intervistatore si iscrive – riguardo le transizioni fra poteri egemonici, che sono state trattate dal recentemente scomparso Giovanni Arrighi nel suo libro “Caos e Governo nel sistema Moderno Mondiale” (Minnesota Press, 1999). Wallerstein ritiene che il mondo si trovi in una fase di transizione verso un altro sistema e che la vera battaglia politica che si manifesta verte già sul sistema che sostituirà il capitalismo.
Da lungo tempo Wallerstein ha anticipato correttamente la fine del modello neoliberista, ma non aveva mai attraversato con decisione il Rubicone, pronunciando la sua sentenza di morte del capitalismo come sistema.
Che ne resta quindi dell’assioma secondo cui il capitalismo, per il suo carattere proteiforme, è capace di adattarsi a tutte le crisi e circostanze?, chiede il maestro Jalife.
Nel corso degli anni Jalife ha sostenuto, contro tutti, che non si trattava di un raffreddore capace di rallentare il passaggio del capitalismo e nemmeno di una crisi congiunturale; si tratta di un cambio di paradigma che obbliga a riflettere sull’inalienabile valore trascendentale dell’essere umano che va al di là delle peggiori circostanze avverse (guerra, mercati, speculazione sfrenata, potere della finanza, economicismo, mercantilismo, consumismo, ipermaterialismo, tecnologia senza bioetica, depredazione ambientale, disinformazione oligarchica), e ciò ha messo in evidenza, al tempo stesso, la crisi della civiltà ebraica e di quella greca, i cui valori spirituali sono stati sacrificati sull’altare del neoliberismo. Il sito Defensa.org (05.10.11) opina che Wallerstein si sia dimenticato di questi valori che devono essere i primi a essere restaurati.
Sono i valori che hanno impregnato l’idea del bene nell’Occidente giudaico-cristiano, che appare immacolata nella teoria delle idee di Platone nel suo Timeo, in seguito riprese da Goethe nel “Faust”, da Dostoevskij ne “Il giocatore” e dal “Mercante di Venezia” di Shakespeare.
Wallerstein auspica la sostituzione del capitalismo con un mondo più democratico ed egualitario come non è mai esistito prima nella storia mondiale, ma che è possibile. L’opzione contraria sarebbe un sistema fatto di disuguaglianze, polarizzante, sfruttatore che non sia necessariamente capitalista, ma all’interno del quale possano esistere meccanismi di controllo peggiori di quelli del capitalismo, come l’attivazione della psicopolitica o il comportamentalismo.
Già lo storico britannico Eric Hobsbawn, segnala ancora Jalife, aveva anticipato il ritorno progressivo del marxismo come opzione, visto che non c’è maggiore chiarezza di quella offerta dal marxismo classico, con le parole del suo fondatore Marx, quando esprime che il capitalismo porta in seno il germe della propria distruzione. Questa distruzione, però - quella a cui assistiamo – si è trasformata nella divoratrice di sé stessa, senza che l’ avanguardia rivoluzionaria che proprio Marx annunciò nel suo Manifesto del Partito Comunista sia stata capace di organizzarsi. Per questo aderiamo all’idea del processo autodistruttivo assistendo agli sconvolgimenti che già preannunciano un caos ulteriore e, indipendentemente dalla durata del processo di eliminazione, a noi tocca il compito di mettere in salvo i valori della cultura che ha preceduto il neoliberismo, che Wallerstein si astiene dal rivendicare.
Wallerstein ricorre alla biforcazione del sistema per spiegare la fine del capitalismo e la nascita di un nuovo sistema: le sue radici vanno ricercate nell’impossibilità di continuare il principio basilare del capitalismo, ossia l’accumulazione del capitale che ha funzionato comunque meravigliosamente per 500 anni. È stato un sistema che ha avuto un successo estremo, ma che ha finito col distruggersi da solo perché la sua classe dirigente e le sue élite politiche sono incapaci di risolvere il problema di incertezza nel quale si è cacciato.
Quando si arriva all’incrocio delle strade significa che “in qualche punto, la cosa finisce ed entriamo in una situazione nuova e relativamente stabile, finisce la crisi e ci troviamo all’interno di un nuovo sistema”, dice l’intervistato ed è ciò che riporta Jalife.
Wallerstein avverte che la transizione, apparentemente paralizzata, fra la morte del capitalismo e la nascita di un nuovo sistema comporta pericoli considerevoli, dal momento che mette in evidenza un sistema che crolla con l’assenza di una prospettiva di sostituzione a breve termine.
Secondo Jalife, questa situazione è pateticamente evidente in geopolitica: i multipolari BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), nonostante le loro enormi potenzialità e il prestigio del loro attuale potere geoeconomico - senza menzionare la loro capacità di dissuasione nucleare -, si sono dimostrati inadatti e impotenti per abbattere il moribondo ordine unipolare degli Stati Uniti che continua a diffondere il caos finanziario.
Wallerstein ricorre al dualismo greco fra determinismo e libero arbitrio Quando il sistema è relativamente stabile, è relativamente determinato in quanto sistema nel quale è presente un libero scambio relativamente limitato. Quando, però, il sistema è instabile ed entra in crisi strutturale, irrompe il libero arbitrio e gli atti individuali diventano importanti quanto mai lo erano stati per mezzo millennio; ciò diventa strategicamente pericoloso, perché tutto è imprevedibile salvo nel breve periodo, come dimostra la scienza dell’incertezza. Tutto ciò sfocia nella paralisi, palese nell’economia quando gli investitori cessano di avere fiducia nel mercato per investire le proprie eccedenze monetarie.
Seguendo Jalife, l’economia, oggi divorata dai mostruosi finanzieri, è paralizzata perché è sfociata in un’aporia, ovvero in un irrisolvibile paradosso di blocco mentale, per non dire che ha dovuto soccombere alla demenza assoluta quando la bancocrazia europea (in realtà la finanza transatlantica) ha obbligato la Grecia della NATO a scegliere il suicidio per essere salvata finanziariamente.
I greci moderni, candidati all’accanimento terapeutico (la peggiore delle morti: un termine che Jalife utilizzava nelle lezioni di bioetica, una disciplina che importò dagli Stati Uniti al Messico e che i volgari plagiari pretendono di espropriare), rappresentano simbolicamente il 99 per cento dell’umanità che desidera sterminare l’un per cento della plutocrazia globale, come è stato ormai detto e ridetto dagli indignados di Wall Street, che si sono aggiunti alla corrente planetaria di liberazione cittadina.
Ma non è una cosa molto grave: in un periodo di aridità di pensiero, in politica e in filosofia, a causa della sclerosi cerebrale provocata dalla globalizzazione finanziaria senza regole, urge riscattare i pochi pensatori che sono sopravvissuti al naufragio mentale dell’ormai infetto intelletto occidentale, totalmente “borsizzato”, che raggiunge livelli molto peggiori nei suoi traguardi culturali rispetto al doppio cataclisma del potere finanziario e dell’economicismo.
Wallerstein dichiara la fine del capitalismo e l’inizio della grande incertezza A proposito della crisi del capitalismo: secondo Wallerstein si tratta della crisi finale e la battaglia che si sta svolgendo non riguarda il destino del capitalismo in sé, ma di ciò che andrà a rimpiazzarlo: “Il capitalismo moderno è arrivato alla fine del suo percorso. Non è capace di sopravvivere come sistema.” Wallerstein ha aggiunto: “Quella che stiamo vedendo è la crisi strutturale del sistema. Una crisi strutturale che è cominciata negli anni ‘70 del XX secolo e che protrarrà i suoi nefasti rantoli per dieci, venti o quaranta anni. Non è una crisi da risolvere nel corso di un anno o in un momento. Si tratta della più grande crisi della storia. Ci troviamo nel passaggio verso un sistema nuovo e la lotta politica reale che si è liberata nel mondo, grazie al rifiuto della gente, non progetta un nuovo corso del capitalismo, ma quello del sistema che andrà a rimpiazzarlo.”
Visto che, per Wallerstein, il capitalismo è in via di estinzione e per questo la battaglia di oggi è quella di preparare il nuovo modello economico, la questione riguarda la via da seguire per sostituire efficacemente il capitalismo. “Saremmo vicini a un mondo relativamente più democratico ed egualitario, è una buona prospettiva”, con le parole di Wallerstein, che poi ha affermato: “Non ci siamo mai trovati in una simile situazione, nel corso della storia mondiale, ma è una cosa possibile. L’altra prospettiva è quella di mantenere il sistema di sfruttamento, che è iniquo, ingiusto perché polarizza la disuguaglianza. Il nuovo sistema potrebbe non essere il capitalismo. Il capitalismo è quello che vediamo cadere. Ma ci sono anche alternative peggiori all’interno dello stesso capitalismo.”
La critica di Philippe Grasset (Defensa.org)
Wallerstein fa una descrizione tecnica, economica del modo in cui il cambiamento potrebbe realizzarsi fra il capitalismo in crisi e un nuovo sistema. Si tratta di un processo che l’intervistato definisce “biforcazione”. “È ciò che si è tecnicamente definita la biforcazione di un sistema”, ha detto. “Le sue radici si trovano in molti aspetti differenti dalla perpetuazione dei principi basilari del capitalismo, che è concepito per l’accumulazione di capitale. Questo è il punto centrale del sistema. Un sistema che ha lavorato meravigliosamente in alcune tappe del mezzo millennio della sua esistenza. Si tratta di un sistema che ha avuto molto successo, ma che ha smesso di funzionare come accade per ogni sistema.” “Ciò che accade in una biforcazione è che, in qualche punto dell’incrocio, il sistema resta ancorato a una nuova situazione stabile: la crisi è finita; siamo nel nuovo sistema.
In sintesi, Wallerstein descrive i pericoli, secondo lui notevoli, del processo di cambiamento, che implica da una parte l’inumazione del capitalismo e dall’altra la nascita e l’instaurazione di un nuovo sistema. La situazione comporta rischi perché è inevitabile un periodo di paralisi fra il vecchio che scompare e il nuovo. La pressione sistemica esercitata dal sistema economico e politico ha portato alla frammentazione delle sue differenti opzioni e concezioni e nel frattempo lo sprofondamento dell’atlantismo apre il passo alla verità della situazione, quella di un sistema generalizzato da cui nessuno può fuggire e che è sul punto di sprofondare, che genera con la sua transizione un numero di criticità certe. In breve, il nemico principale è cambiato: fra il 2001 e il 2007 si trattava del sistema anglosassone e della sua concezione del capitalismo; adesso tocca al sistema in generale, o a quello che i belgi chiamano la “contro-civiltà”. Una catena di idee inevitabili che non sono sottolineate dall’intervistato. Quindi gli strateghi belgi ci propongono una visione più critica di quella di Wallerstein.


Fonte: El fin del capitalismo, segùn Wallerstein
10.10.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di M. L.SABATI
NO 
Da Come Don Chisciotte

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