Macron vuole controllare il Sahel. E fa di tutto per fermare l’Italia

set 2, 2018 0 comments

Di Lorenzo Vita
La notte del 27 agosto due Mirage dell’aviazione francese hanno colpito lo Stato islamico in Mali uccidendo Mohamed Ag Almouner, uno dei leader dell’organizzazione terrorista nel Grande Sahara. Il ministero della Difesa francese ha annunciato che, insieme a lui, sono morti anche due civili, una donna e un ragazzo.
L’attacco del 27 agosto è stato l’ennesimo raid della Francia in Mali ed è inserito all’interno dell’Operazione Barkhane, una delle più imponenti campagne militari delle forze armate di Parigi. Sono 4mila i soldati francesi impegnati in tutta l’Africa occidentale, in quel Sahel che è diventato centrale nelle dinamiche del terrorismo e dell’immigrazione clandestina. E Parigi non ha mai fermato le manovre.

L’impegno francese nel Sahel

Le forze francesi sono presenti in Sahel con migliaia di uomini, ma anche con aerei, droni e mezzi pesanti. E le loro basi, oltre a quelle delle principali città dei Paesi della regione, sono anche composte di campi nel deserto, le plateformes désert relais, che aiutano le forze speciali a operare in piena autonomia rispetto alle truppe di terra.
Un impegno profondo che dura da decenni. Perché la Francia, dal Sahel, non se n’è mai andata realmente. Negli anni Ottanta del secolo scorso, ci fu la prima missione delle forze di Parigi: l’Opération Épervier. Una missione lunghissima. Le truppe francesi arrivarono nell’area come forza dissuasiva per dividere l’esercito libico da quello del Ciad. Poi, negli anni, il loro scopo è stato quello di contrastare l’insorgenza dell’islamismo.
Quando la Épervier stava per concludersi, la Difesa francese optò per un’altra missione: l’Opération Serval. Questa volta, le truppe furono inviate in Mali. Una missione in cui la Francia aveva investito molto, considerando il dispiegamento di uomini, aerei e anche mezzi navali: ma la missione è conclusa un anno dopo con risultati tutto sommato miseri.
Proprio per ovviare al magro bottino dell’operazione Serval, Parigi, nel 2014, ha optato per un approccio diverso. E fu così che nacque l’operazione Barkhane, arrivata oggi al suo terzo anno di attività e in cui furono inglobati anche gli uomini e gli obiettivi della Serval.
L’Opération Barkhane si differenzia dalle altre operazioni per l’estensione del territorio in cui agisce: il Sahel. Non è più un’operazione in un singolo Paese, ma in tutti gli Stati che compongono il cosiddetto G-5 Sahel e cioè: Burkina Faso, Ciad, Mali, Niger e Mauritania. È pertanto una missione diversa, orientata su un contrasto a un fenomeno regionale e che fa comprendere come per la Francia l’idea non è più quella di operare in un singolo contesto nazionale ma in tutta l’area di suo interesse strategico. L’obiettivo non è più il singolo pericolo nel singolo Stato, ma assumere il controllo di tutta l’Africa occidentale legata a Parigi.

Il Sahel, per la Francia, è essenziale

Il Sahel è essenziale. Lì c’è tutto: interessi economici, politici, strategici e di sicurezza. E per questo la Francia non intende lasciare la regione. Perdere il controllo di quei territori sia contro i nemici interni – in particolare le frange ribelli di alcuni Paesi e i gruppi islamisti – sia rispetto ai partner” occidentali, si tratterebbe di una sconfitta strategica per la Francia. Non è un problema di leadership, è un problema quasi esistenziale per Parigi.
Basti pensare a un dato, che riguarda le materie prime, per capire gli interessi francesi nell’area:il 30% dell’uranio che le centrali nucleari francesi utilizzano per fornire energia al Paese, proviene dal Niger. Se la società francese Areva produce energia elettrica in Francia, è grazie alle miniere africane. E lì, i gruppi ribelli hanno intensificato i loro sforzi perché sanno che significa colpire il cuore degli interessi dei transalpini.
Se a questo si aggiunge il problema del terrorismo islamico che la Francia ha poi direttamente sul suo territorio, ma soprattutto la volontà di non perdere i tradizionali rapporti post-coloniali con quei Paesi, si capisce perché la Francia non solo vuole avere il pieno controllo delle operazioni militari nell’area, ma vuole anche decidere quali partner occidentali far collaborare nella regione. E noi italiani, non siamo di loro gradimento.

Macron non vuole l’Italia in Sahel

L’Italia non piace a Emmanuel Macron. E adesso, con il governo composto da Lega e Movimento Cinque Stelle, la situazione non è certo migliorata. È dai tempi del governo Gentiloni che l’Italia ha messo piede in Niger con poche decine di uomini. Il ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ha già chiarito che il governo italiano intende dare seguito ai propositi della missione per evitare che questi uomini rimangano pochi e confinati in un’area di una base americana.
La missione Misin, guidata dal generale di brigata Antonio Maggi, dovrebbe avere più uomini, una sede operativa autonoma, e maggiore capacità operativa. Ma finora, tutto (o quasi) sembra remare contro i nostri militari. Ed il “merito” è di Macron.
A confermare lo zampino di Parigi nella mancata operatività della nostra missione italiana in Niger, arrivano le indiscrezioni di alcuni funzionari francesi a Il Foglio. Come spiega il quotidiano, “la Francia non condivide gli obiettivi italiani, e dunque starebbe rendendo più difficile del previsto l’azione di Roma tramite i suoi contatti con alcune figure chiave del governo nigerino”. Insomma, c’è una vera e propria sfida fra Italia e Francia.
Sempre secondo Il Foglio, “Jean-Yves Le Drian, ministro degli Esteri francese e molto influente nella strategia africana di Macron, non gradirebbe l’intervento autonomo italiano nel nord del paese, che interferirebbe con gli equilibri in Libia, Stato con cui il Niger confina nella parte settentrionale”.
Lo Stato maggiore francese ha più volte dichiarato che è ben contento che i partner occidentali partecipino in Niger. Ma non è certo un caso che Macron abbia preferito siglare un accordo con la Gran Bretagna per l’arrivo di un centinaio di uomini e elicotteri piuttosto che appoggiare il nostro intervento, nonostante (in teoria) siamo entrambi Stati dell’Unione europea. E questo perché l’Italia sta cercando di scalfire l’influenza francese in Niger: obiettivo che non hanno gli altri partner occidentali.
Del resto le elezioni non sono lontane. Il Niger andrà al voto nel 2021 e il presidente Mahamadou Issoufou non potrà ricandidarsi. La sfida è, almeno fino adesso, tra Hassoumi Massaoudou, ministro delle Finanze, e Mohamed Bazoum, ministro dell’Interno, che è molto vicino a Jean-Yves Le Drian. L’Italia sta iniziando ad aumentare il suo supporto al governo nigerino attraverso gli aiuti umanitari. E non è un strategia secondaria in un Paese devastato dalle epidemie. E questi aiuti sono stati apprezzati dal presidente e dal suo entourage. E questa corrispondenza fra Roma e Niamey dà molto fastidio al presidente Macron.

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