Di Pascal Riché
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Björk
non era la sola star islandese in
tournée in Francia,
questa settimana. Il presidente del paese Ólafur
Ragnar Grímsson,
69 anni, era in visita ufficiale, con l’aureola dei successi
islandesi contro la crisi,
nonché del ruolo che ha giocato in questa correzione di rotta
spettacolare con cui ha deciso, in due riprese, di consultare
il popolo via referendum.
Ha incontrato per 35 minuti François Hollande. Si dice che abbiano
parlato di tre questioni: «La ripresa economica in Islanda e le
lezioni da trarne; la cooperazione economica nell’Artico e
l’esperienza islandese in materia di geotermia - che assicura il
90% del riscaldamento degli abitanti – e come potrebbe essere
sviluppata in Francia». Il presidente islandese, attualmente al suo
quinto mandato, cammina sopra una piccola nuvola. Quattro
anni dopo l’esplosione delle banche islandesi, il suo Paese è
ripartito più forte della maggior parte degli altri in Europa, e ha
appena vinto una battaglia davanti alla giustizia europea.
Lo Stato islandese - ha
giudicato la corte dell’Associazione europea di libero scambio
(EFTA) a fine gennaio,
era nel suo diritto quando si è rifiutato di rimborsare i
risparmiatori stranieri che avevano piazzato i propri soldi presso le
sue banche private.
Rue89: Ha
richiamato assieme a François Hollande le lezioni da trarre dalla
correzione di rotta islandese. Quali sono?
Ólafur
Ragnar Grímsson: Se
fate un paragone con quanto è successo in altri paesi dell’Europa,
la riuscita esperienza islandese si è avverata in modo diverso su
due aspetti fondamentali.
Il
primo, consiste nel fatto che noi non
abbiamo seguito le politiche
ortodosse che
da trent’anni in qua si sono imposte in Europa e nel mondo
occidentale. Noi
abbiamo lasciato che le banche fallissero, non le abbiamo salvate, le
abbiamo trattate come le altre imprese.
Abbiamo instaurato dei controlli sui cambi. Abbiamo cercato di
proteggere lo stato previdenziale, rifiutandoci di applicare
l’austerità in modo brutale.
Seconda
grande differenza: abbiamo
subito preso coscienza del fatto che questa crisi non era solamente
economica e finanziaria. Era anche una profonda crisi politica,
democratica e perfino giudiziaria.
Ci siamo quindi impegnati in riforme politiche, riforme democratiche,
e anche riforme giudiziarie [un procuratore speciale, dotato di una
squadra, è stato incaricato di investigare sulle responsabilità
della crisi, ndr].
Questo ha permesso alla nazione di affrontare la sfida, in modo più
ampio e più globale rispetto alla semplice attuazione di politiche
finanziarie o di bilancio.
L’Islanda
ha 320mila abitanti. Queste politiche sono esportabili in paesi più
grandi, come la Francia?
Innanzitutto,
esito sempre nel dare raccomandazioni concrete ad altri paesi, perché
ho sentito una caterva di pessime raccomandazioni propinate al mio!
Quindi
avete perseguito una politica di austerità rigidissima...
Senz’altro.
Ma uno degli assi delle politiche
ortodossesta
nel tagliare aggressivamente le spese sociali. Non è quel che
abbiamo fatto. Abbiamo invece protetto i redditi più modesti.
L’
approccio ampio alla crisi – politico e giudiziario – può essere
seguito anche in altri paesi oltre all’Islanda. La misura che è
impossibile applicare in Francia, così come in altri paesi della
zona euro, è evidentemente la svalutazione monetaria.
Per
quanto riguarda il non aver salvato le banche, l’Islanda
aveva davvero scelta? Sarebbe possibile lasciar affondare le grandi
banche europee?
Le
nostre banche erano importanti. Pesavano dieci volte la taglia della
nostra economia. Io non dico che la dimensione non conti, ma se la si
mette in termini di dimensioni, allora chiedetevi: il Portogallo è
un paese grande o piccolo? La Grecia è un paese grande o
piccolo?
Se
potessimo fare altra cosa che lasciare che le nostre banche
fallissero, questo è un dibattito ancora aperto. In ogni caso tutto
ciò corrispondeva a una scelta. Quelle banche erano private: perché
mai delle imprese nel settore bancario dovrebbero essere trattate in
modo diverso da altre aziende private di altri settori come le
tecnologie informatiche, internet, le compagnie aeree? Queste
imprese sono indispensabili alle nostre società, eppure lasciamo che
falliscano. Anche le compagnie aeree. Perché mai le banche sono
trattate come dei luoghi santi?
La
risposta tradizionale è che il loro fallimento possa trascinarne
altri e mettere in ginocchio il sistema finanziario: c’è
un rischio
“sistemico”.
Sì,
questa è l’argomentazione che viene avanzata; eppure badate a cosa
è successo in Islanda con il caso Icesave.
Il governo britannico e quello dei Paesi Bassi, sostenuti dall’Unione
Europea, pretendevano che i contribuenti islandesi rimborsassero i
debiti di questa banca privata, anziché lasciare che il liquidatore
fosse il responsabile di tali debiti. A quel punto ho fatto fronte a
una scelta: era il caso di sottoporre la questione a referendum? Un
esercito di esperti e di autorità finanziarie mi dicevano: se voi
autorizzate la gente ad esprimersi, isolerete finanziariamente
l’Islanda per decenni. Uno scenario catastrofico senza fine... Ero
davanti a una scelta fondamentale: da una parte gli interessi della
finanza, dall’altra la volontà democratica del popolo. E io mi son
detto: la
parte più importante della nostra società –
e l’ho detto anche ai nostri amici europei – non
sono mica i mercati finanziari. È la democrazia, sono i diritti
umani,
lo Stato di diritto.
Quando
siamo di fronte a una profonda crisi, sia quella islandese sia quella
europea, perché non ci dovremmo lasciar guidare sulla via da seguire
dall’elemento più importante della nostra società? Ed è quel che
ho fatto. Dunque abbiamo indetto due
referendum.
Nel primo trimestre dopo il referendum, l’economia è ripartita. E
in seguito la ripresa è continuata. Ora abbiamo un tasso di crescita
annuale del 3%, uno dei più elevati in Europa. Abbiamo un tasso di
disoccupazione del 5%, uno dei tassi più bassi. Tutti gli scenari
dell’epoca, di un fallimento del sistema, si sono rivelati fasulli.
Il mese scorso c’è stato l’epilogo: l’EFTA ci ha dato ragione.
Non solo la nostra decisione era giusta, era democratica, ma era
anche giuridicamente fondata. I
miei amici europei dovrebbero riflettere su tutto questo con uno
spirito aperto: come mai erano loro in errore politicamente,
economicamente e giuridicamente? L’interesse di porsi questa
questione è più importante per loro che non per noi, perché
continuano, loro, a lottare contro la crisi applicando a se stessi
certi principi e certi argomenti che usavano contro di noi.
Il
servizio che può rendere l’Islanda è dunque quello di essere una
sorta di laboratorio, che aiuta i Paesi a rivedere le politiche
ortodosse fin
qui da essi seguite. Io non vado certo a dire alla Francia, la
Grecia, la Spagna, il Portogallo o l’Italia: fate così, fate cosà.
Ma la lezione dataci dall’esperienza da questi quattro anni in
Islanda è che gli scenari allarmisti, delineati come delle certezze
assolute, erano fuori bersaglio.
L’Islanda
è diventata un modello, una fonte di speranza per una parte
dell’opinione
pubblica, specie la sinistra anticapitalista. La cosa le fa piacere?
Sarebbe
un errore interpretare la nostra esperienza attraverso una vecchia
chiave di lettura politica. In Islanda i partiti di destra e di
sinistra sono stati unanimi sulla necessità di proteggere il sistema
sociale. Nessuno, né a destra né al centro, ha difeso quelle che
voi definireste come “politiche
di destra”.
È
la via
nordica...
Sì,
è la via
nordica.
E se osservate cosa è accaduto nei Paesi nordici in questi ultimi 25
anni, hanno tutti conosciuto delle crisi bancarie: Norvegia,
Finlandia, Svezia, Danimarca e infine Islanda, dove sempre abbiamo un
momento di ritardo. La cosa interessante è che tutti i nostri paesi
si sono ripigliati relativamente presto.
Rimpiange
di aver incoraggiato lei stesso la crescita della banca negli anni
2000? All’epoca, lei paragonava l’Islanda
a una nuova Venezia o Firenze?
Fra
l’ultimo decennio del XX secolo e i primi anni del XXI, si sono
sviluppate imprese farmaceutiche o di ingegneria, tecnologiche,
bancarie e hanno procurato ai giovani islandesi istruiti, per la
prima volta nella nostra storia, la possibilità di lavorare su scala
globale senza dover lasciare il proprio Paese.
Anche
le banche facevano parte di questa evoluzione. Se la cavavano bene.
Nel 2006 e nel 2007, abbiamo sentito le prime critiche. Io mi sono
chiesto a quel punto: cosa dicono mai le agenzie di rating?
Redigevano per le banche islandesi un ottimo certificato di salute.
Le banche europee e americane facevano tutte affari con le nostre
banche e desideravano farne sempre di più!
Le
agenzie di rating, le grandi banche, tutti in generale, avevano
torto. E anche io. È stata un’esperienza costosa, che il nostro
Paese ha pagato pesantemente: abbiamo conosciuto una grave crisi,
delle sommosse... Ce ne ricorderemo a lungo. Oggi
il pubblico continua ad ascoltare le agenzie di rating. Bisognerebbe
chieder loro: se vi siete sbagliate così tanto sulle banche
islandesi, perché dovreste avere ragione oggi sul resto?
Quelle
che lei definisce “sommosse”,
non fanno forse parte del necessario “approccio politico” alla
crisi, da lei descritto un instante fa?
Non
la direi in questa maniera. L’Islanda è una delle democrazie più
stabili e sicure al mondo, con una coesione sociale solida. E
tuttavia, a seguito del fallimento finanziario, la polizia ha dovuto
difendere giorno e notte il Parlamento, la Banca Centrale e gli
uffici del Primo Ministro... Se una crisi finanziaria può, in un
lasso di tempo brevissimo, far precipitare un tale paese in una così
profonda crisi politica, sociale e democratica, quali potrebbero
essere le sue conseguenze in paesi che abbiano un’esperienza più
corta di stabilità democratica? Posso dirvi che durante le prime
settimane del 2009, al mio risveglio, il mio cruccio non era quello
di sapere se avremmo ritrovato o meno la strada per la crescita,
bensì quello di sapere se non avremmo assistito al crollo della
nostra comunità politica stabile, solida e democratica.
Ma
noi abbiamo avuto la fortuna di poter rispondere a tutte le domande
dei manifestanti: il governo è caduto, sono state organizzate delle
elezioni, sono state sollevate dall’incarico le direzioni della
Banca Centrale e dell’autorità di sorveglianza delle banche,
abbiamo istituito una commissione speciale d’inchiesta sulle
responsabilità, ecc.
C’è
un’idea, diffusa nelle società occidentali, secondo cui i mercati
finanziari devono
rappresentare la
parte sovrana della nostra economia e
dovrebbero essere autorizzati
a ingrandirsi senza controllo e nella direzione sbagliata,
con l’unica responsabilità di fare profitti e svilupparsi...
Ebbene, questa
visione è pericolosissima.
Quel che ha dimostrato l’Islanda è che quando un tale sistema ha
un incidente, fa derivare tragiche conseguenze politiche e
democratiche.
In
questo approccio politico, un progetto di nuova Costituzione è stato
elaborato da un’assemblea
di cittadini eletti. Sembra che per il Parlamento non sia urgente
votarlo prima delle elezioni del 17 aprile. Pensate che questo
progetto abortirà?
Con
la crisi, il bisogno di rinnovare il nostro sistema politico ha
trovato una sua espressione. Si è dunque attivato un processo
di riforma costituzionale assai innovativo:
è stata eletta un’assemblea di cittadini, i cittadini sono stati
consultati via
internet...
ma, secondo me, non hanno avuto abbastanza tempo: appena quattro
mesi.
Solo
dei superuomini avrebbero potuto realizzare un testo perfetto in soli
quattro mesi.
In
questi ultimi sei mesi, c’è stato un dibattito in Parlamento, con
dei propositi... il Parlamento adotterà forse certe misure, o forse
si accorderà su un modo di proseguire il processo, o adotterà una
riforma più completa.
Nessuno
lo sa.
La
svalutazione ha aiutato la ripresa dell’Islanda. L’idea
di raggiungere un giorno l’euro è stata scartata per sempre?
La
corona è stata una parte del problema che ha portato alla crisi
finanziaria, ma è stata anche una parte della soluzione: la
svalutazione ha reso i settori dell’esportazione (pesca, energia,
tecnologie...) più competitivi, così come il turismo, certamente.
C’è
una cosa di cui non si è ancora preso bene coscienza nei paesi
dell’Europa continentale : i
Paesi del Nord dell’Europa –
Groenlandia, Islanda, Gran Bretagna, Norvegia, Danimarca e Svezia
- non
hanno adottato l’euro, a
parte la Finlandia. Nessuno
di questi Paesi si è unito all’euro.
E comparativamente, questi Paesi si sono comportati meglio,
economicamente, durante gli anni successivi alla crisi del 2008, dei
paesi della zona euro, eccetto la Germania.
È
quindi piuttosto difficile sostenere che l’adesione all’euro sia
una condizione indispensabile per il successo economico. Da parte
mia, non vedo nessun nuovo argomento che possa giustificare
l’adesione dell’Islanda all’euro.
Banche
addio... oppure i giovani islandesi che abbiano fatto studi superiori
vi troveranno un impiego?
Le
banche, che siano in Islanda o all’estero, sono diventate delle
imprese molto tecnologiche, che danno lavoro a numerosi ingegneri,
informatici e matematici. Attraggono talenti da settori innovativi,
quali le alte tecnologie o le tecnologie dell’informazione.
Dopo
la caduta delle banche, questi talenti si sono ritrovati sul mercato
del lavoro. In sei mesi, avevano tutti trovato lavoro … E le
imprese tecnologiche o di design hanno avuto un rapidissimo sviluppo
nel corso degli ultimi tre anni. Centinaia di nuove aziende sono
state create. Sono ben lieto di constatare che le giovani generazioni
hanno risposto alla crisi in modo molto creativo.
Morale
della favola: se
volete che la vostra economia sia competitiva nel settore delle
tecnologie innovative, il fatto di avere un grosso settore bancario,
ancorché capace di notevoli prestazioni, è una cattiva notizia.
Complimenti per il post.
RispondiEliminaGrazie.Ciao :).
EliminaIl SOLE24 ORE del 6 settembre 2011 riporta una notizia che mi ha fatto riandare con la mente ad un episodio analogo verificatosi a cavallo fra il dicembre 2003\gennaio 2004. Ma veniamo alla notizia “… rompe con i sindacati sulle esternalizzazioni…”. Una prestigiosa banca dal 1° novembre cederà attività e 230 lavoratori a una newco partecipata; le sigle sindacali non hanno gradito l’operazione. Eppure nel 2003\2004 la stessa identica banca, cedeva l’operativo Tesoreria Enti pubblici e i 239 lavoratori e queste stesse sigle firmarono il relativo Accordo di cessione senza una sola parola, come mai? Voglio riepilogare i fatti con tanto di prove “storiche”.
RispondiElimina1) Il 16 dicembre 2003 a seguito di uno sciopero dei lavoratori della Tesoreria comunale di Torino che contestano la esternalizzazione del servizio operativo, il Comune di Torino convoca la III° Commissione Comunale alle ore 15.00.
2) Alla riunione partecipano i rappresentanti sindacali; quelli della banca e della società di servizi che assumerà il servizio operativo e ben pochi rappresentanti del Consiglio comunale. Questo servizio si differenzia da tutti gli altri servizi bancari per alcuni motivi: Consiste nel maneggio di denaro pubblico. E’ rivolto alla collettività. E’ regolato dalla normativa di contabilità pubblica
3) La seduta veniva registrata: Tutte le OO.SS dissero NO, un NO secco all’esternalizzazione.
4) I vertici nazionali delle sigle sindacali (ad eccezione di FABI e SALLCA-CUB) ribaltando il giudizio espresso in Commissione, il 21.1.2004 firmano a Milano con la banca… la cessione.
5) L’Accordo di cessione fonda la sua fattibilità giuridica, non su una legge ma su “Approfondimenti ministeriali”. Questi nessun lavoratore ceduto li ha mai visti.
6) Alcuni lavoratori non convinti, scrivono al Ministero dell’Economia per avere lumi. Il Ministero risponde: Estraneo all’operazione.
7= La lettera ministeriale è diffusa fra i lavoratori e molte autorità comunali: Risultato, come se nulla fosse.
Siamo nel 2013 e nonostante, la Legge sulla Trasparenza Amministrativa, non si riesce a visionare questi “Approfondimenti”. Hanno scritto a diversi parlamentari: Nessuno. ripeto nessuno che mi abbia degnato di una risposta. Chiunque può verificare le fasi della vicenda solo che lo voglia! Ci sarà un parlamentare o un consigliere regionale che presenti un’Interrogazione in merito? Finora questo non è avvenuto.
Ti dò la mia completa solidarietà per ciò che ti è successo,Ivette.Purtroppo in Italia siamo stati per troppo tempo governati da una massa(non tutti,chiaramente) di cialtroni che hanno fatto solo gli interessi delle lobby a loro vicine e dei cosiddetti poteri forti.Speriamo che cambi qualcosa con il nuovo governo,e ci sia finalmente il cambiamento che i cittadini stanno aspettando da troppo tempo...Che un parlamentare o un consigliere regionale presenti un'interrogazione in merito all'episodio descritto,per ora, la vedo dura ma la speranza è sempre l'ultima a morire e quindi ti consiglio di non arrenderti.Ciao:).
EliminaGRAZIE e mi sono unita al BLOG.
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