In questo nuovo rapporto tra sapere accademico e potere militare - di cui il settore ITC (Information Technology) costituisce forse una delle espressioni più significative - un ruolo determinante assume lo sviluppo delle tecnologie high tech: indipendentemente dalle loro possibilità di utilizzo, dalla loro funzione o necessità immediata, questo tipo di sapere serve e ha degli effetti. L'insieme di questi studi non solo contribuisce all'avanzamento del campo scientifico ma, ad un livello teorico prima ancora che pratico, produce modi di vita, scelte di esistenza ed esperienza degli individui, plasmati, in prospettiva, sulle esigenze del dominio.
Per questo il dispositivo universitario va considerato non soltanto per ciò che concretamente produce in funzione disciplinare e di controllo (videsorveglianza, domotica, telerilevamento, etc.), ma anche in termini strategici, connessi ai rapporti di forze che determinano l'esistenza e lo sviluppo di specifici tipi di sapere. Perfettamente inserita nelle politiche di governance contemporanee si può dire che l'Università, nei diversi ambiti qui schematicamente riassunti, contribuisce fattivamente alla guerra, interna ed esterna. Allo stesso modo i processi di omologazione tra saperi tecnologici e apparati militari condizionano i modelli di divulgazione del sapere accademico e di gestione dell'Università.
Peacebuilding
Con la riforma universitaria del 2001/02 in Italia, ma nei paesi
anglosassoni e in nord Europa già a partire dagli anni '70, vi è stata
una proliferazione di Corsi di Laurea, Dottorati e Master in Peacekeeping, Peacebuilding, Security Studies, Operatori di Pace
(solo per citarne alcuni) che si presentano come percorsi formativi
atti a fornire le conoscenze e le capacità necessarie a "costruire la
pace" nei vari contesti di guerra. Sono dei corsi nei quali il mondo
militare e delle forze dell'ordine da una parte e il mondo civile
dall'altra entrano in contatto, collaborano e sono strettamente
interconnessi. Spuntano come funghi Master finanziati dalle Forze Armate
nei quali un certo numero di posti è riservato a polizia e militari,
oppure corsi che vedono ufficiali e generali come insegnanti. Vi sono
università che adibiscono una parte intera della loro offerta formativa
alla formazione esclusiva di personale militare e di polizia (come per
esempio nell'Università di Roma Tre). Tutte le congetture sull'utilità
di questi corsi cadono per lasciare posto a delle certezze quando si
scopre che vi sono dei Master che prevedono per gli studenti delle vere e
proprie esercitazioni pratiche con l'esercito (per esempio all'interno
del Master in Mediatori dei conflitti - Operatori di pace internazionali all'Università di Bologna in collaborazione con la Provincia Autonoma di Bolzano - dal 2004 a 2010 -, o l'esercitazione Celere Ferret
- v. riquadro). Affinché le azioni militari in territori di guerra
funzionino e raggiungano i propri scopi è fondamentale che la
collaborazione e la convivenza tra civile e militare siano sempre meno
ostacolate da perplessità e critiche e che siano il più oliate e rodate
possibili.
Sul fronte interno l'obiettivo è lo stesso: il modo di operare
all'interno dell'Università attraverso progetti e percorsi formativi che
vedono collaborare civili a fianco di chi di mestiere esercita il
potere con le armi per controllare e reprimere fa sì che le persone
"comuni" si abituino a tale presenza, la giustifichino, l'appoggino.
Dietro la strategia di far collaborare settore civile e apparato
militare vi è la volontà di annientare ogni forma di conflittualità
sociale e di dissenso più o meno radicale nei confronti delle forze
dell'ordine e dell'esercito e di recuperare ogni forma d'incompatibilità
sociale.
Ad ogni settore dell'Università i propri piccoli compiti. Alle scienze umanistiche quelli di:
- far credere che la società civile (si pensi al ruolo più o meno collaborazionista di varie ONG) possa riuscire ad influire positivamente sulle azioni militari (posto che anche se ciò fosse vero troverebbe il nostro completo disaccordo, ciò che avviene è proprio il contrario, cioè la progressiva influenza del militare sul civile);
- far percepire i conflitti e le guerre come fenomeni scatenati da ragioni d'incomprensione di tipo etnico e religioso (guardando le presentazioni e i piani di studio di questi corsi si nota come non si faccia mai riferimento agli interessi economica-politici in gioco);
- alimentare una vera e propria trasformazione culturale. Se all'interno del mondo accademico, come in altri ambiti, cultura militare e cultura civile convivono e per di più si contaminano reciprocamente, l'effetto è una mutazione culturale tout court, funzionale, tra l'altro, all'accettazione di quelle ricerche scientifiche che in ambito accademico sono collegate all'industria bellica. Uno sviluppo tecnologico che incrementa, sia a livello pratico che strategico, la potenza guerrafondaia, necessita di un determinato involucro sociale nel quale la cultura dell'oppressione e della repressione riesca ad annidarsi dentro di noi, «diventi principio logico, abitudine percettiva, modalità di porsi domande e del rispondersi» (Anita Raja in Postfazione a Cassandra di Christa Wolf, Edizioni e/o, 2011). La stessa divisione del lavoro su cui si basa questo involucro e che annienta la connessione visibile tra le funzioni sociali, si ripresenta anche nel mondo scientifico: «non c'è la (singola) multinazionale o la (singola) università che costruisca la nanoarma: ognuno fa la sua parte» (dichiarazione di Billy, Costa e Silvia davanti al tribunale penale federale di Bellinzona del 2011), ad ognuno spetta il proprio posto nella scala gerarchica e decisionale.
- far credere che la società civile (si pensi al ruolo più o meno collaborazionista di varie ONG) possa riuscire ad influire positivamente sulle azioni militari (posto che anche se ciò fosse vero troverebbe il nostro completo disaccordo, ciò che avviene è proprio il contrario, cioè la progressiva influenza del militare sul civile);
- far percepire i conflitti e le guerre come fenomeni scatenati da ragioni d'incomprensione di tipo etnico e religioso (guardando le presentazioni e i piani di studio di questi corsi si nota come non si faccia mai riferimento agli interessi economica-politici in gioco);
- alimentare una vera e propria trasformazione culturale. Se all'interno del mondo accademico, come in altri ambiti, cultura militare e cultura civile convivono e per di più si contaminano reciprocamente, l'effetto è una mutazione culturale tout court, funzionale, tra l'altro, all'accettazione di quelle ricerche scientifiche che in ambito accademico sono collegate all'industria bellica. Uno sviluppo tecnologico che incrementa, sia a livello pratico che strategico, la potenza guerrafondaia, necessita di un determinato involucro sociale nel quale la cultura dell'oppressione e della repressione riesca ad annidarsi dentro di noi, «diventi principio logico, abitudine percettiva, modalità di porsi domande e del rispondersi» (Anita Raja in Postfazione a Cassandra di Christa Wolf, Edizioni e/o, 2011). La stessa divisione del lavoro su cui si basa questo involucro e che annienta la connessione visibile tra le funzioni sociali, si ripresenta anche nel mondo scientifico: «non c'è la (singola) multinazionale o la (singola) università che costruisca la nanoarma: ognuno fa la sua parte» (dichiarazione di Billy, Costa e Silvia davanti al tribunale penale federale di Bellinzona del 2011), ad ognuno spetta il proprio posto nella scala gerarchica e decisionale.
La scienza è una funzione ben determinata della pratica sociale ed «il
processo di trasformazione scientifica non dipende dalla realizzazione
di una logica interna, trascendente il complesso della pratica umana».
La gestione della scienza è nelle mani della politica istituzionale; chi
sostiene che la prima debba stare lontana dall'agire politico intende
celare questo stretto legame o si nasconde dietro ad una pretesa tutta
da scardinare: «il principio dell'etica professionale in base al quale è
considerato disonesto introdurre la politica dentro le mura della
cittadella della Scienza» (L'ape e l'architetto di Ciccotti, Cini, de Maria, Jona-Lasinio, Edizioni Bicocca, 2011).
Collaborazione tra Esercito Italiano e Università: l'esercitazione Clever Ferret (2005-2010).Clever ferrete è una delle esercitazioni militari più importanti dei una forza multinazionale denominata Multinational Land Force (MLF), una brigata trinazionalie italo-sloveno-ungherese costituita su iniziativa politica e militare alla fine degli anni '90 e ufficialmente destinata, in qualità di Battle group, alla costituzione di un futuro esercito europeo. In seguito a una convenzione tra brigata alpina "Julia" - il contingente italiano che partecipa alla MLF - e università, dal 2005 in questa esercitazione sono coinvolti studenti di Scienze Internazionali e Diplomatiche dell'università di Trieste (polo didattico di Gorizia). Agli studenti sono affidati compiti di consulenza per quanto riguarda l'analisi di aspetti politici e legali, con particolare riferimento ai rapporti con le organizzazioni internazionali. In perfetta linea con il modello israeliano, che prevede l'inserimento di esperti esterni a supporto delle forze armate durante lo svolgimento delle operazioni militari, con il 2010, e per la prima volta in ambito italiano, questi studenti universitari sono coinvolti direttamente nelle attività di esercitazione sul campo, nella prospettiva esplicitamente dichiarata di collaborazione nelle missioni internazionali.
Telecomunicazioni e sistemi integrati
La comunicazione telematica e vitale per il funzionamento dell'attuale
sistema di guerra. Provate a pensare una guerra con truppe d'occupazione
senza un sistema radiofonico protetto, senza la copertura satellitare,
senza i sistemi di localizzazione, senza i sistemi integrati - in
definitiva senza ripetitori ed antenne militari, costellazioni di
satelliti, sistemi di sensori wireless (WSN): sarebbe fallimentare.
Invasioni ed occupazioni, che necessitano di continui monitoraggi e
pattugliamenti di territori "ostili" (città, villaggi, campagne e
montagne), sarebbero oggi impensabili senza un efficiente sistema di
telecomunicazione sicura e protetta. D'altro canto per il controllo
della popolazione l'isolamento e la selezione della comunicazione a
seconda del contenuto trasmesso (attraverso l'oscuramento del canale
telematico) sono una strategia di controinsurrezione: si è visto in
Egitto, quando, durante la rivolta, gli unici SMS a passare erano quelli
favorevoli a Mubarak.
Abbiamo individuato nel gruppo di ricerca Eledia (Diagnostica
Elettromagnetica) dell'ateneo di Trento, diretto da Fausto Giunchiglia,
il maggior esempio locale di laboratorio universitario che, con la sua
assidua collaborazione con Selex-Finmeccanica, fornisce
attivamente servizi all'industria bellica, quindi alla guerra. Oltre
alle conoscenze tecnoscientifiche, scambiate attraverso seminari,
consulenze e insegnamento, gli elementi materiali del sistema di guerra
sviluppati nel laboratorio sono: prototipi di applicazioni militari come
il puntatore a microonde elettromagnetiche in grado di "vedere" corpi
attraverso i muri (già in commercio), i cooperative robotics (minirobot utilizzati per l'esplorazione di "ambienti ostili"), macchinari per l'individuazione tramite imaging di materiale esplodente (uxe detection).
L'integrazione dei sistemi - che i vari laboratori stanno sperimentando
a più livelli (agronomico, biologico, sociale) - funziona anche nel
campo militare e poliziesco: il programma di digitalizzazione
dell'esercito italiano (SIACCON, SICCONA, Soldato Futuro) e le
telecamere di nuova generazione sono solo gli esempi più recenti
dell'applicazione della teoria cibernetica al sociale. In questi
laboratori si teorizzano e sperimentano applicazioni poliziesche come le
videocamere in grado di ridurre i corpi in silhouette e
segnalare ad una centrale operativa quei comportamenti che, confrontati
con movimenti standardizzati attraverso algoritmi, risultano anomali.
Urbanistica e domotica
N ella disamina dei settori di ricerca con applicazione in ambito
repressivo si tende spesso a trascurare un aspetto cruciale quale la
pianificazione del territorio e la "costruzione" dell'ambiente in cui
quotidianamente siamo confinati. Gli strateghi della controinsurrezione
su questo si mostrano alquanto più avveduti, prova ne sia lo studio "NATO Urban Operation 2020"
(interamente dedicato a delineare un tutt'altro che ipotetico scenario
di impiego degli eserciti in contesto urbano). Dall'altra parte della
barricata un notevole contributo di critica pratica allo spazio urbano è
venuto, nel recente passato, dall'ondata di rivolte e insurrezioni che
hanno attraversato l'Europa e il Mediterraneo: i rivoltosi si sono
ripresi le strade progettate per il passaggio della polizia e hanno
liberato (temporaneamente) la città dai dispositivi di controllo che ad
ogni angolo spiano i nostri movimenti. La progettazione del territorio
costituisce, fin dai tempi di Haussmann, una soluzione tecnica a
"problemi" sociali (nella Parigi napoleonica la deleteria combinazione
di grandi masse di diseredati tendenti alla rivolta e angusti vicoli
medievali ostacolava il movimento delle truppe controinsurrezionali).
Sempre più l'urbanistica del controllo gioca un ruolo di primo piano nel
delineare politiche di gestione securitaria del territorio. La ricerca
accademica torna a dare il suo contributo. Il Dipartimento di
Urbanistica e Pianificazione del Territorio dell'Università di Firenze
ha condotto varie ricerche nel campo della sicurezza urbana (Sicurezza dei cittadini e vita quotidiana, Pianificazione, urbanistica e sicurezza urbana, Per una città sicura, etc). L'Università di Urbino ha ospitato, su proposta del Forum Italiano per la Sicurezza Urbana, un Master in Management delle politiche integrate di sicurezza.
Fra le materie proposte troviamo "Marketing della polizia: polizia di
prossimità" e "Legislazione regionale e diritto degli Enti Locali su
sicurezza e polizia locale". Presso il Dipartimento di Architettura e
Pianificazione del Politecnico di Milano opera il Laboratorio Qualità Urbana e Sicurezza,
che ha collaborato alla stesura della normativa europea CEN TR/14383-2
"Prevenzione della criminalità e del disordine attraverso urbanistica e
progettazione degli edifici": la pianificazione del territorio deve
«facilitare il lavoro delle forze dell' ordine» con l'obiettivo di
«rafforzare la sorveglianza spontanea con la sorveglianza organizzata
(polizia)"» (indirizzo web documento, clicca qui).
http://bruce-crossover.blogspot.it/2012/06/guerra-e-universita.html
http://ienaridensnexus.blogspot.it/2012/06/guerra-e-universita.html
Il settore della domotica (scienza che si occupa dell' applicazione di
sensori e tecnologie di automazione all'ambiente domestico e, in
generale, antropizzato) si segnala, oltre che per la sua rilevanza in
vista di un controllo tecnologico sempre più pervasivo (dalla
pianificazione territoriale alla "pianificazione comportamentale"), per
l'odiosa pratica di sperimentare i propri ritrovati su fasce sociali
deboli ed isolate: anziani e "disabili". Presso la Facoltà di Ingegneria
dell'Università di Trento troviamo il CunEdI, Centro Universitario Edifici Intelligenti,
che negli anni ha sviluppato una "casa educativa" dotata di sistemi
domotici tali da «affidare all'abitazione il compito di sviluppare le
capacità organizzative della persona, presupponendo una risposta attiva
alla segnalazione di anomalie, allarmi o ritardi nell'adempimento di
attività prefissate». La casa è disseminata di sensori ambientali che la
rendono in grado di "reagire" in caso di comportamenti "anomali" o
qualora non vengano svolte determinate operazioni, inoltre 1`utente" si
interfaccia costantemente con uno schermo che gli segnala le sue
"mancanze", che vengono comunicate in tempo reale ad un "centro di
controllo". Il potenziale coercitivo che deriverebbe da un'applicazione
di tali tecnologie è facilmente immaginabile; la somiglianza con 1984
di Orwell è decisamente indicativa. Gruppi di ricerca dediti allo
studio della domotica sono presenti all'interno di vari dipartimenti di
Ingegneria (ambiti affini sono inoltre la meccatronica e l'ingegneria
dell'automazione).
Telerilevamento
I1 telerilevamento è un sistema di tecnologie che sfrutta in modo
combinato sensori di diversa natura (ottici, radar, laser), sistemi
satellitari e tecniche di elaborazione di segnali ed immagini al fine di
fornire informazioni relative all'ambiente e al territorio. Un settore,
quindi, dalle molteplici ricadute e campi di applicazione
(principalmente monitoraggio e controllo). Il laboratorio di
Telerilevamento (Remote Sensing Laboratory - RS Lab) è un gruppo
di ricerca del DISI (Dipartimento di Ingegneria e Scienza
dell'Informazione della Facoltà di Ingegneria di Trento) che si occupa
principalmente di analisi dei dati prodotti da missioni satellitari per
il controllo dei territori su scala locale, nazionale e continentale. In
particolare il gruppo, coordinato da Lorenzo Bruzzone, s'inserisce in
un filone di ricerca legato allo sviluppo di metodologie e strumenti
utili all'analisi di immagini telerilevate multitemporali, ossia
acquisite sulla stessa area geografica in momenti temporali diversi e,
possibilmente, sempre più ristretti (analisys of multitemporal imaging).
Il gruppo Rs Lab - che in un articolo del 2008 firmato da Bruzzone
auspicava l'utilizzo delle immagini telerilevate al fine di documentare
le violenze governative sulle popolazioni del Tibet e l'anno successivo
firmava una convenzione per collaborare attivamente al progetto COSMO-SkyMed
ed altri progetti legati al "monitoraggio e la sicurezza europea" (in
particolare il progetto di controllo delle frontiere denominato LIMES)
- è un esempio di come l'ideologia pacifista, sotto le vesti della
pretesa "neutralità" scientifica, possa convivere con progetti di natura
militare.
COSMO-SkiMedNegli ultimi anni in italia si è registrato un notevole incremento di finanziamenti pubblici e privati per progetti di ricerca nel campo di telerilevamento da collegare certamente alla progettazione di COSMO-SkiMed. Si tratta di un mastodontico programma italiano di osservazione satellitare terrestre concepito per scopi duali (civili e militari), promosso dal Ministero della Ricerca e finanziato da Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e Ministero della Difesa. Questo progetto è operativo dal 2011, data di lancio dell'ultimo dei 4 satelliti interamente progettati e realizzati coinvolgendo aziende controllate da Finmeccanica, in particolare Thales Alenia Space, che si è occupata anche della realizzazione del sistema terrestre per la gestione dei dati. COSMO-SkiMed è costata finora 1.137 milioni di euro e recentemente è al centro di un'inchiesta riguardante la gestione delle infromazioni provenienti dal monitoraggio satellitare, per la parte militare ufficialmente affidata allo Stato maggiore della Difesa, ma di fatto gestita da una struttura di intelligence militare denominata RIS e svincolata dal controllore di organismi parlamentari.Fonte:mensile anarchico Invece, n° 14 Aprile 2012
http://bruce-crossover.blogspot.it/2012/06/guerra-e-universita.html
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