Il femminino cristiano

giu 8, 2015 0 comments
Di Lawrence Sudbury
Ad un’analisi comparata il Cristianesimo si presenta, insieme alle altre “Religioni del Libro”, come il sistema spirituale più fortemente improntato alla “mascolinizzazione della Divinità”: le sue basi si fondano su un rigido monoteismo maschile (derivato dall’Ebraismo), la Rivelazione avviene per mezzo di un Messia uomo e la presenza divina nel contingente si esplica attraverso un “pneuma”, lo Spirito Santo, che ha anch’esso, pur nella sua indifferenziazione sessuale, connotazioni prettamente maschili sia all’interno della sfera grammatico-semantica sia nell’immaginario popolare.
Insomma, lungo tutto l’arco storico dello sviluppo cristiano il femminino sacro appare, dal punto di vista prettamente teologico, completamente assente.
Né c’è da stupirsene: in fondo il Cristianesimo deriva dalla religione di un popolo come quello ebraico la cui cultura sociale si connota come assolutamente androcentrica, con una rigida separazione tra uomo e donna e, soprattutto, con una forte gerarchizzazione dei ruoli, tale per cui la sfera del Sacro viene vissuta come rigorosamente limitata, dal punto di vista della funzione cultuale, alla parte maschile, sia in ambito sacerdotale prima della distruzione del Tempio (il levitismo risulta propriamente destinato alla sfera solare-mascolina), sia, dopo la diaspora, in ambito di studio e insegnamento (il rabbinato è esclusivamente maschile sia nell’Israelitismo tradizionale che in quello classico, mentre l’Israelitismo riformato che, in alcune sue accezioni accoglie la componente femminile  sia nelle Bar Sheva che nella struttura rabbinica non è, in fondo, che una costruzione moderna, databile al XIX secolo, in cui l’inserzione delle donne nella funziona sacrale risulta, più che altro, una concessione alle mutate condizioni sociali).
Come se questo non bastasse, la riflessione proto-teologica e la propagazione della fede cristiana avvengono, inizialmente, ad opera di Paolo di Tarso, proveniente dalla tradizione farisaica e quindi evidentemente legato ad un’ottica di separazione delle funzioni tale per cui giunge a ricordare alle donne che nell’assemblea liturgica devono tenere il velo e “devono tacere” (1 Corinti 14:34), rimanendo sottomesse al marito (pur in un’ottica di sostanziale pari dignità)[1]. C’è addirittura chi è arrivato ad accusare Paolo di evidente misogenia, in particolare per la sua volontaria scelta celibataria, in netta contrapposizione con la consuetudine rabbinica[2].
In realtà, tratti di misoginia (o, comunque, di esclusione femminile) sono rinvenibili lungo tutto l’arco storico cristiano, indipendentemente dalla suddivisione in diverse Denominazioni.
Così, pur essendo le donne, fin dall’inizio della Chiesa paleocristiana, membri importanti del movimento, gran parte delle informazioni sul loro lavoro viene trascurato all’interno del Nuovo Testamento, evidentemente scritto e interpretato da uomini. In età patristica, gli uffici di insegnante e ministro sacramentale sono riservati agli uomini nella maggior parte delle Chiese d’Oriente e Occidente: Tertulliano, il grande padre latino del II secolo, scrive che “Non è permesso ad una donna parlare in chiesa. Né può insegnare, battezzare, fare offerte, né rivendicare per sé alcuna funzione propria di un uomo, meno di tutti l’ufficio sacerdotale[3], mentre Origene (185-254 d.C.), dichiara che “anche se è concesso alla donna di mostrare il segno della profezia, tuttavia non le è permesso di parlare in un’assemblea[4].
Come naturale sviluppo di questa concezione, sia nella Chiesa cattolica che in quella ortodossa orientale, il sacerdozio e i ministeri ad esso legati (Vescovo, Patriarca, Papa) vengono limitati agli uomini: il primo Consiglio di Orange (441) arrivò, infine, a proibire in toto anche l’ordinazione delle donne al diaconato.
E’ vero che con l’istituzione del monachesimo cristiano altri ruoli influenti si resero disponibili per le donne (a partire dal V secolo, i conventi cristiani fornirono l’opportunità ad alcune di sfuggire dalla vita strettamente matrimoniale, acquisendo alfabetizzazione e cultura e giocando un ruolo religiosamente più attivo), ma la posizione femminile, nonostante gli apporti teologici di figure come Santa Caterina da Siena e Santa Teresa d’Avila (in seguito dichiarate Dottori della Chiesa Cattolica Romana), rimase comunque defilata e, in fin dei conti, sempre sottomessa.
Le cose non cambiarono con la Riforma, anzi, con l’abolizione luterana dei conventi femminili, visti come “luoghi di schiavitù”, si tolse alle donne anche l’unica possibilità di partecipazione attiva alla vita ecclesiastica, mentre la posizione tradizionale di supremazia maschile e di ambito sacrale riservato unicamente alle componente virile (almeno fino al XX secolo e con eccezioni all’interno di alcuni gruppi come i Quaccheri e i Movimenti pentecostali), rimase inalterata: John Knox (1510-1572)  giunse a negare alle donne il diritto di governare anche in ambito civile[5], il teologo battista John Gill (1690-1771) commentò 1 Corinzi affermando che, sulla base di Genesi 3:16. “la ragione per cui le donne non devono parlare in chiesa, o predicare e insegnare pubblicamente, o essere interessate nella funzione ministeriale è perché questo è un atto di potere e autorità, di regola e di governo e quindi contrario a quella soggezione che Dio nella sua legge impone alle donne rispetto agli uomini[6] e John Wesley (1703-1791), fondatore del Metodismo, pure permettendo che le donne potessero parlare pubblicamente nelle riunioni della Chiesa se “sotto uno straordinario impulso dello Spirito[7], sostanzialmente confermò la leadership maschile.
Dopo questa brevissima disamina (che, per altro, tace i numerosissimi commenti di autorevoli guide di tutte le Chiese cristiane sulla “diabolicità” femminile, causa prima di cacce alle streghe protrattesi fino al XVIII secolo), potrebbe sembrare impossibile che, in nuce, nascoste da innumerevoli tentativi di negazione, esistano, alla base del Cristianesimo, parallele all’idea di una divinità mascolina, anche consistenti tracce di culto del femminino sacro.
Se, però, sgombriamo la mente da ogni sovrastruttura, non risulta difficile vedere come vi siano diverse divinità femminili che possono vantare il titolo di “dea cristiana”: Maria, la madre di Gesù, è la prima figura che viene in mente, ma c’è anche Maria Maddalena, la “Dea dei Vangeli” che la Chiesa ha rifiutato di riconoscere come moglie di Cristo e, probabilmente, co-Messia (e va notato che vi sono addirittura teorie, in realtà poco provate, riguardo al fatto che, “Maria”, cioè in ebraico “Miriam”, potrebbe non essere un nome, ma un titolo delle sacerdotesse della Dea a Siloe[8]) e sussiste il fatto, quantomeno strano, che il termine ebraico per “Spirito Santo”, “Ruah”, sia femminile…
È così impossibile pensare allo Spirito Santo come una dea cristiana e non un membro di una misteriosa invisibile Trinità tutta maschile? O, più provocatoriamente, non è possibile ipotizzare, parallelamente alla Trinità maschile, una Trinità femminile di Dio-madre (simboleggiata da Maria), Dio-figlia (Maria Maddalena) e Dio-spirito (Ruah)?
In fondo, lo Spirito Santo compare al battesimo di Gesù in forma di colomba, cioè dell’animale che è stato a lungo un simbolo della Dea nel Vicino Oriente antico e che mai prima di quel momento viene utilizzato per simboleggiare un Essere divino maschio.
Altrove, d’altra pare, si è già analizzato come l’idea di una divinità femminile non fosse, in realtà, così aliena alla cultura ebraica il cui il Cristianesimo si forma. Possiamo aggiungere che nel Vecchio Testamento, una “dea Sophia” è più volte menzionata nei Proverbi, nel Cantico dei Cantici e nelSiracide e se anche nel Cristianesimo greco-romano, probabilmente a causa dei pericoli dello gnosticismo, le immagini bibliche di un Dio al femminile vennero presto soppresse, nelle parti in cui si parla di Ruah troviamo che è proprio questo “spirito” che all’inizio della creazione crea vita abbondante nelle acque, che in seguito rende il grembo di Maria fecondo e che, in tutta la Bibbia ha il compito di prendersi cura dei fedeli, di consolarli e di guarirli, incarnando tutti gli aspetti che, atavicamente, sono propri della Dea Madre.
È, dunque, possibile ipotizzare che la tradizione patriarcale dominante abbia solamente prevalso su altre tradizioni, portando ad una visione della donna come destinatario passivo della creazione di Dio e di Maria come prototipo dell’umanità redenta, in una totale eclisse della concezione di Dio come madre.
Così i Cristiani di tutto il mondo si sono abituati a pensare il “Padre Nostro” come preghiera per eccellenza, non rendendosi conto che essa affronta solo il lato maschile della Divinità e rifiutando di ammettere la possibilità che il Signore avesse una moglie, come apparirebbe logico pensare, ad esempio leggendo nella Genesi che Dio Padre, in alcuni passi, si rivolge chiaramente a qualche compagno, ad esempio con espressioni quali “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza[9]“. In un numero notevole di tradizioni religiose il pensare (come, comunque, hanno fatto alcuni mistici ebraici) ad una sessualizzazione della creazione non comporterebbe alcun problema, ma se davvero dobbiamo ritenere, proprio sulla base del versetto della Genesi citato, che esista una similitudine profonda tra Divinità e esseri umani, è proprio sulla base della sessualizzazione umana che non risulterebbe poi così scandaloso interpretare l’atto creativo come un atto sessuale tra una divinità maschile fecondante e una divinità femminile fecondata, che, conseguentemente, formerebbero una prima coppia divina.
Ma torniamo al testo evangelico propriamente detto. Nel tentativo di svelare il mistero delle “Marie” del Nuovo Testamento, è importante notare, anzitutto, che i Vangeli sono nati in un secondo tempo, come registrazione di una storia orale: anche senza addentrarci nello specifico cronologico, è un fatto che gli studi più recenti[10] confermino quanto sia improbabile che qualcuno degli scrittori del Nuovo Testamento in realtà conoscesse il Gesù storico dal momento che le prime testimonianze evangeliche, le Epistole di Paolo, furono scritte intorno al 51-57 d.C. e gli altri libri vennero probabilmente redatti alla fine del I secolo. Molti dei racconti biblici su Maria madre di Dio e Maria Maddalena furono, dunque, scritti 50 anni o più dopo la morte di Gesù e se a ciò si aggiunge che tutti gli studiosi concordano sul fatto che evidentemente l’attuale Bibbia ha subito aggiunte, eliminazioni e modifiche di traduzione nel corso dei secoli e che, in realtà, i suoi testi come li conosciamo oggi non possono dirsi interamente compilati fino al IV secolo d.C., non è difficile comprendere come si possa essere ingenerato un passaggio tra piano simbolico e piano letterale, con una modifica anche sostanziale dei significati. Diventa, allora, fondamentale cercare di re-inserire i racconti evangelici nel loro contesto storico-culturale per formulare ipotesi sulla visione protocristiana.
Proprio sulla base di documenti storici altri, non legati direttamente al dato religioso, veniamo a scoprire che Erode Antipa divenne signore del Paese attraverso l’antico rito dello “Sposalizio Sacro” con l’Alto Regina Marianna, una sacerdotessa della Triplice Dea Mari-Anna-Ishtar, che era popolarmente adorata al tempo di Cristo e che aveva come santuario le tre torri del tempio o “Magdala”[11]. Non è forse una informazione che ci mette una “pulce nell’orecchio”? Non viene forse naturale riflettere su ciò che sappiamo realmente (o su quanto poco sappiamo) delle “Marie” del Nuovo Testamento?
È nel tentativo di riempire i numerosi “buchi” delle nostre conoscenze in materia che, nel tempo, sono state sviluppate una serie teorie, seppur non sempre basate su prove circostanziali, riguardo a queste enigmatiche figure.
Una delle più ardite (e inquietanti) tra esse riguarda la possibilità che Maria madre di Dio e Maria Maddalena fossero la stessa persona[12]. La presenza, piuttosto insistita, di una visione della divinità come madre e sposa allo stesso tempo all’interno della teologia delle religioni precristiane mediorientali può, teoricamente, permettere una indagine in questo senso né osta l’apparente contraddizione nella visione teologica più strettamente dogmatica tra verginità della madre di Dio e concezione popolare della Maddalena come peccatrice redenta, nel momento in cui, negli stessi corpi teologici, troviamo più volte il titolo di “vergine” conferito a dee sessualmente attive o a loro rappresentanti simboliche (ad esempio, a Babilonia, le prostitute sacre del Tempio sono spesso chiamate “vergini” con chiaro riferimento ad una verginità morale sebbene non fisica)[13]. Va, inoltre, notato come l’unione rituale di una sacerdotessa del tempio e di un re “disposto a morire per il suo popolo”, abbia come risultato, all’interno del mondo mesopotamico (da cui, è il caso di ricordarlo, gli Ebrei derivano) i cosiddetti “nati da vergine” o “figli divini”[14], esattamente con gli stessi termini con cui Cristo viene identificato. Su queste basi, è ipotizzabile, quantomeno a livello di possibilità e sulla scorta di risultanze storico-sociali coeve (ad esempio il matrimonio con Giuseppe, che negli apocrifi viene indicato come un vecchio che sposa una bambina, così come d’uso proprio per le bambine dedicate nei templi per preservarne la purezza fino all’età adulta), che Maria madre di Dio fosse stata dedicata a un tempio della Dea quando era piccola, divenendo una sacerdotessa atta al matrimonio ierogamico. Nel momento in cui un numero piuttosto notevole di prove indica, come vedremo, la possibilità che la Maddalena fosse una sacerdotessa del Tempio, potremmo anche arrivare a pensare ad una identità tra le due figure, identità che, comunque, rimane non provabile storicamente.
Molto più provabile è, invece, appunto, la qualifica sacerdotale della Maddalena. Quattro elementi evangelici possono essere interpretatiti senza forzature in questo senso.
Il primo è proprio il suo titolo di “Maddalena”, quasi identico a “Magdala”, che si è osservato in precedenza essere il nome della triplice torre del tempio della dea Mari-Anna-Ishtar, cosicché letteralmente, “Maria di Magdala” significherebbe “Maria del Tempio della Dea”, cosa che, di per sé, non contrasta neppure con la tradizione cristiana che vuole Maria come originaria della città di “Migdal”, nota come “il villaggio di colombe”, perché Migdal era il luogo in cui venivano allevate le colombe sacre proprio per il tempio della dea[15].
In secondo luogo, Maria viene popolarmente conosciuta come una prostituta, così come le sacerdotesse della dea erano definite “prostitute sacre”, o, in forma più alta, “hierodulae”. Queste prostitute erano considerate malvagie dai leaderebraici del tempo (non tanto su base sessuofobica ma come rappresentanti di una divinità altra ed eretica rispetto a Geova) e numerosi commentari rabbinici le additano al disprezzo pubblico[16], il che spiegherebbe perché l’associarsi di Gesù ad una donna di questo tipo provocherebbe il biasimo dei suoi discepoli.
In terzo luogo, Maria Maddalena è identificata in Marco e Luca come la donna posseduta da sette demoni che Gesù scaccia da lei. Ebbene, i “sette demoni” erano da sempre parte di un rituale simbolico del tempio della dea conosciuto come “la discesa di Inanna”, una delle cerimonie più antiche a noi note, registrata anche nell’Epopea di Gilgamesh e spesso praticata nel tempio di Gerusalemme di Mari-Anna-Ishtar[17].
Infine, forse l’elemento più interessante in questo senso è l’unzione di Gesù con olio sacro da parte della Maddalena, un evento che (stranamente) viene registrato in tutti e quattro i Vangeli del Nuovo Testamento a indicarne la sua pregnanza di significato: l’unzione della testa del Gesù con olio (come descritta in Marco 14:3-4) è un simbolo inconfondibile delle “Nozze Sacre”, la più importante cerimonia eseguita dalle sacerdotesse del tempio della dea madre.
L’immagine più comune, al di fuori del dogma cattolico, relativa alla Maddalena, è comunque quella di “sposa di Cristo” e non vi è di che stupirsi: molti dei Vangeli gnostici (venerati, in fase iniziale, dalla Chiesa cristiana e poi estromessi dal cannone) ritraggono Maria Maddalena come “discepolo più amato di Cristo“, riferendo che Gesù spesso la baciava sulla bocca e che arrivò a chiamarla “donna che sa tutto“, tanto che alcuni discepoli andarono da lei per conoscere gli insegnamenti di Cristo dopo la morte di quest’ultimo[18]. Nei Vangeli, la Maddalena è raffigurata seduta ai piedi di Gesù ad ascoltare i suoi insegnamenti (Luca 10:38-42) e come colei che unge con olio i piedi del Cristo asciugandoli con i suoi capelli (Giovanni 11:2, 12:3) e se tre dei Vangeli riportano che era ai piedi della croce, tutti e quattro i Vangeli affermano che era presente alla tomba di Gesù e il Vangelo di Giovanni sottolinea che dopo la risurrezione Cristo apparve a Maria Maddalena per prima: statisticamente Maria Maddalena è menzionata nel Nuovo Testamento di gran lunga più spesso che Maria madre di Dio.
Margaret Starbird[19] ha dimostrato con numerose prove che, sulla base di questi dati, Maria Maddalena fosse a lungo (almeno fino al XIV o XV secolo) percepita da molti Cristiani come sposa di Cristo e madre di suo figlio e, soprattutto, come essa fosse una principessa di Betania, della linea genealogica di Beniamino (e la nobiltà di sangue era una dei requisiti essenziali per divenire sacerdotessa del tempio).
Ciò fa sì che anche dal punto di vista politico una “ierogamia” tra una principessa-sacerdotessa della dea e un discendente della linea davidica avrebbe avuto senso. Da tempo molti studiosi hanno ampiamente documentato[20] il fatto che Gesù fosse sostenuto dai gruppi nazionalisti che volevano rovesciare i Romani e mettere un “figlio di Davide” sul trono di Gerusalemme (e, infatti, vi sono consistenti elementi per ritenere che Egli fu crocifisso non per bestemmia, cosa che sarebbe stata assurda da parte dei Romani, ma per sedizione, come dimostrano sia il tipo di punizione comminata, tipica per gli insorti, sia il “titulus crucis”) e se davvero una fazione forte di zeloti avesse voluto Gesù sul trono, di certo avrebbe visto di buon occhio che fosse sposato con una moglie “adatta”. In quest’ottica la Starbird suggerisce che le nozze di Cana fossero, in realtà, la storia simbolica del matrimonio ierogamico di Gesù con Maria di Betania: potrebbe non essere casuale che “Cana” sia la radice di “zelota” in ebraico (“Cananaios”)  e la trasformazione dell’acqua in vino potrebbe rappresentare la nuova alleanza per il popolo di Gerusalemme tra stirpe di David e seguaci del culto della dea[21]. D’altra parte, la ierogamia, una cerimonia per rinnovare la terra, era, a volte, seguita dalla morte simbolica del Redentore/re/sposo, chiamato a sacrificare il proprio sangue per il popolo e ciò era particolarmente presente proprio nel culto di Ishtar, in cui lo sposo della dea, veniva unto (una pratica pre-ierogamica già attestata nell’Epopea di Gilgamesh), sacrificato simbolicamente, scendeva agli inferi, riceveva le lamentazioni della sposa (vicariamente la sacerdotessa di Ishtar) e risorgeva a nuova vita per la salvezza dei fedeli. In questo quadro, avrebbe un forte significato anche il fatto che il Cristo preconizzi il proprio sacrificio proprio nel momento nell’unzione da parte di Maria (Marco 14:8-9)[22].
Di fatto, vi sono forti evidenze di un culto congiunto di Maria Maddalena e della Madonna (e non è senza significato il fatto che la Maddalena fosse sempre dipinta a destra della Madonna, segnalandone, così una importanza maggiore) almeno fino alla campagne contro gli Albigesi e vi è addirittura chi pensa che Notre Dame fosse dedicata a lei e non alla Madre di Dio[23].
Che senso avrebbe avuto un culto così diffuso e prolungato nel tempo (l’ultimo tempio dedicato alla Maddalena, nel sud della Francia, fu distrutto solo nel 1781) se Maria di Magdala fosse stata “solo” una santa come altre, una seguace di Cristo come moltissime presenti nella schiera di discepoli che accompagnava Gesù?  Non possiamo, piuttosto, pensare ad una tradizione sotterranea, combattuta dalla Chiesa ufficiale, che vedeva nella Maddalena una co-redentrice, il lato femminino della redenzione e la sposa ierogamica di Cristo?
Una ulteriore traccia di questo culto, costretto dalla Chiesa alla clandestinità, è presente nella devozione alla Madonna Nera, che ha prosperato in numerose aree d’Europa. Perché una Madonna nera? Molte speculazioni sono state fatte a tale proposito ma quelle che appaiono più verosimili hanno base scritturale: la sposa del Cantico dei Cantici dice: “Sono nera ma bella, o figlie di Gerusalemme” (Cantico dei Cantici 1:5), mentre, riguardo ai principi caduti di Gerusalemme, troviamo “Ora il loro aspetto è più nero di fuliggine, sono riconosciuti per le strade” (Lamentazioni 4:8): insomma, ancora una volta abbiamo a che fare con uno sposalizio e con la nobiltà davidica… Se poi teniamo conto che numerosi studi[24] hanno teso a collegare le “Vergini nere” al culto di Iside (spesso rappresentata come “nera” perché in lutto per la morte del dio Osiride), molto popolare al tempo di Cristo, di nuovo ci troviamo a fare i conti con aspetti del culto della dea e del “femminino sacro” che, scacciati dalla “porta” del Cristianesimo, sembrano essere rientrati dalla “finestra”, attraverso allusioni, dissimulazioni, tracce rimaste nonostante gli sforzi censori della Chiesa ufficiale.
Intendiamoci, sempre e solo di tracce si parla (e spesso tracce diversamente interpretabili) e, conseguentemente, di possibilità, ipotesi di ricerca, labili indizi.
Eppure, tali indizi esistono e apparirebbe assurdo non tenerne conto solo in virtù di una forzata “mascolinizzazione del Divino” che sembra contrastare con la visione religiosa di tutti gli altri popoli antichi, inclusi quelli dai quali proprio il Cristianesimo ha avuto origine.
Note

[1] Ef. 2, 25-33
[2] K.M. Rogers, The Troublesome Helpmate, University of Washington Press 1966, pp. 48 ss.
[3] Tertuliano, De Virginibus Velandis, Cap.91.
[4] Origene,  Fragmenta ex Commentariis in Epistulam I ad Corinthios, II.16.
[5] J. Knox, Il Primo Squillo di Tromba Contro il Mostruoso Governo delle Donne, Unicopli 2003, passim.
[6] J. Gill, An Exposition of the New Testament, Vol.II, Cap.6.
[7] J. Wesley, Notes on the New Testament, Vol.2.
[8] R.E. Friedman, The Hidden Face of God, HarperOne, 1996, pp. 63 ss.
[9] Gen. 1:26.
[10] Da Loisy a Kirby a Kirsop Lake, etc.
[11] K. Hassel, The Formation of the Christian Gospel, Michigan State University Press 1999, pp. 119 ss.
[12] Come si ipotizza, ad esempio, in R. Klunbach, The Virgin Prostitute, Elman Publisher 1994, passim.
[13] J. Bronson, The Roots of the Mystery, Routger Press 1997, passim.
[14] Ivi.
[15] A.C. Williman, Mary of Magdala, BSSB Publishing 1990, passim.
[16] G. Davis, Ishtar, Benson&Bridget 1993, pp. 71-72.
[17] Ivi, pp. 83 ss.
[18] L. Picknett, Maria Maddalena. La Dea Occulta del Cristianesimo, L’età dell’Acquario 2005, passim.
[19] M. Starbird, The Woman with the Alabaster Jar, Inner Tradition 2001, passim.
[20] Fin dai tempi di S.G.F. Brandon, Jesus and the Zealots, Manchester University Press 1967, passim.
[21] B. Underwierd, The Christian Goddess, Eerdeman 2006, pp. 119 ss.
[22] M. Starbird, Citato, pp. 94 ss.
[23] G. Coubiard, Notre Dame, Maupass 1994, passim.
[24] Barnes, Mitula, Prozniewski , etc.

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