Intelligence e guerra, così l’Occidente si è spaccato sull’Ucraina

mar 7, 2022 0 comments


Di Andrea Muratore

Sull’effettiva possibilità che la Russia potesse invadere l’Ucraina le intelligence europee si sono per diversi mesi dimostrate scettiche circa le informazioni di prima mano che le potenze dell’Anglosfera, Stati Uniti e Regno Unito in primis, fornivano loro. Certamente, sotto il profilo politico non si può dire che nemmeno le intelligence di Regno Unito e, soprattutto, Usa escano vincitrici dalla questione perché il decisivo congiungimento con la strategia dei governi, quello di Washington innanzitutto, di prendere la palla al balzo e fissare chiare linee rosse a Vladimir Putin sui rischi connessi all’invasione non c’è stato. Ma questo è un settore della sfera decisionale che non pertiene l’intelligence nemmeno quando si parla delle pervasive comunità di oltre Atlantico che, sotto il profilo operativo, non hanno invece sbagliato un colpo: rilanciandosi dopo gli shock del Covid e dell’Afghanistan gli apparati dell’intelligence americana hanno monitorato le truppe russe mentre prendevano posizione ai confini con l’Ucraina, avvertendo in tempo sui rischi di invasione.

Gli apparati di Washington hanno a lungo provato a coinvolgere le controparti europee in un confronto serrato sul tema. Al centro della scena l’ambasciatore del dialogo, William Burns, diplomatico chiamato a guidare la Cia proprio in virtù della grande conoscenza del dossier russo e certamente non ascrivibile ai falchi nemici del Cremlino, e soprattutto Avril Haines, “zarina” delle spie che ricopre la carica di Director of National Intelligence nell’amministrazione Biden.

Con l’avvicinarsi dell’inverno Londra e Washington hanno iniziato a voler condividere le informazioni ottenute nel canale privilegiato dei Five Eyes, l’alleanza delle intelligence dell’Anglosfera estesa a Australia, Nuova Zelanda e Canada creando un nuovo gruppo di cinque Stati includente Francia, Germania, Italia. I pivot della politica europea, rappresentati nei tavoli convocati dalla Haines dai rispettivi direttori operativi, si sono confrontati a più riprese con gli alleati. “Alle discussioni ristrette intorno al rischio di una guerra in Ucraina hanno partecipato il capo britannico del Joint Intelligence Committee, il responsabile tedesco dei servizi segreti presso la Cancelleria tedesca, il coordinatore francese dell’intelligence francese”, nota Repubblica. “L’Italia era rappresentata dal capo del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, Elisabetta Belloni”.

Shashank Joshi, analista specializzato in questioni di difesa dell’Economistha segnalato su Twitter le rivelazioni che già in quei mesi iniziavano a profilarsi come effettiva premessa dell’operazione russa: dal viaggio emergenziale di Burns a novembre che lo ha portato a incontrare le autorità d’intelligence russe a Mosca alla chiara e netta presa di posizione di Richard Moore, direttore del MI6 britannico, che nel suo primo discorso pubblico da capo del Secret Intelligence Service aveva avvisato Mosca sul sostegno Nato all’integrità territoriale dell’Ucraina, le spie dell’Anglosfera avevano iniziato a parlare. In un certo senso per avvertire anche decisori politici che non hanno dato seguito a molte mosse se non per via comunicativa fino all’invasione di Putin, ma anche per fare pressione sui colleghi europei. Molto più scettici sul tema, come ricorda il quotidiano diretto da Maurizio Molinari: “Gli europei hanno aspettato lo scoppio dell’offensiva per mandare armi” mentre Londra e Washington iniziavano già dalla fine dell’autunno il sostegno a Kiev.

Leggendo la relazione del Dis recentemente consegnata alle Camere, la differenza di vedute emerge plasticamente: la parola Ucraina vi compare solo tre volte, e i servizi italiani non hanno messo un focus specifico sull’opzione dell’invasione pur indicando giustamente che è “nello spazio post-sovietico che si è intensificata la volontà russa di riaffermare la propria primazia, considerando le Repubbliche ex sovietiche come il perimetro minimo di sicurezza che garantisce profondità strategica all’azione esterna di Mosca e alla sua volontà di essere riconosciuta fra le grandi potenze mondiali”. Lassismo o errore di valutazione? No netto sul primo fronte, un no con distinguo sul secondo: il caso dei servizi italiani vale anche per le controparti europee. La differenza capacità di analisi si basa soprattutto sulla maggiore focalizzazione economico-informativa dell’attività dei nostri apparati rispetto a quelli di Usa e Regno Unito, dotati di una maggiore capacità di elaborazione sul fronte militare. Altra differenza chiara è la predominanza dell’assetto spaziale e della geospatial intelligence di matrice anglofona, che ha dato il punto decisivo nella sorveglianza su Mosca.

Dunque Londra e Washington ci avevano visto giusto sul fronte dell’intelligence, e i fatti andati in scena nei mesi in cui queste riunioni avvenivano lo confermano. Negli Stati Uniti nello stesso tempo la Cia avviava infatti una svolta iper-comunicativa, mentre anche a Londra Richard Moore apriva a cambiamenti nell’approccio dell’intelligence dichiarando la sua esplicita volontà di portarla più vicina ai cittadini. Intelligence ha la sua radice in intellego, richiama alla necessità di comprendere il senso profondo delle questioni. Mai quanto oggi i servizi segreti sono la ghiandola pineale degli Stati: pur non determinando essi stessi le strategie, possono dare le informazioni decisive per costruirle. Regno Unito e Stati Uniti hanno agito in un senso, l’Europa nell’altro, ma la morale della favola è che, in fin dei conti, la differenza di vedute ha avuto come corrispondenza un’analoga timidezza politica, e l’Ucraina è finita invasa.

I servizi segreti anglo-americani hanno sdoganato la maggiore potenza di fuoco informativa della storia recente contro la Russia e hanno, in un certo senso, dato due lezioni sia ai governanti occidentali che al mondo: la prima è l’indispensabilità di un sistema di spionaggio efficace per capire e prevedere al meglio gli scenari in un’era globalizzata sempre più contraddistinta come secolo dell’intelligence. La seconda è che però i gangli dell’azione sono comunque gestibili solo dai decisori di ultima istanza. In caso di loro pavidità, anche le migliori analisi rischiano di essere inefficaci. Un importante monito per il mondo che verrà.

FONTE: https://it.insideover.com/difesa/intelligence-e-guerra-cosi-loccidente-si-e-spaccato-sullucraina.html

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