La decisione di Amazon di chiudere il proprio laboratorio di ricerca sull’intelligenza artificiale a Shanghai è tutt’altro che un semplice “aggiustamento strategico”, come dichiarato in via ufficiale dall’azienda. È, piuttosto, il segnale plastico di una frattura che si allarga ogni giorno di più tra Stati Uniti e Cina nel campo delle tecnologie avanzate. Creato nel 2018 da Amazon Web Services (AWS), il laboratorio rappresentava uno dei pochi spazi ancora attivi di cooperazione tecnico-scientifica tra le due potenze. Oggi, quello spazio si è chiuso. E con esso si chiude anche un ciclo.
Da cooperazione a competizione
Negli anni precedenti, le grandi aziende americane – da Microsoft a IBM – avevano investito in Cina non solo per penetrare un mercato in espansione, ma per trarre vantaggio dalla vivacità accademica e dalla forza lavoro altamente qualificata. Ora, quel paradigma è saltato. Amazon si unisce alla lista crescente di colossi tecnologici che riducono drasticamente la propria presenza nel territorio cinese. La motivazione non è economica: è strategica. Le pressioni del governo statunitense, sempre più orientato verso una logica di decoupling tecnologico, hanno reso insostenibile ogni esposizione in settori sensibili come l’intelligenza artificiale, i semiconduttori e la cybersicurezza.
Washington rilancia la corsa all’IA
L’amministrazione Trump, tornata alla Casa Bianca, non ha perso tempo. Il nuovo corso americano spinge per una “IA senza vincoli”, libera da quelle regolamentazioni che vengono percepite come un freno alla supremazia tecnologica americana. In questo contesto, il laboratorio di Shanghai era diventato un’anomalia, un punto debole in un sistema che punta sempre più all’autonomia strategica. L’obiettivo non è solo proteggere il vantaggio competitivo degli Stati Uniti, ma impedirne la dispersione verso un concorrente – la Cina – considerato il principale avversario globale sul piano tecnologico, commerciale e militare.
La risposta cinese: diplomazia e narrativa globale
Mentre Amazon smantella il proprio presidio a Shanghai, Pechino tenta una controffensiva su un altro piano: quello della diplomazia. Durante la World AI Conference, il premier Li Qiang ha lanciato un appello per una governance globale dell’intelligenza artificiale, basata su regole condivise e sull’accesso equo alle risorse. È una strategia che mira a legittimare la Cina come attore responsabile e cooperativo, contrapponendosi all’unilateralismo americano. Ma è anche un tentativo – neanche troppo velato – di frenare lo strapotere tecnologico occidentale con vincoli normativi multilaterali.
Una guerra fredda digitale ormai dichiarata
Il caso Amazon non è isolato: è l’ennesima tappa di un processo in corso. La tecnologia non è più solo uno strumento di crescita economica o di innovazione industriale. È diventata un terreno di scontro geopolitico, dove la competizione per l’accesso, il controllo e la produzione di know-how si intreccia con la sicurezza nazionale, la sovranità digitale e l’influenza globale. La “guerra fredda tecnologica” non è più una metafora: è una realtà strutturata, che vede la cooperazione ridursi al minimo mentre aumentano gli scontri indiretti su brevetti, algoritmi, infrastrutture critiche e catene di fornitura.
La chiusura del laboratorio di IA a Shanghai simboleggia questa nuova fase. Dove prima c’era interscambio, oggi c’è separazione. Dove prima si puntava alla contaminazione reciproca, oggi si costruiscono muri – digitali, legislativi, infrastrutturali. E il prezzo non lo pagano solo le imprese o le università. Lo pagano anche i cittadini, esclusi dai benefici di una collaborazione internazionale che avrebbe potuto accelerare l’innovazione in modo più equo.
Il futuro dell’IA si gioca sul terreno geopolitico
L’intelligenza artificiale non sarà soltanto una questione di algoritmi, data center e modelli linguistici. Sarà una questione di potere, di valori, di visione del mondo. La chiusura del polo Amazon a Shanghai è un atto di discontinuità, ma anche un campanello d’allarme: l’innovazione, se lasciata alle logiche del confronto egemonico, rischia di diventare strumento di dominio, non di progresso. In questa nuova corsa globale, chi controllerà l’IA non sarà solo il più ricco o il più avanzato, ma il più abile nel trasformare la tecnologia in leva strategica. E a quel punto, sarà troppo tardi per parlare di neutralità.

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