Il doping per i bambini

ott 11, 2012 0 comments

Di Mazzetta
La cronaca conferma i peggiori timori e le più spaventose previsioni.  Dal 2007 nel nostro paese sono stati autorizzati i farmaci per la cure dell’ADHD, una malattia relativamente nuova che secondo molti non è nemmeno una malattia. Dice Wikipedia che: “il Disturbo da deficit d’attenzione ed iperattività (ADHD) è un disturbo del comportamento caratterizzato da inattenzione, impulsività e iperattività motoria che rende difficoltoso e in taluni casi impedisce il normale sviluppo e integrazione sociale dei bambini”.
Nel corso dell’aspro dibattito che ha aperto la strada al riconoscimento e alla cura di questa malattia, i sostenitori della sua esistenza non hanno potuto dimostrarla che attraverso una descrizione che si riduce alla fotografia del comportamento nei bambini e negli adolescenti che devia dalla media e inclina all’iperattività fino alla rivolta e all’asocialità. I bambini iperattivi, quelli distratti e con difficoltà a concentrarsi come quelli eccessivamente scontrosi sono tutti sospetti malati. Gli scettici non possono fare a meno di notare che l’elenco dei sintomi che dovrebbero inquadrare la malattia, è la riproposizione di comportamenti tipici di bambini e adolescenti e chiedersi perché i medici abbiano sentito il bisogno di tracciare una riga sospesa nel vuoto, oltre la quale i pazienti riconosciuti sono messi a dieta di psicofarmaci, che peraltro presentano forti controindicazioni.
Qualcuno l’ha chiamata la sindrome dei bambini vivaci, ma le statistiche statunitensi dicono invece che l’insieme delle diagnosi non restituisce l’immagine di una platea di bambini naturalmente agitati, quanto piuttosto di bambini scossi dalle difficoltà della vita e di pazienti ai quali i medicinali per la cura dell’ADHD sono prescritti in parte come unica risposta possibile a casi sociali e in parte come evidente conseguenza di una pressante promozione e opera di lobbysmo dei produttori di farmaci.
L’ADHD costa oggi agli Stati Uniti una cifra compresa nella forbice tra i 36 e i 69 miliardi  di dollari all’anno, una cifra spaventosa che per i sostenitori della sua esistenza diventa la dimostrazione stessa che chi ne lamenta la pericolosità è nel giusto,  secondo Ruth Hughes ad esempio, CEO di Children and Adults with Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder: “L’ADHD spesso non è preso sul serio, ma è un disordine serio con un impatto serio. I dati economici ci dicono che non è un problema creato artificialmente”. In realtà dicono solo che ci si spende una quantità enorme di soldi, il che di per sé non aggiunge alcun valore clinico o scientifico a favore della tesi che si tratti di una vera malattia da curare con psicofarmaci.

I dati epidemiologici negli Stati Uniti dimostrano prima di tutto che si tratta di una malattia che non colpisce segmenti di popolazione identificabili per le loro peculiarità biologiche, ma invece investe chi vive particolari condizioni sociali. Colpisce di più i poveri, i figli di genitori soli in misura doppia rispetto ai figli di coppie conviventi, quasi tre volte di più i maschi delle femmine e di più gli adolescenti dei bambini. La malattia è stata diagnosticata a quasi il 10% dei bambini e adolescenti americani, con significative differenze anche tra stato e stato (da un minimo del 5% al 15.6% del North Carolina) e ogni anno è stato registrato un aumento significativo delle diagnosi sul precedente. La malattia è diagnosticata e curata maggiormente ai bambini poveri coperti dal Medicaid, che copre il costo integrale delle cure, che sfiora i 20.000 dollari all’anno per paziente. Ad aumentare il numero di differenze di radice culturale e sociale c’è poi il dato per il quale gli ispanici ne soffrirebbero la metà di quanto accada ai bianchi anglofoni e ai neri, che probabilmente rispecchia una maggiore tolleranza culturale per le intemperanze caratteriali, ma forse anche una diversa visione della genitorialità declinata alla latina.
A materializzare i timori di quanti da anni temono e paventano una medicalizzazione inutile e dilagante dei minori, è arrivato ieri un articolo del The New York Times,  dal titolo inequivocabile: “Disordine dell’attenzione o no, pillole per aiutare a scuola“. Lo scenario inquietante rilevato dai cronisti vede i medici prescrivere i medicinali per la cura dell’ADHD  per compensare il disagio sociale e migliorare il rendimento degli alunni più problematici e dei più svantaggiati ovvero dei più poveri.

Il dottor Michael Anderson ad esempio, un pediatra della contea di Cherokee a Nord di Atlanta, non ha avuto alcuna difficoltà ad ammettere che quando sente che i suoi pazienti a basso reddito hanno figli in difficoltà alle elementari prescrive l’Adderal, uno psicofarmaco che aumenta la concentrazione e il controllo degli impulsi, ammettendo tranquillamente di falsificare la diagnosi di ADHD e di usarla come una scusa per quella che ritiene la vera malattia: la scarsa resa scolastica in scuole inadeguate che non possono aiutare gli alunni in difficoltà. La sua spiegazione, pur a prima vista razionale, è agghiacciante: “Non ho molta scelta, abbiamo deciso come società che è troppo costoso modificare l’ambiente per i bambini, quindi dobbiamo modificare i bambini”.  Il disturbo, così come i deficit scolastici, può essere risolto anche con terapie non farmacologiche, con l’assistenza di psicologi, insegnanti, tutor e l’attenzione degli stessi genitori, la pillola è a tutti gli effetti una scorciatoia, un succedaneo chimico in luogo di quell’amore e quell’attenzione che sono i rimedi naturali alla grande maggioranza dei disagi psicologici e delle difficoltà dell’infanzia e dell’adolescenza.
Secondo alcuni esperti il fenomeno è diffuso, anche se in misura minore, anche tra i figlie dei più abbienti ed è strettamente correlato all’impostazione competitiva del sistema americano e dalla pressione di genitori desiderosi di vedere i figli affermarsi fin da piccoli. Secondo il dottor Ramesh Raghavan, un ricercatore dei servizi mentali per i minori della Washington University di St. Louis: “Noi come società non abbiamo voluto investire in efficaci interventi non-farmaceutici per questi bambini e per le loro famiglie. Stiamo efficacemente forzando gli psichiatri dei servizi comunitari ad usare l’unico strumento a loro disposizione, che sono i medicinali psicotropi”.
Il ricorso a questo “strumento” sembra bene accetto da molte famiglie e a questo proposito c’è anche da tenere a mente che gli agitati, nelle scuole americane, rischiano di essere arrestati dalla polizia in classe e di finire in galera per intemperanze o episodi che nelle nostre scuole si risolvono di norma con una ramanzina e il concerto tra genitori e insegnanti. Possibilità che giustamente terrorizza le famiglie non meno dei voti bassi e di un curriculum scolastico modesto. Tutti problemi che si risolvono con una pillola e nell’esaurimento delle responsabilità di educatori e genitori con la prescrizione del farmaco.
La famiglia dei Rocafort è assistita dal dottor Anderson, ha quattro figli e tutti assumono quotidianamente psicofarmaci. Adderall per Alexis ed Ethan (9 e 12 anni) e Risperdal per Quintn e Perry (entrambi 11 anni). Poi per tutti  Clonidine alla sera, un blando sonnifero per contrastare l’effetto dei due medicinali e farli dormire. L’anno scorso Quintn aveva le allucinazioni, sentiva le voci e aveva impulsi suicidi, effetti collaterali noti dell’Adderall. Allora Anderson l’ha ricoverato per una settimana in una clinica per malattie mentali e gli ha prescritto il Risperdal. Dei quattro figli solo a Quintn e Perry è stata diagnosticata “davvero” l’ADHD cinque anni fa, gli altri figli prendono i medicinali perché i genitori sono convinti che migliorino i loro risultati a scuola e non si sono spaventati nemmeno per l’esperienza di Quinth con l’Adderal: “Se si sentono positivi, felici, socializzano di più e li aiuta, perché non dovresti? Perché no?”. Affermazioni che fanno stracci delle conclusioni di Ruth Hughes sopra ricordate, dimostrando che le medicine per l’ADHD hanno diffusione e mercato ben al di là della platea delle potenziali vittime della discussa patologia.
Ancora più inquietante è che negli Stati Uniti le diagnosi per ADHD abbiano seguito una tendenza in sincrono con i pesanti tagli all’istruzione, perché facendo qualche calcolo spannometrico pare proprio che i soldi risparmiati dal bilancio dell’istruzione escano poi dal capitolo della sanità per andare a ingrassare i produttori di questi psicofarmaci. Per i quali è bene ricordare che non sono ancora conosciuti gli effetti a lungo termine, nessuno infatti è ancora  in grado di dire che adulti saranno i bambini che hanno trascorso l’infanzia sotto l’effetto di questi psicofarmaci e perché sono stati introdotti da troppo poco tempo e quindi  i milioni di bambini già trattati (non solo negli Stati Uniti) non hanno ancora avuto il tempo di arrivare alla vecchiaia e di diventare un utile riscontro statistico.
Con 20.000 dollari all’anno a bambino ci si possono fare un sacco di cose. Con 80.000 dollari per quattro figli i Rocafort potrebbero probabilmente esplorare altre opzioni, così come potrebbero farlo le scuole più povere se ricevessero 20.000 dollari a testa per il 15% dei bambini che frequentano queste strutture e che sono in cura per l’ADHD. Si preferisce invece depauperare l’istruzione e i servizi sociali e “compensare” i disagi e le sofferenze che ne derivano ai bambini e agli adolescenti con gli psicofarmaci, deprimendo in tal modo sia l’offerta formativa che quella educativa.
Un’offerta che si risolve nell’insegnare ai ragazzi, e in particolare ai figli dei più poveri, ad assumere psicofarmaci e a doparsi per rientrare nella “normalità”, fingendo di poter competere in una corsa truccata che a loro riserva solo il ruolo di perdenti e una pillola utile a sedarli e farne comparse obbedienti, di uno spettacolo che ha già riservato tutti i ruoli migliori ai più fortunati e benestanti. Senza considerare che adolescenti abituati fin da piccoli al doping per superare le difficoltà, difficilmente diventeranno adulti capaci di vivere diversamente e liberarsi dalla schiavitù di farmaci che oltretutto danno dipendenza.
Quale senso abbia spendere in farmaci per sedare le conseguenze di un disagio invece che per sanare quel disagio, è chiaro soprattutto a quelle aziende che hanno speso capitali in lobbysti e relazioni pubbliche con la comunità medico-scientifica. I politici, i genitori preoccupati per il futuro dei pargoli e i media non sembrano avere ancora afferrato i termini del problema o, se mai lo hanno fatto, di trovarci nulla di male. C’è invece di che inquietarsi di fronte a una tale eversione generalizzata della logica e del senso, piegate dalla potente pressione degli interessi organizzati che spingono per l’impiego degli psicofarmaci sui bambini, avendo in mente solo il benessere dei bilanci delle proprie società. Ma ancora più inquietante è che a difendere la società e la collettività da minacce del genere, non ci sia nessuno o quasi.

Fonte:http://www.giornalettismo.com/archives/533585/il-doping-per-i-bambini/

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