La politica economica di Bettino Craxi: tra rigore e sviluppo

mar 30, 2020 0 comments

Di Verdiana Garau

Ripercorrere gli anni dal 1983 al 1987, ci porta a raccontare la costruzione di ciò che viene definito da molti un capolavoro della politica economica italiana. Il nostro Paese, in soli quattro anni, riuscì a passare agilmente da una situazione di disastro ereditato, a diventare una delle prime potenze industriali del mondo. In quegli anni l’Italia entrò a far parte del gruppo G7, grazie alla crescente forza economica che le permise di imporsi sullo scenario internazionale. 
Era il giugno del 1983, quando l’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, convocò Bettino Craxi per conferirgli l’incarico di formare il Governo. Era la prima volta che un socialista era chiamato a dirigere il Paese. La situazione politica italiana era in sofferenza e quella economica versava in condizioni difficili. Tra i socialisti, la disponibilità della DC a permettere che la guida del Governo fosse affidata ad un socialista, venne vista con sospetto. 
Lo scenario in cui si affacciò il nuovo leader del Psi era quello di una seria stagnazione, stagnazione che durava da tre anni. Il PIL era inferiore ai livelli del 1980, l’occupazione in calo, gli investimenti in caduta libera, il potere d’acquisto dei salari in permanente difficoltà, nonostante il loro elevato incremento eroso da un’inflazione intorno al 20%. Lo spread superava i 1100 punti base. I conti con l’estero negativi, così come quelli interni. 
Nelle sezioni si respirava grande aria di scetticismo. “Il Governo farà fino in fondo quello che sarà necessario fare, ma ogni partito e gruppo sociale, dovrà assumersi la propria responsabilità.” Disse Bettino Craxi nel suo discorso di insediamento. “La strada del risanamento finanziario è una strada obbligata. Essa sarà percorsa con tenacia”.  “Occorre una politica dei redditi, per abbattere l’inflazione e ridurre il differenziale con gli altri paesi”. 
Fu così che cominciò la politica di rigore del Governo Craxi. Occorreva una vasta operazione nella finanza pubblica come nel settore reale dell’economia. Subito la spesa sociale venne sottoposta ad un’ampia revisione. Applicando la dottrina De Michelis, le prestazioni cominciarono ad essere corrisposte per fasce di reddito (i giornali definirono l’operazione “L’Italia in fasce”): ai redditi bassi le prestazioni venivano assegnate nella totalità, alle fasce intermedie venivano ridotte e ai redditi medio-alti, le prestazioni venivano corrisposte parzialmente o del tutto annullate. Così si fece per la scala mobile dei pubblici dipendenti e pensioni, gli assegni familiari, l’adeguamento delle pensioni al minimo.
L’altro intervento riguardò il settore reale, più specificatamente diretto a frenare l’inflazione dal lato dei costi e dei prezzi. Venne stipulato con il Sindacato e le altre parti sociali, quello che viene ricordato come l’Accordo di San Valentino del 14 febbraio 1984: con quell’accordo venne sospesa l’erogazione di tre punti di scala mobile, nel quadro di un’ampia operazione di contrasto all’aumento dei prezzi, in concomitanza al blocco dei prezzi amministrati, quello dell’equo canone e la stretta sorveglianza dei prezzi privati. Sul mercato del lavoro vennero introdotte numerose novità, come i contratti di solidarietà, il tempo parziale, i contratti di formazione e di lavoro, assunzioni per chiamata diretta.
L’operare della scala mobile a punto unico, secondo i socialisti, riproduceva e amplificava l’inflazione e schiacciava i salari, costringendo i datori di lavoro a riadeguare il compenso dei lavoratori più qualificati. Il risultato che si produceva era la crescita elevata e insostenibile del costo del lavoro, con la perdita di competitività dei nostri prodotti.
FONTE E ARTICOLO COMPLETO: http://osservatorioglobalizzazione.it

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