Wuhan e dintorni, il parere del Prof. Francesco Maglioccola

feb 27, 2020 0 comments

Intervista di Verdiana Garau a Francesco Maglioccola * per http://osservatorioglobalizzazione.it/

O.G. Professore, alla luce delle vicende delle ultime settimane, come esperto di Cina, mi piacerebbe intervistarla per restituire ai lettori una più completa visione su cosa sia la città di Wuhan e in generale la cultura cinese, essendo la città peraltro, come lei ci insegna molto legata all’Italia per tutta una serie di vicissitudini storiche.
F.M. Sì, grazie mille per l’invito. Cominciamo con il dire che sono legami molto stretti quelli tra Wuhan e l’Italia; Wuhan ha ospitato il consolato italiano all’inizio del secolo scorso fino alla fine della seconda guerra mondiale, quando i consolati stranieri in Cina non erano molti, ma noi l’avevamo. Le concessioni invece non vennero mai aperte per motivi economici che non potevamo allora sostenere e aprimmo così a Tianjin. Fummo “sostituiti” a Wuhan dagli inglesi e dai francesi. Questi ultimi sono ancora estremamente attivi nella zona e nella città di Wuhan, la loro influenza interna è abbastanza forte, data la loro pregressa presenza. 
O.G. Professore, in questi giorni non si fa altro che parlare del coronavirus, tecnicamente il Covid-19, inutile dirlo. Perché tanto panico? E soprattutto sono molte, forse troppe le voci riguardo l’origine della diffusione di questo. Dai mercati del pesce dove possa essersi sviluppato e poi guizzato all’esterno senza controllo, all’utilizzo dei pipistrelli in cucina, alla fuga dal laboratorio di ricerca, fino all’arma batteriologica. Cosa ne pensa?
F.M. Se andiamo ad analizzare tutte queste ipotesi, intanto dobbiamo fare le dovute puntualizzazioni. Innanzitutto il cosiddetto “Mercato del Pesce” non vende pesce. Si trovano tutti i prodotti agricoli della provincia e funge da mercato generale, l’utenza è particolare, è il mercato per tutti coloro che acquistano all’ingrosso,  i prezzi lì sono calmierati. I mercati a Wuhan sono tantissimi, ne esiste uno per rione, ogni quartiere ha il suo. In passato alcuni mercati sono stati chiusi per motivi igienici, questo accade spesso in Cina, ma altrettanto i provvedimenti vengono presi. Questo “mercato del pesce” nello specifico, si trova al centro della città e serve in pratica tutta la provincia. Da notare che funziona così anche per gli ospedali. Gli ospedali più affollati sono quelli del centro, i migliori, sono lì che si riversano le persone. 
Per quanto riguarda il mangiare pipistrelli, francamente sono quindici anni e forse più che frequento la Cina e ho vissuto a Wuhan gli ultimi cinque. Ho cominciato a frequentarla l’anno dopo lo scoppio della Sars. In tutti questi anni non ho mai visto mangiare nessun pipistrello. Serpenti magari sì, ma in quantità minima. Vengono talvolta impiegati per confezionare queste bevande sotto spirito, ma che vengono utilizzati piuttosto come elemento di arredo nei ristoranti. C’è un detto cinese del GuangDong che dice che a Canton “si mangia tutto ciò che ha gambe, tranne i tavoli”. Nutrirsi comunque di questi animali meno comuni in cucina resta qualcosa di molto elitario. Non è insomma affatto diffuso. Chi torna dalla Cina e racconta di aver mangiato scorpioni è sicuramente stato a Pechino nel quartiere di WanFuJing, ovvero il quartiere per stranieri. La gente comune mangia tradizionale e semplice. 
Aggiungo pertanto che come detto sopra talvolta le condizioni igieniche di alcuni mercati lasciano a desiderare. Alcuni mercati sono addirittura improvvisati, i piccoli contadini che arrivano dalla provincia sperando di vendere le loro due verdure o qualche pollo viaggiano e portano con sé gli animali vivi fin sul luogo del mercato. Una cosa divertente mi è successa una volta, ho visto un contadino che dopo aver negoziato per la vendita del suo pollo, ha inserito l’animale dentro una rudimentale e bizzarra diciamo “lavatrice” e il pollo è uscito da questo trituratore tutto bello che spennato. Certo che come qui, quando ci si rivolge al contadino, ci si fida di lui. Si comprano uova fresche o qualche animale vivo da far pasturare nel proprio cortile per poi ucciderlo per il pranzo della domenica. 
O.G. Professore, ma in Cina il cibo crudo mi risulta essere, tra le altre cose come i latticini, completamente assente dalla dieta. Conferma?
F.M. Sì confermo. Non mangiano niente di crudo, nemmeno quelle verdure che noi siamo soliti consumare crude di stagione, come le fave ad esempio. Cuociono tutto. Bollito, al vapore, fritto. O comunque conservato. Ci sono però delle osservazioni da fare, ad esempio hanno una specie diciamo di prosciutto. Questi pezzi di maiale vengono arrostiti sui carboni, tagliati a pezzettini e usati a comodo per insaporire le pietanze. Alcuni di loro però, vuoi per ignoranza o altro, usano direttamente la fiamma ossidrica per ottenere questo risultato. 
O.G. A cosa è dovuto questo ancora insistente gap culturale se non forse alla chiusura che si incontra in Cina nella diffusione delle informazioni? Nonostante tutto sono già quindici anni che il boom economico è in corso, ma sembra quasi che la popolazione che non abita le città di cui conosciamo il nome, quindi in tutte quelle province immense, viva come era qui cinquanta o settanta anni fa.
F.M. Esattamente, questo è il paragone che è necessario fare se vogliamo capire la realtà cinese. Il progresso è arrivato, ma come tutti i processi di modernizzazione che ha conosciuto la storia attraverso i secoli, sono tutti articolati e procedono con i dovuti tempi. Come anche qui da noi negli anni ’60 le campagne si sono svuotate con il riversamento della popolazione nelle città, dove poi queste persone non trovavano agiate condizioni di vita, così sta succedendo in Cina. Inoltre molti sono ancora legati alle loro tradizioni che portano dietro verso le città nelle abitudini di tutti i giorni, generando una commistione strana di comportamenti. Faccio un esempio: fui invitato una volta da una famiglia diciamo facoltosa a casa loro. Avevano una bella casa. Ma in questa casa non era stato ancora montato il riscaldamento, perciò tenevamo anche il cappotto a pranzo e a cena. Si ostinavano, per tradizione non per mancanza di mezzi, ad utilizzare il braciere, al trentesimo piano. Così come in questi edifici con terrazzino e moderne comodità c’è chi ancora si porta le galline vive appresso e non utilizza né terrazzino né comodità. 
O.G. In una recente intervista il Prof. Edward Luttwak invita tutti a demonizzare la medicina tradizionale cinese e fa presente che il rispetto forzoso verso qualsivoglia cultura può a volte essere dannoso e perciò bisognerebbe incoraggiare l’eliminazione di certe culture. Lei che ne pensa? Come viene sentita oggi ancora la cultura tradizionale e la medicina cinese tradizionale?
F.M. La cultura popolare è ancora molto sentita. I pazienti quando hanno un malanno generalmente si rivolgono all’ospedale, ma se questo è vicino. A Wuhan spesso sono le cliniche tradizionali, che altro non sono che delle drogherie, ad essere più alla portata. Quelle sono quotidianamente affollate e la gente comune tende a trasferirsi e a passarsi oralmente i rimedi e le soluzioni ricevute dal medico tradizionale. Certo è che la MTC è ancora molto in voga. Se ci si rivolge al medico la prima cosa che viene chiesta a scapito del paziente è se questo preferisca la MTC o la moderna medicina. Si lascia decidere il paziente come curarsi. La tendenza a rivolgersi agli ospedali moderni è sicuramente ad appannaggio dei più giovani che ritengono le tradizioni superate totalmente poiché si confrontano con le condizioni sociali dei loro genitori e ritengono la modernità una migliore benedizione. Inoltre da notare che come qui abbiamo i medici della mutua ai quali ci rivolgiamo prima di entrare eventualmente in ospedale, questa figura in Cina viene a mancare e mancando l’intermediario ci si rivolge piuttosto “al farmacista” di quartiere prima che ad un medico moderno o direttamente all’ospedale. Con il Covid-19 il personale medico è però sicuramente incrementato e con questo il governo locale ha comunicato alla popolazione “ veniamo noi, state a casa”. Gli ospedali non si sono poi esattamente riempiti tutti come si nota dalle foto che circolano nei media occidentali. Alcuni si, ma sono soltanto quelli più prestigiosi, ovvero i policlinici affiliati ad esempio quello della Wuhan University.  Lo scorso novembre un amico è arrivato dalla provincia a Wuhan con la madre malata. Hanno percorso diciamo un’ora di treno. Il figlio ha portato la madre nella sezione d’urgenza. Negli altri reparti non sono così attrezzati, tantomeno nella provincia. 
O.G. Ma quindi in Cina c’è interesse ad aprirsi o no? Questa loro storica e ormai più che millenaria chiusura ha generato paure e diffidenza nei confronti dell’esterno? Anche le stesse informazioni dall’occidente che fanno faticaa penetrare, non creano un rallentamento in un caso come questo di possibile e pericolosa epidemia? 
F.M. C’è interesse ad aprirsi. E mano a mano la cultura popolare viene accantonata per lasciare spazio alla modernità di penetrare e prendere campo. Recentemente mi hanno invitato a collaborare con un interessante progetto. Benché io sia architetto, ma avendo dato il mio contributo per progetti di riqualificazione e consulenze varie, mi hanno chiesto di partecipare alla messa in piedi di un museo di Medicina Tradizionale Cinese, un progetto un po’ difficile quanto ambizioso, dal momento che la maggior parte degli attrezzi come tipo i bisturi e altro pare sia andato perduto e ne abbiamo menzione e nota soltanto nei libri, spesso attraverso le immagini a noi giunte. Molto difficile anche perché la maggior parte della MTC si basa su erbe. Questa intenzione però di costituire un museo della medicina tradizionale ci dice molto sull’approccio che va prendendo la cultura cinese di oggi nei confronti del passato. 
Un altro dettaglio certamente degno di nota è che gli ospedali a Wuhan furono spesso fondati da italiani. È li anche che è morto il medico ricercatore Li Wenliang, l’eroe di 34 anni che per primo diede l’allarme sulla nuova epidemia. 
Questo ospedale festeggia quest’anno la sua fondazione. Così mi hanno chiesto di collaborare dal punto di vista storico e io ho aperto un ponte con il Museo di Arti Mediche di Napoli che si riferisce all’antica Scuola Salernitana e all’antico Ospedale degli Incurabili. 
Per comprendere meglio però il feedback che si riceve dalla popolazione cinese rispetto agli ospedali moderni: quando fu costruito l’ultimo ospedale a Wuhan, ancora la gente era scettica. Non si fidava. Quasi a pensare che la fiducia che i cinesi hanno nei confronti delle loro tradizioni è ancora molto forte. 
O.G. Certo quando si confrontano la medicina tradizionale cinese e quella occidentale moderna e avanzata si rischia di fare totale confusione e si può facilmente giungere allo scontro. La MTC e la medicina moderna occidentale a parte l’ultima ormai superare la prima per ovvio avanzamento scientifico, differiscono sostanzialmente però nell’approccio del medico alla malattia e alla malattia nel paziente e del paziente nei confronti di entrambe. La MTC si include nella visione olistica dell’universo e meno empirica e sistematica del nostro approccio occidentale. Difficile che un medico in occidente ci parli di energia, o meglio di Qi  气。 
F.M. Assolutamente. Anche se mi viene da fare una considerazione interessante. Io sono architetto, non medico. Ma durante i miei viaggi in Cina e le varie collaborazioni a cui ho avuto il piacere di partecipare e rendermi attivo, molti sono stati gli ostacoli incontrati. Ad esempio c’è questa tendenza quando si tratta di restaurare un edificio storico di insistere per riportarlo alle sue condizioni originarie. Fin qui nulla di strano, ma più che sbagliato è impossibile. Non si può mai andare a ricostruire un edificio storico per riportarlo alla sua gloria passata. Dandomi poi io da fare ed essendomi prodigato per reperire i materiali originali e più adatti, la tendenza è sempre stata quella di portare a termini i lavori in modo sbrigativo e infine il vero interesse per la finitura del lavoro in modo appropriato viene comunque a decadere. Pensare che Wuhan è stata anche premiata dall’Unesco come città del design. Ma se si va a vedere i percorsi ciclabili o per ipovedenti, questi cominciano e finiscono nel nulla, gli edifici sono sì altissimi e moderni, ma le qualità dei materiali sono scadenti. L’autoreferenzialità e la loro chiusura a farsi dare dei consigli ed accettare consulenza è la prassi. L’ostinazione un luogo comune. Il non lasciar penetrare il nuovo altrettanto. Le grandi città in definitiva in Cina sono i trattori di una nuova immagine del paese che però non descrive in definitiva la realtà. Tutto funziona poco e nulla. Una volta mi sono recato nel GuangXi in un villaggio tra i più poveri di nemmeno duecento anime. Mi sono avventurato con un loro progettista al quale avevo fornito i dati per i lavori e il progettista ha avanzato l’ipotesi di un disegno per riqualificare l’area. Ma riqualificare significa riqualificare, non cancellare ciò che è già presente e necessita di essere appunto migliorato. L’approccio non è dunque funzionale, ma ancora una volta una tendenza a costruire con la conseguente delocalizzazione, desertificazione delle campagne, intasamento urbano, inquinamento e trasferimento in definitiva della povertà, non l’intenzione di debellarla. Il probelma non scompare, si trasforma. Non c’è alcun interesse a conservare la campagna. È tutta facciata. Io ritengo che per riqualificare il Cina ci sia da riqualificare la vita in loco. 
I giovani che vanno all’estero non rientrano una volta entrati in contatto con la società moderna e occidentale, poiché capiscono cosa hanno guadagnato da questo loro trasferimento. Anche se il governo centrale incoraggia mettendo a disposizione automobili agli studenti meritevoli, agevolazioni sui mutui, offre lavoro. Ma una volta accettate queste agevolazioni si diventa automaticamente schiavi del governo, perché sarà necessario rispondere di tutto ai funzionari di partito. 
Ho portato molte delegazioni universitarie in Cina. In Cina tutti rispondono ai rappresentanti di partito. Il sindaco risponde al rappresentante di partito, non conta molto. Lo stesso primario in ospedale risponde al rappresentante di partito. I rappresentanti di partito sono gli unici ad avere potere in Cina. 
O.G . Quindi professore, se volessi mettermi in contatto con qualcuno a Wuhan per capire cosa sta succedendo negli ospedali dovrei contattare un rappresentante di partito, il primario risponderebbe ? 
F.M. Esatto. No e mi è già successo. Molti in questi giorni hanno tentato di mettersi in contatto con me a questo scopo. Silenzio stampa. Non trapela notizia. È davvero raro che i medici rilascino informazioni. 
O.G. E la stampa cosa dice alla popolazione? Come viene comunicato in merito a ciò che sta succedendo in questi giorni? Tengono costantemente le persone al corrente, no?
F.M. Assoltamente sì, le informazioni che vengono divulgate sono però funzionali alle misure che il governo via via adotta. Non generano panico come i mass media fanno qui da noi. Perciò tutto ciò che è una mera ipotesi non viene diffuso. Anche molte chat sono state chiuse in questi ultimi giorni. Non vogliono diffondere alcun timore. Spesso le news che arrivano qui da noi giungono da altre fonti. Si riesce a capire quando le informazioni arrivano da Hong Kong o da Taiwan. Quelle informazioni non sono mai in cinese, ma in inglese. Riguardo al medico che è deceduto infatti se ne è saputo subito ad Hong Kong, ma non in Cina, tanto è vero che le immagini che sono circolate delle persone che gettavano fiori per commemorarlo erano di Hong Kong non di Wuhan. Inoltre la gente in Cina non si riunisce. È vietato o comunque qualsiasi tipo di aggregazione viene vista con sospetto. Le associazioni sono vietate, fatte rare eccezioni per quelle straniere, che vengono comunque sicuramente monitorate e le cui attività andrebbero sempre comunicate ai governatori iperché siano registrate. 
O.G .  Sembra che la prima fuga di notizie circa lo sviluppo del virus e sua fuoriscita dal laboratorio dell’ospedale militare di Wuhan, sia stata diffusa da fonte israeliana. Conferma?
F.M. L’informatore israeliano è fonte affidabile. Già in passato aveva divulgato altre informazioni. Ma il nostro addetto scientifico italiano a Beijing ha confutato questa ipotesi. 
O.G . E in questo caso il governo cinese come si comporta di fronte a ricercatori, medici, scienziati stranieri in terra straniera ? Vengono tutti controllati? E fra di loro gli stranieri come comunicano da una città cinese all’altra? Quanto dunque sono attendibili le fonti del nostro addetto scientifico a Pechino?
F.M. Lo scienziato sopra menzionato è lo stesso che è stato nominato esperto dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Va ricordato che sicuramente quando si lavora in Cina ci si deve attenere alle regole per non destare sospetto. Ogni attività, specialmente in questi ambienti, viene organizzata all’interno ed esclusivamente nelle università. Alcuni di loro, se stranieri sono certamente più liberi e godono di permissività maggiori. Specialmente per ciò che concerne i corsi congiunti come nel caso sopra menzionato del nostro addetto scientifico a Pechino. Ma in pubblico sarà sempre necessario mantenere il rigore e attenersi alle regole locali. Ogni attività poi rientrerà sotto la giurisdizione del governo e di Pechino. I risultati delle ricerche ad esempio non possono essere divulgati liberamente. Ciò che comunque io noto e che mi suscita un po’ di disagio è che troppo spesso si fanno circolare notizie senza troppo riscontro. Il panico diffuso è una conseguenza. Ad esempio, per farne uno, si parlava del « mercato del pesce » come detto all’inizio che non è nemmeno un mercato del pesce, dal quale sarebbe dovuto uscire questo virus e diffondersi. 
Da notare che il laboratorio dell’ospedale militare si trova nella periferia e il mercato al centro della città. La distanza fra i due è notevole. 
Inoltre rispetto alle misure di sicurezza adottate a Wuhan, si dice che dalla città molti siano scappati in seguito alla comunicazione della notizia del virus. Non è così. Sono rimasti tutti in casa. In Cina prima chiudono la città, poi ne danno comunicazione. Funziona così. Nessuno avrebbe potuto sfuggire alle misure prese dal governo. Qui sarebbe stato il contrario. Si dà notizia del virus e del rischio contagio, si fanno comitati, ci si riunisce, si prendono provvedimenti e decisioni e poi si decide di chiudere la città ed infine se ne dà comunicazione, dopo che la stampa ha già magari fatto il suo corso da giorni. Inoltre in Cina non ci si muove troppo liberamente. Il biglietto del treno è nominativo ed in ogni stazione c’è il riconoscimento facciale. 
O.G. In definitiva c’è un gran bisogno di capire la Cina prima di generare la caccia all’untore. Un paese difficile quanto complesso da gestire, con le sua antica e granitica cultura. Immagino che innanzitutto la prerogativa per chi vuole affrontrare nel migliore dei modi questa popolazione non sia certo la chiusura, ma il tentare di condividere e far comunione delle due culture il più possibile, specialmente quella italiana con quella cinese. 
F.M. I cinesi tendono certamente a chiudersi e numerosi sono gli episodi che mi vedono protagonista nel tentare di « rompere » le regole per entrare in contatto con loro per cercare di portare a termine alcuni progetti o intentare relazioni proficue. L’interculturalità è certamente cosa complessa da ottenere e il cinese è mediamente ostico, ma non sempre. Le tracce delle nostra cultura italiana, come la nostra architettura in Cina, sono numerose e queste hanno fatto spesso da spunto per intentare un nuovo dialogo e costruire un reciproco riconoscimento. 
* Architetto e ricercatore presso l’Università Parthenope di Napoli, noto per il suo lavoro di catalogazione dei libri conservati nella biblioteca di Hankou, fondata dai francescani a metà dell’Ottocento e che ha vissuto a Wuhan gli ultimi cinque anni viaggiando in Cina nel corso degli ultimi venti. 

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