Rebelión
"Qualche volta mi chiedo se dopo questi giorni bui della Grecia, il danno maggiore sarà nell’economia o nella democrazia."
Leónidas Vatikiotis è un economista e un giornalista. Ha lavorato come corrispondente di vari mezzi di comunicazione in più di quindici paesi, è uno specialista sui temi dell’economia e della politica internazionale. Incaricato in due occasioni dall’amministrazione greca del Dipartimento di Economia, dal 2010 è professore di economia politica a Cipro. Nel 2011 è stato incaricato della consulenza scientifica per il documentario “Debtocracy” sull’attuale crisi della sovranità e del debito della Grecia.
Rebelión ha voluto approfittare del suo passaggio a Madrid durante le giornate "Vivendo nella debitocrazia" che si sono avute il 7 e 8 ottobre, per conversare con lui sulle sfide che la Grecia dovrà affrontare, usando le parole di Leónidas Vatikiotis un'epoca oscura, un autentico colpo di stato perpetrato dalla Commissione Europea che si è tradotto in un livello di repressione e brutalità poliziesca paragonabili solamente con l'epoca della dittatura.
Rebelión ha voluto approfittare del suo passaggio a Madrid durante le giornate "Vivendo nella debitocrazia" che si sono avute il 7 e 8 ottobre, per conversare con lui sulle sfide che la Grecia dovrà affrontare, usando le parole di Leónidas Vatikiotis un'epoca oscura, un autentico colpo di stato perpetrato dalla Commissione Europea che si è tradotto in un livello di repressione e brutalità poliziesca paragonabili solamente con l'epoca della dittatura.
Ci si sta domandando, nei movimenti di protesta, della possibilità di uscire dall’euro? Non crede che sarebbe un cambiamento di uguale intensità, ma molto più rapido e che permetterebbe di recuperare la sovranità sulla politica economica?
Credo che non solamente in Grecia, ma in tutti i paesi della periferia dell'eurozona, e parlo dell'Irlanda, Spagna, Portogallo, Italia e Grecia, l'euro è stato una cosa nefasta. Abbiamo un'esplosione della disoccupazione, abbiamo programmi di austerità terribili, c’è la demolizione dello stato sociale che i nostri paesi avevano costruito dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Credo che queste nazioni devono uscire dall’eurozona per il loro bene.
Il mese scorso – sto parlando delle conclusioni del periodo europeo trascorso da marzo a Luglio – abbiamo assistito a un monito ancora più aggressivo imposto alla Grecia affinché adotti la politica economica dell'Unione Europea. La decisione dell'Unione Europea è stato un copia e incolla del primo memorandum sulla Grecia firmato nel maggio del 2010. Credo che nei prossimi mesi, e non nei prossimi anni, assisteremo all'aumento delle età pensionabile, vedremo lo smantellamento massiccio del settore pubblico e la demolizione degli accordi collettivi tra sindacato e grandi aziende. Ciò porta la firma dell’Unione Europea.
Per questo motivo credo che i popoli di questi paesi - non le classi dominanti - devono imporre l'uscita dall'Unione Europea; devono imporre una politica monetaria indipendente che favorisca la creazione di nuovi posti di lavoro, che sia favorevole alle nazioni ai paesi e non agli interessi degli esportatori e dei banchieri tedeschi, come è in questo momento.
Il movimento di resistenza in Grecia ha adottato la proposta dell'uscita dell'euro?
No. Fino ad ora la maggioranza dei greci pensa che sia migliore rimanere nell'Unione Europea. I greci credevano che la partecipazione all'Unione Europea, e ancor di più all’eurozona, li avrebbe aiutati a migliorare le proprie condizioni di vita. Credevano che Unione Europea fosse sinonimo di stato sociale, di più ospedali, più università, più scuole. E ora viene l'Unione Europea – e non il Fondo Monetario Internazionale – che dice che "si devono chiudere scuole, ospedali e università". Sto dicendo che è stato l'Unione Europea e non il FMI, perché nel caso della Grecia l’Unione Europea è stata molto più rigida del FMI. Anche in questo momento l’Unione Europea, Angela Merkel e altri membri della Commissione Europea stanno stabilendo le misure di austerità della settimana prossima.
Lei sta segnalando l'assenza di sovranità nei paesi europei, non solamente in Grecia, anche se forse la Grecia è l'esempio dove meglio si vede come il governo non gestisca il paese, ma che questo è governato dalle istituzioni europee e dai banchieri.
In Grecia il primo ministro Papandreu viene chiamato "Tsolákoglu", il primo ministro che fu designato dall'occupazione nazista dal 1941 al 1942. Credo che non sia una particolarità della Grecia. In Spagna succede qualcosa di simile. Per esempio, la proibizione del deficit pubblico decisa in Spagna è una violazione della volontà del paese spagnolo. Se la Spagna nelle prossime elezioni dovesse scegliere un partito che abbia propositi di spesa, verrà considerato illegittimo, perché c'è una legge che proibisce il passivo di bilancio. Credo che ci sia una questione molto seria che è presente nell'Unione Europea: chi decide? Credo che la classe dominante di tutti i paesi dell'Unione Europea ha dato questo diritto alla Commissione Europea perché fa il lavoro al meglio, con più facilità e senza causare grossi conflitti. Non credo che i banchieri o la Borsa greca riescano a riprendere la sovranità che hanno ceduto alla Commissione Europea. Credo che sia giunto il momento in cui i paesi dell’Unione riprendano il potere di confronto con la classe dominante interna ed europea.
La Grecia conta su una forte sinistra "tradizionale", su sindacati e partiti di sinistra, e abbiamo visto nelle manifestazioni molti giovani che hanno continuato ad accumulare un'esperienza di lotta negli ultimi anni. Qual è la situazione? Il movimento ha raggiunto un grado di articolazione e si è accordato su qualcosa di simile a un programma accettato da tutti?
Guardi, se devo dire la verità, il movimento in Grecia non ha risposto alla sfida che ha di fronte a sé. Nessuno al di fuori della Grecia ha capito che nell'ultimo anno e mezzo abbiamo avuto un colpo di stato. La brutalità della polizia si può paragonare solo col periodo della dittatura di Georgios Papadopoulos, il dittatore a capo della Giunta dei Generali tra il 1967 e il 1974. Quando tre o quattro persone si riuniscono nelle piazze di Atene, la polizia li pesta con enorme violenza. Abbiamo visto nelle prime pagine dei giornali foto di poliziotti che colpiscono studenti di 6, 10, 12 anni. Sottolineo questo aspetto perché, se non sapendolo, non si può capire cosa è successo in Grecia.
Tutta questa tradizione della sinistra e del movimento ora non è capace di superare questa politica repressiva. Nel maggio del 2010 ci fu un incendio in una succursale bancaria nella quale morirono tre persone. Tutti noi crediamo che chi ha appiccato l’incendio non erano manifestanti, e tutti noi il giorno dopo dovemmo rispondere del perché avevamo carbonizzato tre lavoratori nel giorno dello sciopero generale.
In Grecia abbiamo uno stato profondamente corrotto e non c'è stato di diritto. Tutti i giorni la legge viene violata e la polizia non deve renderne conto. In Pakistan si dice che, mentre nelle altre nazioni lo Stato ha un Esercito, in Pakistan l'Esercito ha un paese. In Grecia, noi diciamo che la polizia ha un paese.
Il documentario "Debtocracy" ci mostra quello che sta succedendo in Grecia e la brutalità della polizia. Per esempio, ci sono stati casi di giornalisti gravemente feriti. All’inizio, quando la polizia cominciò a colpire i giornalisti, specialmente i fotografi, chiesero che la polizia gli consegnasse delle pettorine con la scritta "Stampa" per non essere attaccati. Li abbiamo avvisati: non ve li mettete, perché vi attaccheranno ancor prima. E così è avvenuto. Le persone che portavano l’indicazione "Stampa" furono i primi obiettivi dei poliziotti che li pestavano prima dei manifestanti.
Sto spiegando questo per comprendere il perché il movimento, fino ad ora, non ha risposto alla sfida.
Quindi lei attribuisce alla violenza e alla repressione la causa per cui il movimento non ha raggiunto un grado maggiore di sviluppo?
Sì. È a causa della repressione governativa. La polizia agisce sotto mandato del governo. Devo dire che il vicepresidente greco, Vagelis Veniselos e ministro di Finanze, ha minacciato di far uscire i carri armati nelle strade. Ha detto: "Se sarà necessario, perché no?"
C’è una lista delle persone che sono stati ferite o imprigionate?
Sì, certo. Ci sono famosi giornalisti che hanno perso l’udito a causa degli dei fumogeni della polizia. Ci sono molte indagini sull’atteggiamento della polizia, ma non succede niente. C'è una relazione molto stretta tra i mezzi di comunicazione più diffusi, la polizia e il Governo che manca di ogni legittimità. Il Governo del PASOK, che ora deve rispondere dell'inchiesta di Gallup, ha un'adesione del 10-15 per cento. Ci sono altri sondaggi che danno risultati anche più bassi.
Quindi, c'è un Governo senza legittimità e allo stesso tempo il movimento non ha una piattaforma politica che articoli proposte…
Sì, ci sono piattaforme politiche. Prima mi sono dimenticato di menzionare il ruolo davvero negativo che è stato svolto nel movimento dai sindacati del settore privato (GSEE) che hanno assecondato il governo e non ha mai respinto la politica dei tagli alla spesa. Non dicono: "Noi non paghiamo, noi non dobbiamo", come dicono tutte le piazze e le persone che stanno lottando in Grecia.
Qual è stato il dialogo tra la sinistra tradizionale e la sinistra che è emersa dal movimento, nell’ambito della lotta?
Non ci sono buone relazioni, ma non c'è inimicizia. Negli scioperi c’è la sinistra classica, quella nuova, gli studenti, persone comuni, tutti insieme. Ci sono alcune piccole sette, ma a chi interessa?
Ci sono canali di comunicazione tra questi settori?
Ovviamente. Devo dire che nel mese di maggio, quando emerse il primo movimento di indignati nelle piazze, i mezzi di comunicazione più conservatori, che appoggiano le misure di austerità del FMI e dell'Unione Europea, dissero: "Viva le piazze!” e affermarono che il futuro appartiene alle piazze e non alla sinistra, non agli studenti e lavoratori. Perché volevano caratterizzare il movimento degli indignati come contrario alla politica. Ma quando il movimento delle piazze proseguì la lotta, nella seconda o terza settimana, si stava iniziando a richiedere l'uscita dal FMI e dall'Unione Europea. Si politicizzò in modo rapido e naturale, senza influenze esterne né invasioni da parte delle organizzazioni politiche della sinistra. In modo fisiologico e molto tranquillamente, la gente che usciva in piazza diceva: “No alle misure di austerità, vogliamo un settore pubblico forte che serva gli interessi del popolo; vogliamo più ospedali e non più spese dello stato sociale”, eccetera.
Le chiedo il suo punto di vista, lasciano da parte quello che ci piacerebbe che accada. Quale crede che sia il futuro prossimo della Grecia?
Il futuro prossimo se verrà lasciato da solo sarà un'epoca oscura. Il futuro immediato è un'amministrazione controllata. La Germania con i banchieri hanno deciso imporci il fallimento. A prima vista sembra molto bello, ma cosa significa un'amministrazione controllata? Significa un taglio orizzontale delle obbligazioni del debito greco al 50 per cento. Si potrebbe pensare, dov’è il problema? Ciò porterebbe a una gran riduzione del debito greco. Ma è giustamente il contrario di quello che vogliamo, perché il diavolo sta nei dettagli. E i tedeschi ridurranno il nostro debito a condizioni molto rigide: in primo luogo, una zona economica speciale, per delocalizzare. Proprio quello che succede in Guatemala, Honduras e in Messico. Vogliono imporci un regime senza imposte, senza leggi sul lavoro, senza protezione ambientale. Queste sono le zone economiche speciali. In secondo luogo, c'imporranno un enorme programma di privatizzazione dal valore di 50 miliardi di euro: vogliono mettere in vendita non solamente le compagnie pubbliche - aziende idriche, energetiche, quelle delle telecomunicazioni, i porti, gli aeroporti, eccetera – ma anche isole, montagne, qualsiasi cosa che sia di proprietà pubblica. In terzo luogo, nuove misure di austerità. Fino ad ora, il governo ha licenziato 200.000 impiegati pubblici da ottobre del 2009, la maggioranza è costituita da professori, infermiere, medici, lavoratori municipali, addetti alle pulizie, eccetera. Sottolineo questo perché si parla di servizi con un enorme impatto nella società. Questo si ritorcerà contro di noi nel quotidiano. La settimana scorsa hanno deciso di licenziare altri 30.000 dipendenti pubblici per la fine dell’anno. E sono sicuro che seguiranno altre decine di migliaia, perché il passivo è tanto. Le misure di austerità causano recessione, la recessione causadeficit, e cosa dice l'Unione Europea? "Hanno il deficit: che licenzino i dipendenti pubblici." È un circolo senza via d’uscita.
14.10.2011
Molto interessante questo articolo, molto condivisibile il contenuto.
RispondiEliminaMi ricorda l'analisi di Barnard.
Lo sbertucciato e inviso Paolo Barnard.