La guerra per il porto di Beirut

ago 12, 2020 0 comments

Di Lorenzo Vita

Duemilasettecento tonnellate di nitrato d’ammonio scaricate da una nave e rimaste immagazzinate in deposito nel porto di Beirut. Qualche segnalazione da parte delle autorità portuali lasciata cadere nella polvere dei cassetti di chi di dovere. Anni di oblio di quel carico finché qualcosa – forse dei saldatori o forse qualcosa di diverso – innesca una miccia che devasta il porto di Beirut, Gemmayzeh e lacera il cuore del Libano.
La capitale libanese non ha ancora quantificato i danni. Le autorità provano a capire di cosa si tratti ma l’impressione è che la verità non sarà mai del tutto appurata. Troppi gli interessi in gioco, i rischi politici, economici e sociali. Beirut brucia in questi giorni e il Libano vive una crisi economica figlia di un sistema ormai al collasso, dove parte del Paese chiede un cambiamento drastico, che assomiglia a un regime change. Uno stravolgimento che nasce da quel porto ormai raso al suolo e che rappresenta la chiave di tutto, dell’inizio come della fine.

Il porto decide il destino del Libano

Il porto di Beirut è per il Libano uno snodo cruciale. La maggior parte dell’import-export entrava e usciva dal Libano attraverso i terminali della capitale ed era da sempre una delle principali via d’accesso del Mediterraneo orientale e al Medio Oriente. E di certo chi voleva avere (e chi vuole ancora) le chiavi del Libano non può che passare per quell’hub di cui ora si contano i morti e le macerie.
Oggi dal porto di Beirut parte un triplo binario attraverso cui si snoda il futuro del Libano. Qui ha avuto origine il tutto, rappresentato da quella nave Rhosus partita dalla Georgia e forse diretta in Mozambico – diciamo forse perché dal Paese africano sono arrivate in tal senso delle smentite – con annesso carico di nitrato d’ammonio stipato nel silo deflagrato la scorsa settimana. E le indagini partiranno proprio da questo: da ciò che era stipato nel porto, come veniva controllato e come è stato innescato l’incendio. Un’inchiesta statale, su esplicita richiesta dei vertici libanesi, che vogliono evitare a tutti i costi che l’inchiesta diventi da statale a internazionale. Per orgoglio, sicuramente, perché il Libano si considera naturalmente uno Stato pienamente in grado di operare un’indagine, ma anche per evitare che dall’indagine internazionale si passi al controllo internazionale. Un pericolo soprattutto per le fazioni politiche e militari che compongono il mosaico libanese, preoccupate dal fatto che altre potenze esterne – anche attraverso organizzazioni internazionali – possano mettere Beirut e il suo porto sotto la propria egida.

Sradicare Hezbollah dall’hub libanese

La questione è chiaramente di primaria importanza. Per le autorità libanesi, che si trovano a dover far rispettare con estrema difficoltà il proprio potere sul porto di Beirut, ma soprattutto pere Hezbollah e i nemici internazionali della milizia sciita, che da tempo hanno individuato nell’hub marittimo della capitale uno snodo fondamentale dei suoi traffici. Le informazioni attualmente disponibili fanno propendere per una grave negligenza generale (documenti Reuters parlano anche della presidenza a conoscenza del nitrato d’ammonio nel porto) ma nessuno sembra puntare il dito direttamente contro Hezbollah. Tuttavia, ed è quello su cui adesso molti puntano per minare la milizia di Nasrallah, nessuno può credere che Hezbollah non fosse a conoscenza della quantità di nitrato d’ammonio sbarcata dalla Rhosus. Particolare da non trascurare perché metterebbe sullo stesso piano le autorità civili con il partito-milizia. A questo proposito, l’Atlantic Council ha confermato questa linea anti Hezbollah ricordando che il governo americano ha messo sotto osservazione Wafiq Safa, capo della sicurezza del Partito di dio, per la sua influenza sulla gestione del porto. Una questione di particolare rilevanza, su cui puntano anche molti analisti americani che, non a caso, iniziano a porre l’accento sul controllo del porto di Beirut da parte delle forze sciite. Lo dimostra Fox News, sito apertamente avverso a Hezbollah, che in un articolo ha rilevato come diverse fonti affermino che molte delle operazioni che si svolgevano nel porto erano sotto il controllo “non ufficiale” del partito, molte delle quali illegali. Mentre altri vedono nel porto delle capitale del Libano come un possibile luogo di approdo per i traffici di armi legati anche alla Siria, e che partono dall’Iran.

Le interferenze esterne e il controllo sul Libano

L’accusa sui traffici di Hezbollah unita a quella sulla presenza di depositi di armi degli sciiti nelle città libanesi sono le accuse con cui in molti vogliono scardinare il dominio della milizia nelle sue roccaforti. Partire dal controllo del porto post-esplosione potrebbe essere fondamentale, al pari del monitoraggio sulle riforme interne e sulla ricostruzione dello stesso hub. La corsa alla sua ricostruzione, come quella per gli aiuti umanitari, è già una lotta politica per avere le chiavi di una parte essenziale del Paese e il suo futuro. In questo senso, le parole dell’ambasciatore russo in Libano, Alexander Zasypkin – che ha messo in guardia sulle “interferenze negli affari interni del Libano sotto la copertura di una catastrofe umanitaria” – risuonano come un avvertimento importante. Perché è chiaro che Mosca parli da diretta interessata visto che il Libano è una delle porte del Mediterraneo e oggetto (ennesimo) di un’eterna contesa che decide il destino della regione.

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